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Le campagne di odio sulla rete portano alla violenza, abbiamo i primi risultati

Guido Petrangeli 20/12/2018
Esiste un legame diretto tra l’influenza dei social network ed eventi criminosi? Secondo due recenti studi di ricercatori dell’Università di Warwick, in Inghilterra, la risposta potrebbe essere affermativa. 

E tirerebbe in ballo il dilagare dell’hate speech associato alle campagne di odio riversate da troll e bot all’interno dei social media.

Il lavoro di Karsten Mueller e Carlo Schwarz parte da un documento che mostra la concentrazione di crimini dovuti a sentimenti di odio contro i musulmani nelle contee degli Stati Uniti con un elevato utilizzo di Twitter. Prima dell’elezione di Trump queste aree non avevano tassi significativi di reati di odio: i ricercatori hanno rilevato come questi crimini aumentavano con una frequenza altamente correlata ai tweet del presidente usa su Islam e musulmani.
In un secondo paper pubblicato a maggio Mueller e Schwarz hanno dimostrato che il tasso di crimini violenti contro i rifugiati in Germania è stato sproporzionatamente più elevato nei comuni in cui Facebook gode di un’elevata penetrazione. In questo secondo studio i post anti-rifugiati sulla pagina Facebook del partito Alternative for Germany (AfD) sembrano essere il catalizzatore della violenza. Mueller e Schwarz stimano che senza i violenti post su Facebook di AfD ci sarebbe stato il 13% in meno di incidenti anti-rifugiati.
Il meccanismo che sembra far diventare Facebook e Twitter degli ambienti ottimali per eventi criminosi è riassunto nel concetto di “filter bubble“, bolle di filtro. Con questo concetto Muller e Schwarz ci spiegano che se tutti quelli con cui comunichi condividono certe opinioni, si crea un’illusione di un consenso che rende l’azione radicale socialmente accettabile.
Se un utente percepisce di avere un’opinione minoritaria, rispetto alla rete dei propri contatti, decide di non esprimerla in percentuali maggiori che nella vita reale. Grazie a questa “spirale del silenzio” gruppi organizzati su Facebook, le cosiddette organizzazioni ombra, e bot automatizzati su Twitter riescono tramite un linguaggio violento a imporre consenso anche intorno a eventi radicali.
Nel nostro paese abbiamo registrato due fatti di cronaca nera avvenuti in un clima di odio provocato da gruppi online organizzati. Ci riferiamo alla tentata strage di Macerata e all’uccisione di un ladro da parte di un imprenditore toscano. Nel primo caso si mobilitò a favore dell’ex candidato leghista Luca Traini una vasta community online anti immigrazione. Questo imponente network riuscì nell’impresa di dividere gli utenti online e far diventare trending topic i temi a favore dell’attentatore nonostante ci si trovasse di fronte ad un atto terroristico.
Discorso simile per i fatti legati a Fredy Pacini, imprenditore toscano che ha sparato e ucciso un ladro moldavo. Immediatamente dopo i tragici fatti di Arezzo leader politici vicini alla lega nord hanno dettato in maniera organizzata la campagna a sostegno di Pacini. L’imput proveniente dai profili dei leader e rilanciato dalla base ha fatto in modo che si iniziasse a costruire in maniera organizzata un consenso dal basso. La sentiment analysis su Twitter ci mostra un dato importante: tra le parole più ricorrenti su #arezzo troviamo “legittima difesa”, che ha generato solo il 26% di messaggi originali e ben il 68% di retweet. Un chiaro segnale di come questo hashtag sia stato gonfiato in maniera artefatta. Inoltre, tutti e tre i tweet più virali sull’argomento si schierano a favore dell’omicida del ladro moldavo.
Abbiamo rilevato movimenti sospetti anche su Facebook. Qui poche ore dopo l’omicidio è stata lanciata una fanpage #iostocofredy che in un lasso di tempo brevissimo ha agganciato oltre 20mila supporter, numeri davvero straordinari e poco credibili per un movimento di base. Non manca in questa vicenda neanche la messa in rete di una fake news.
Fin dall’inizio della campagna sui social uno dei tormentoni più condivisi è stato quello che l’imprenditore, prima di uccidere il ladro, aveva denunciato un totale di 38 furti nella sua impresa. In realtà i carabinieri hanno smentito questa affermazione dichiarando che Fredy Pacini ne ha denunciati soltanto 4 e neanche furti ma tentativi di furto.
In Italia esiste un network comunicativo, seguito da oltre 4 milioni di persone, in cui i migranti, tramite un linguaggio aggressivo, vengono rappresentati come il principale problema dell’Italia. Parliamo di una rassegna stampa quotidiana di tutti gli eventi di cronaca in cui un migrante è coinvolto in chiave negativa ma anche di notizie sui presunti costi che lo Stato italiano sosterrebbe per queste persone invece che per gli italiani.
A chiudere il cerchio è arrivata la 52esima edizione del Rapporto Censis sulla situazione sociale dell’Italia. Dal “rancore” evidenziato nel 2017, il sentimento che più caratterizza gli italiani nel 2018, secondo l’istituto di ricerca, è la “cattiveria”. Dal documento emerge un Paese incattivito, più povero e più anziano, che trova il capro espiatorio dei propri guai negli immigrati.