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Onu, la Palestina torna sul tavolo del Consiglio di Sicurezza

Michele Giorgio 28 dicembre 2018
Il ministro degli esteri Riad al Malki a metà gennaio presenterà di nuovo la richiesta per il riconoscimento pieno della Palestina. Il veto Usa con ogni probabilità farà naufragare ancora una volta le aspirazioni palestinesi.

Dopo una pausa di alcuni anni, riprende all’Onu la battaglia per il riconoscimento pieno della Palestina, che dal 2012 è già Stato non membro. Il ministro degli esteri dell’Anp, Riyad al Malki, ha annunciato che presenterà la domanda durante la discussione trimestrale del Consiglio di Sicurezza prevista a metà gennaio. Il percorso come in passato è in salita. Per poter concedere lo status di membro effettivo, almeno nove paesi dovrebbero votare a favore e nessuno dei cinque Stati permanenti del CdS (Usa, Russia, Cina, Francia e Gb) deve porre veto. È improbabile che ciò accada. Gli Stati uniti, stretti alleati di Israele, sono contrari a questa mossa che permetterebbe ai palestinesi di sottrarsi all’obbligo del negoziato bilaterale con Israele che da 25 anni a questa parte non ha prodotto alcun risultato concreto, se non quello di impedire proprio la proclamazione dell’indipendenza palestinesi nei Territori occupati di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Senza dimenticare che nel frattempo Israele continua la colonizzazione che rende impossibile la realizzazione della soluzione a Due Stati (Israele e Palestina).
L’ambasciatore di Israele all’Onu, Danny Danon, ha avvertito che farà di tutto per fermare l’iniziativa palestinese, aggiungendo che oltre all’Amministrazione Trump anche alcuni membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, come la Germania e la Repubblica Dominicana, dovrebbero schierarsi contro i palestinesi.
Intanto il primo gennaio la Palestina assumerà ufficialmente la presidenza del “Gruppo dei 77 e la Cina”, fondato nel 1964 e attualmente il più grande blocco dei paesi in via di sviluppo alle Nazioni unite. Ad ottobre l’Assemblea Generale aveva votato a stragrande maggioranza – con il voto contrario di Israele, Australia e Stati uniti – per consentire ai delegati della Palestina di poter patrocinare proposte ed emendamenti, formulare dichiarazioni e sollevare mozioni procedurali.