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Raid israeliani dopo un missile lanciato dal Golan

21 gennaio 2019, Nena News
I bombardamenti nella notte: secondo l’Osservatorio siriano i morti sarebbero 11. La Russia, alleata di Damasco, parla di 4 soldati siriani uccisi. Erdogan, intanto, promette di avanzare nella curda Manbij.

Tensione altissima tra Israele e Siria dopo che l’aviazione israeliana è tornata a colpire nella notte il territorio siriano. In un comunicato riportato dall’Afp, l’esercito israeliano ha riferito di aver colpito le forze iraniane al-Quds in risposta ad un razzo sparato alcune ore prima verso Israele dalle alture del Golan siriane. I media vicini al presidente siriano Bashar al-Asad riferiscono di “un intenso attacco avvenuto con una serie di missili guidati”, sottolineando però che il sistema difensivo anti-aereo sarebbe riuscito a intercettare la maggior parte di loro.
Alcuni testimoni oculari hanno raccontato alla stampa di aver sentito forti esplosioni nel cielo di Damasco per circa un’ora. Al momento non sono chiari i dettagli dell’offensiva israeliana: Tel Aviv non ha fornito ulteriori informazioni, ma si è limitata a rivendicare l’offensiva (una novità rispetto a quanto faceva nel passato dove non smentiva né confermava i raid). Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione siriana, 11 persone sarebbero morte a causa dell’attacco israeliano di stanotte. La Russia, alleata di Damasco, ha invece parlato di 4 soldati siriani.
I raid di stanotte hanno chiuso una domenica carica di tensione tra i due Paesi. Damasco, infatti, aveva denunciato un attacco aereo israeliano sul suo territorio (intercettato dalla controaerea). Una risposta, spiegano però da Tel Aviv, al missile partito qualche ora prima dalle Alture del Golan siriane. Sulla questione era intervenuto anche il premier israeliano Benjamin Netanyhau: “Noi abbiamo una politica fissa: colpire la presenza iraniana e chiunque ci attacca”.
A gettare benzina sul fuoco è stato questa mattina il ministro dell’Intelligence israeliano Israel Katz il quale, intervistato dalla Radio militare, ha parlato di “confronto aperto con l’Iran” in Siria. “Noi – ha aggiunto – dobbiamo intensificarlo e lo intensificheremo perché non permetteremo una loro presenza lì”. Il ministro ha quindi lanciato un monito: “Chiunque ci attaccherà, pagherà un prezzo caro”.
Ma la tensione è altissima in Siria anche nel nord del Paese: nel corso di una conversazione telefonica, ieri il presidente turco Erdogan ha detto al suo pari statunitense Trump che Ankara è pronta a prendere possesso di Manbij, nel Rojava curdo. Il “Sultano” ha definito il recente attacco dell’autoproclamato “Stato Islamico” (Is) in città una “provocazione” (nell’attentato sono rimasti uccisi anche 4 soldati americani) il cui obiettivo è quello di condizionare il ritiro statunitense dalla Siria annunciato da Trump lo scorso 19 dicembre. Attaccare Manbij, controllata al momento dalle Forze democratiche siriane (Fds) a maggioranza curda sostenute dagli Usa, vuole dire per la Turchia continuare i suoi piani di distruzione del progetto del confederalismo democratico curdo nel Rojava. Le Fds, infatti, sono soprattutto costituite dalle unità curde del Ypg che Ankara ritiene “terroristiche” in quanto ramo siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) contro cui è in lotta da oltre trent’anni. Nel corso della telefonata (la seconda nell’ultimo mese), Trump ed Erdogan avrebbero concordato anche per un’accelerazione dei piani per la creazione di una “zona cuscinetto” nel nord della Siria. Un’area sostenuta dai curdi solo se controllata dall’Onu, dalla coalizione o “da qualunque altro stato o organizzazione disinteressata”. Ieri, intanto, una bomba ha ucciso 3 persone e ne ha feriti 30 nella città siriana a maggioranza curda di Afrin.