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GAZA. La lotta per la vita dei “bambini farfalla”

Gianna Pasini 8 gennaio 2018
Le disastrose condizioni umanitarie della Striscia stanno causando la morte dei gazawi più fragili.

Tra questi, vi sono i bambini affetti da epidermolisi bollosa: una patologia genetica, rara e inguaribile che ha fatto come ultima vittima Islam (12 anni). Il racconto da Gaza di Gianna Pasini.
L’11 luglio del 2017, un rapporto dell’Onu ha lanciato l’allarme: “Nel 2020 Gaza sarà invivibile. I parametri economici e sociali si stanno deteriorando rapidamente. In 3 anni si esauriranno le riserve d’acqua potabile”. E’ appena iniziato un anno nuovo, il 2019, per cui l’allarme delle Nazioni Unite descritto nell’articolo è alla prossima svolta.
Le ragioni sono ben note da tempo, in primis l’embargo che strangola i bisogni di circa 2 milioni di persone per l’impossibilità di spostare dentro e fuori merci e persone, mancanza di energia elettrica che è in media di poche ore al giorno, ma la scarsità di acqua potabile incide ancor più perché essenziale per la sopravvivenza, se non per vivere semplicemente.
Ma non c’è bisogno di aspettare il 2020 per vedere che un’intera popolazione sta sprofondando nemmeno troppo lentamente, basta osservare i numeri dei decessi delle persone più fragili ed esposte ai rischi di ogni carenza indispensabile per poter vivere.
Come punto di osservazione gestisco con Daniela ed Isshaq un collaboratore locale, un progetto di supporto ai “bambini farfalla” di Gaza (affetti da Epidermolisi Bollosa, patologia genetica, rara e purtroppo inguaribile), con la collaborazione e supporto del PCRF Italia.
L’ultima missione di monitoraggio del progetto sul posto l’ho svolta nell’aprile scorso, da allora 3 dei bambini che seguiamo sono morti. Le fasce d’età vanno dal neonato Yamen, Reema di 18 mesi e, proprio ieri, Islam di 12 anni, su una media di una ventina di bambini che seguiamo.
Quest’ultimo decesso mi ha segnata emotivamente, oltre perché il terzo in breve tempo, anche per l’età ed il legame che avevo con Islam. La sera si è coricata per dormire ed il giorno dopo non si è più svegliata, si è spenta come una candela che da tempo si stava consumando a causa dei numerosi disagi che tutta l’infanzia fragile, e non solo, di Gaza sta soffrendo.
Così Islam ci ha lasciati, la “farfalla” di Gaza di 12 anni che praticamente ho conosciuto per metà della sua breve vita. Vorrei raccontare qualcosa di lei come emblema di un’infanzia, doppiamente svantaggiata, ma che sapeva resistere stringendo i denti e vivendo la vita che le era toccata.
Credo che l’ultima volta che l’ho vista fosse l’aprile dello scorso anno il giorno prima della mia partenza da Gaza, l’avevamo accompagnata come al solito con Isshaq alla seduta di fisioterapia che faceva 3 volte alla settimana. Come sempre era accompagnata dalla sorella maggiore, molto sollecita nei suoi confronti, e quando c’era la musica aspettavamo tutti una canzone che andava in voga nel periodo anche durante i frequenti matrimoni, e nel ritornello ripeteva “Oooooh, oh…”, noi aspettavamo quel momento per unirci in coro con la musica.
Era simpatica Islam, compensava la sua minutezza ed i numerosi segni della malattia con un carattere fermo e risoluto. Aveva un debole per i cappellini di cotone, le coprivano i capelli che la facevano sembrare un’istrice, ed uno in particolare che le avevo regalato le piaceva al punto che lo portava anche in pieno inverno. Una volta l’abbiamo portata dalla parrucchiera per rimediare ai suoi capelli ribelli ed ad un taglio pietoso. Si sentiva “importante” per tutte le attenzioni che le venivano riservate, probabilmente per la prima volta, ed in breve diventò la mascotte della “coufera” al punto che non ci fecero pagare il servizio.
In fondo le uscite per la fisioterapia erano un modo per uscire di casa ed i tragitti erano il suo diversivo dove vedeva altro dalla sua solita stanza.
In auto si appoggiava ai sedili anteriori e parlava, quando era in vena, dicendo ad Isshaq, il nostro collaboratore locale per il progetto a loro sostegno, quello di cui aveva bisogno per le medicazioni o cosa la faceva star male. Altre volte se ne stava dietro semiaddormentata perché la notte non riusciva a dormire. Beit Hanoun dove lei abitava, è zona di confine e tra droni e sorvoli di aerei israeliani dormire non era facile.
Non aveva mai pretese, soltanto era golosa di Shawarma, il tipico pane arabo riccamente imbottito, e talvolta nascondeva tra le sue mani ridotte ad un moncherino 10 nis per poterlo acquistare. Era diventato ormai un gioco scoprire se il tal giorno aveva o meno i nis per poterlo prendere. Lei nascondeva ben stretta la moneta fra le due mani, quando l’aveva, ma anche quando non l’aveva. In quest’ultimo caso rimediavamo noi perchè sapevamo che proveniva da una famiglia povera e non sempre riusciva a mangiare il necessario.Talvolta l’ho vista piangere per il dolore che le causavano gli esercizi di fisioterapia, lacrime abbondanti e sincere che ti straziavano e che mi facevano allontanare vigliaccamente. “Bugi…” ripeteva, e col tempo ho imparato che significava che aveva dolore.
Ma ricordo ancor più le sue risate ed il suo tono di voce volitivo che mai ti saresti aspettata da un esserino così piccolo. Tutti l’ascoltavano quando parlava perchè sapeva farsi intendere. E credo che in molti la rimpiangeranno perchè nonostante i suoi limiti fisici compensava con altre sue capacità, e sapeva ridere alla vita che pur l’aveva parecchio maltrattata.
Ciao Islam, spero che ora tu sia in pace e che dall’alto di una soffice nuvola continui a ridere e di riuscire a percepire d’eco della tua spontanea risata in barba a tutte le nostre ansie e sterili preoccupazioni. Tanto prima o poi tutti noi ti raggiungeremo, e non ci saranno scadenze predefinite a decretare questo momento.