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A Castelnuovo va in scena lo sdoganamento del cinismo di Stato

Elena Fattori 27/01/2019
Lo ho visitato il Cara di Castelnuovo di Porto. Quando non era famoso e non era diventato il casus belli nel periodo buio di questo inizio 2019, precisamente nell’estate del 2015.

Era un’epoca in cui il MoVimento 5 stelle era espressione dei cittadini e degli attivisti, organizzati in gruppi di lavoro, e i parlamentari erano portavoce e come tali portavano nei palazzi le istanze e le idee del territorio. Perciò il “tavolo immigrazione” del MoVimento 5 stelle laziale organizzò una visita seguita da un incontro cittadino per discutere di modelli virtuosi di accoglienza. Erano passati pochi mesi dagli arresti di mafia capitale e il business e la mala gestione dell’accoglienza stavano emergendo in tutta la loro drammaticità, quindi andavamo a vedere la realtà per proporre soluzioni. Parlavamo di potenziare le commissioni territoriali per accelerare la risposta alle domande di asilo, di accoglienza diffusa e potenziamento degli Sprar, di percorsi di integrazione efficace e di rimpatri. Ma era un’epoca dove per l’appunto si parlava e ci si confrontava tentando di costruire una vera democrazia diretta.
Lontano dal centro del Paese, in una frazione di pochi abitanti, era evidente che il centro aveva modificato profondamente la vita dei residenti. La cosa che mi colpì di più appena arrivati fu un gruppo piuttosto numeroso di ragazzi di colore a una fermata dell’autobus e una signora anziana, del posto, in mezzo a loro, di fronte al piccolo bar dove ci eravamo fermati a mangiare qualcosa. Il pullman passò più volte, ma non si fermò. Mi spiegarono che in genere i ragazzi del centro non avevano il biglietto così i conducenti non si fermavano a ogni giro per buona pace della povera signora anziana. Giusto o meno, etico o meno, immagino che il disagio non facesse piacere alla signora costretta ad aspettare un autista che avesse voglia di fermarsi per un biglietto valido su venti passeggeri.
Visitammo il centro assieme alla nuova direttrice, appena subentrata. Non credo di poter definire accoglienza virtuosa quel modello nel 2015. Mi hanno detto che negli anni è migliorato molto, ma all’epoca si partiva da quello scempio chiamato falsamente accoglienza. Sebbene al cancello ci fosse una casetta di controllo con tessera per entrare e uscire, gli ospiti preferivano accedere scavalcando il muro in un via vai abbastanza intenso. In realtà, sebbene il numero delle persone ospitate ufficialmente fosse di qualche centinaio, gli ospiti effettivi erano evidentemente molti di più e la maggior parte non censita. All’interno, in un grande salone, mi si presentò una scena incredibile di autogestione che ricordava un bazar. Sebbene gli ospiti non dovessero avere denari contanti e dovessero usufruire della mensa, avevano allestito un vero e proprio mercato ortofrutticolo con una varietà di ortaggi, frutta e verdura da fare invidia a un mercato rionale. In un angolo avevano costruito un punto “barbiere” con tutto l’occorrente di un negozio con tanto di specchi rattoppati. In un altro angolo la vendita di televisori e videoregistratori e altri oggetti elettronici ufficialmente trovati in discarica. Nelle stanze più grandi dove dormivano per lo più ragazzi giovani mancavano molti vetri sostituiti da bustoni neri dell’immondizia attaccati con il nastro adesivo e spesso non c’erano neanche abbastanza letti, ma solo materassi o coperte gettate a terra come giaciglio.
Molto simpatica una palestra autogestita interamente costruita con materiali di scarto tra i quali una serie di pesi fatti con manici di scopa e barattoli di pomodoro di diverse grandezze alle estremità, riempiti di cemento e oggetti metallici per realizzare pesi diversi.
Dove c’erano famiglie arrivava dalle stanze odore di cucinato, sebbene fosse vietato per ovvie ragioni di sicurezza cucinare nelle stanze. Ma entrando, rapidamente, spariva tutto. Fornelli accesi, piatti, stoviglie venivano chiusi negli armadietti al nostro passaggio.
Non me la sento di definire quello che vidi nel 2015 come “accoglienza”. Mi hanno detto attivisti e operatori che in quattro anni la situazione era rientrata nella decenza, ed erano partiti molti progetti di integrazione di qualità.
Questo quello che non andava nel 2015. C’era molto da lavorare per trasformare quel modello fallimentare in accoglienza virtuosa e sostenibile per ospiti e cittadinanza in strutture più adeguate e qualcosa era stato fatto tanto da meritare la visita di Papa Francesco nel 2016, da essere definito da molti un modello e offrire un indotto di 120 lavoratori in una zona non certo semplice per l’occupazione.
Ma la malagestione del passato non giustifica quanto successo nei giorni scorsi con la deportazione senza preavviso di PERSONE. Persone considerate oggetti senza la dignità di una identità. Persone usate in passato per far soldi “più che col traffico di droga”: donne uomini e bambini, sani e malati, onesti e delinquenti, pacifici o violenti. Insomma esseri umani con il loro bagaglio di storia carattere, tendenze , gioie e sofferenze. Usate di nuovo, questa volta per un blitz ad effetto ad uso e consumo di una propaganda xenofoba cinica e razzista che deve raccattare voti fomentando le tensioni sociali.
Del Decreto Sicurezza e di come non offra nessuna soluzione alla gestione del fenomeno migratorio, non proponga né piani di rimpatrio né integrazione delle persone presenti sul territorio nazionale e crei nuovi “clandestini” –che dovremmo cominciare piuttosto a chiamare “invisibili”- si è parlato già a lungo. Quello che colpisce di questa vicenda, forse più di altre simili, ove si sgombra per propaganda, ma non si fornisce nessuna soluzione dignitosa e sicura se non la strada, è lo sdoganamento del cinismo di Stato.
Progetti interrotti dalla sera alla mattina, bambini che non hanno il tempo di salutare i loro compagni di scuola, nuovi invisibili generati dal decreto sicurezza indipendentemente dallo stato di fragilità buttati senza identità in mezzo a una strada. E 120 nuovi disoccupati dalla sera alla mattina senza una parola.
Ci saranno sempre “ultimi” in una società e la cultura dell’odio e del cinismo, la storia insegna, inizia in maniera subdola , ha percorsi imprevedibili e difficilmente si torna indietro.