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La Casa Internazionale delle Donne chiede aiuto

Giulia Rodano 07/01/2019
La Casa Internazionale delle Donne di Roma ha lanciato una campagna di sottoscrizione.

Il Comune di Roma ha revocato la concessione. Le donne della Casa vogliono raccogliere 300.000 euro per fare fronte a un debito irragionevole, oggi oggetto di una proposta di transazione. Chiedono a tutte e tutti di diffondere il loro appello e di donare. Hanno aperto per questo una pagina dedicata.

Con i tempi che corrono, bisogna tenersi cari i luoghi in cui ci si può incontrare, discutere, esprimere e organizzare liberamente. Sedi libere, spesso autogestite, dove si produce cultura, dove si erogano servizi, dove si parla di politica, si cerca di capire, di inventare, di proporre, di lottare.
La Casa Internazionale delle Donne di Roma è uno di questi luoghi. Anzi, è persino un luogo speciale, raro, anche se non (fortunatamente!) unico. La Casa delle donne, infatti, non è un luogo “neutro”, ma di parte, la parte delle donne. Lì si incontrano, si confrontano punti di vista di genere, modi di pensare, di lottare, di lavorare, di erogare servizi che partono dalle esperienze, dalle competenze, dai pensieri e dai desideri delle donne.
Eppure le donne che volontariamente tengono aperto e fruibile lo storico palazzo del buon pastore a Roma sono state definite privilegiate, parassite. Anche per loro deve evidentemente “finire la pacchia”.
Si considera un privilegio tenere aperta una realtà costruita dalla pratica femminista di migliaia di donne, dove si erogano servizi per le donne che sono in condizioni di bisogno, dove passano trentamila donne l’anno, dove vengono ogni anno, per un primo incontro, tra le duemila e le tremila donne che hanno problemi di molestie o di violenza di genere; sarebbe da parassite mantenere in buone condizioni un edificio del 600 senza costare un euro di gestione a nessuna istituzione pubblica.
Tutte queste attività svolte nella Casa hanno rappresentato per l’Istituzione Comunale, in questi anni, un beneficio di cui è stato persino possibile quantificare il valore economico. E anche solo questo valore copre in parte consistente il canone annuo di circa 90.000 euro (!), che le associazioni non sono riuscite a saldare completamente nel corso degli anni.
Evidentemente, oggi risulta incomprensibile che la comunità e le istituzioni pubbliche possano trovare vantaggio dal sostenere una realtà che non è né statalista, né di mercato, ma che edifichi però una esperienza pubblica di gestione di un patrimonio della comunità.
E così il Comune ha revocato la concessione alle associazioni delle donne per l’utilizzo dell’edificio di Via delle Lungara. O si sta sul mercato, (quale mai mercato avrà un luogo di cultura e di produzione di servizi per chi non può pagare?) o si chiude.
Ma le donne non vogliono chiudere. Non si rassegnano alla logica secondo cui il beneficio o è economico o non esiste. E hanno presentato una proposta di transazione a Roma Capitale per convincere il Comune di Roma che riconoscere il lavoro che la Casa ha profuso e profonde a favore delle donne e della intera comunità rappresenta un vantaggio per tutti e che la vertenza potrebbe essere chiusa versando una parte ragionevole della somma di oltre 800.000 euro in affitti arretrati che il Comune di Roma contesta.
Sono convinte che evitare che la Casa chiuda, consentire che possa andare avanti, significhi oggi andare controcorrente, ma anche mantenere un vantaggio per tutti e tutte, compreso il Comune di Roma.
Per questo chiedono aiuto. Aiuto per poter far fronte all’impegno finanziario che la transazione comporterà, aiuto per continuare a esserci.