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Nube tossica romana su Bruxelles

Alessandro De Angelis 11/12/2018
Soffermatevi sulla scena: il presidente del Consiglio esce da palazzo Chigi, per andare a riferire alla Camera, solito codazzo, solito abito sartoriale, solito discorso, in cui spiega che la manovra cambierà, ma non “come”, “quanto” e “quando”, solito fumo attorno alla “trattativa” degli zerovirgola.

Ma su questo torneremo tra un po’. In quel momento, alzate gli occhi, una nuvola nera copre il cielo di Roma, tossica. È andato in fiamme l’impianto di smaltimento dei rifiuti su via Salaria, l’unico a Roma, a una decina di minuti di macchina da palazzo Chigi. Alle scuole il Campidoglio ordina di tenere le finestre “chiuse”, mentre il puzzo invade interi quartieri. E si sente fino a palazzo Chigi.

Nelle mani di un grande regista, diventerebbe la raffigurazione di un’epoca, come lo fu la scena finale del Caimano, col tribunale di Milano in fiamme mentre Berlusconi sale in macchina, sartoriale e compiaciuto, con la consapevolezza cinica di chi non vuol vedere o l’incosapevolezza altrettanto cinica di chi non sa, e non coglie la dimensione del falò. Pochi minuti dopo il premier, alla Camera, si esibisce nella pomposità oratoria dell’Europa che “muore di rigorismo”, il che rende necessaria un’Unione “più equa”, eccetera eccetera, perché – in questi giorni va di moda questa tesi – sennò si rischiano i Gilet Gialli. Il regista porterebbe, a questo punto la telecamera in Campidoglio. È lì che iniziò la “rivoluzione”, il “cambiamento”, l’onda che avrebbe portato la “protesta” al governo delle principali città italiane e poi del paese. Adesso la Raggi chiede alle Regioni aiuto (aiuto che non arriva) e annuncia che a Natale saremo sommersi dalla monnezza, con l’eterna aria da vittima di eventi che si verificano a sua insaputa, come se non la riguardassero, e come se il suo ennesimo fallimento in eurovisione non riguardasse il premier e il suo Movimento. Un incidete è un incidente, ma una città sommersa dai rifiuti chiama in causa, sempre, la responsabilità di chi la governa (o non governa) perché il problema, che il puzzo asfissiante suggerisce, è che è fallita la sua politica sui rifiuti, affidata a un impianto fuorilegge da anni e senza alternative.
La politica non è assemblaggio di compartimenti stagni, per cui la trattativa sugli zerovirgola non c’entra nulla con l’impianto sulla Salaria. Che non ci sia un nesso causale diretto è ovvio, banale, scontato. C’è però – non è forse questa la politica? – una questione di senso e, perché no, di spirito del tempo, di Zeitgeist. Mettiamola così: ve lo immaginate il discorso di Macron, il suo tasso di drammaticità se, invece dei fumi del conflitto sociale, avesse avuto come sfondo la nube nera dell’immondizia bruciata? Più che la tragica grandeur parigina, fatta di rivolte e di piazze che si accendono a ogni tornane storico, c’è la solita sciatteria italica – sia chiaro: non è un invito alla guerra civile – che è cosa assai più modesta. Chiamatela come volete: sciatteria, furbizia, solita Italia. Perché solo in Italia, peraltro nella sua Capitale, si rischia la chiusura delle scuole perché c’è una nube tossica, e non si sa come risolvere il problema se non chiedendo aiuto alle altre Regioni. E c’è poco da fare: qualunque discorso sul cambiamento e sulla rivoluzione in nome del popolo si infrange sull’immagine di un paese refrattario non al rigore, ma alle regole in quanto tali. Per cui si capisce l’imbarazzo del premier o il silenzio di Salvini di fronte a una puzza che vale un editoriale sull’ipocrisia delle parole e sulla testardaggine dei fatti.
Adesso l’ultima speranza, in questa trattativa con l’Europa, affidata anch’essa all’ipocrisia delle parole sugli “zerovirgola” perché – non è forse anche questa questione che riguarda la tanto sbandierata trasparenza? – ancora non si capisce fino a che punto il governo è disposto a rivedere le stime di deficit, l’ultima speranza, dicevamo, è Macron, perché “è impensabile che l’Europa abbia atteggiamenti diversi con Parigi e con Roma”. Altrimenti, ripetono tutti, ma proprio tutti – Di Maio, Salvini, Conte – si rischiano anche in Italia i Gilet Gialli. Con la furbizia di chi non sa, o fa finta di non sapere, che – detta in modo un po’ tranchant – i Gilet Gialli li abbiamo al governo. Perché la pulsione al cambiamento radicale, la rabbia, la protesta “né di destra né di sinistra”, la lotta contro le élite in nome del popolo in Italia ha già avuto uno sbocco politico, non sociale. E semmai la contraddizione più che in piazza rischia di esplodere dentro il governo, e in particolare dentro i Cinque Stelle che a fatica riescono a gestire questo processo di istituzionalizzazione, tra sì Tav e no Tav, democrazia diretta e rappresentativa, chissenefrega dell’Europa e procedura di infrazione. E magari il dopo, più che le piazze, è quel gigantesco spostamento a destra che i sondaggi e la piazza, quella sì, di Salvini annunciano. Ma questo è un altro discorso.