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L’astio persecutorio di Salvini nei confronti degli stranieri

Giuliano Cazzola 13/12/2018
Matteo Salvini ha cambiato linea di condotta.

Dopo aver delegato all’alleato di governo le scelte di politica economica (salvo continuare a stare sul pezzo sulle questioni dei rapporti con l’Unione europea) in cambio della mano libera sull’immigrazione, il ministro degli Interni (che non tralascia di orientare, in piena autonomia, anche la politica estera) ha deciso di occuparsi in prima persona delle relazioni con il mondo dell’impresa, presentandosi – nella riunione con i rappresentanti delle associazioni (già) paludate – come il difensore dei loro interessi contro le bizzarrie dei pentastellati.

E le ”sventurate” associazioni sono state al gioco, ”hanno fatto a fidarsi”. In quale altro modo avrebbero potuto comportarsi, del resto, a fronte della scomparsa dell’opposizione? Avrà Salvini – sul terreno dell’economia – la stessa fortuna che gli ha portato (in termini di consensi) la politica contro i migranti?
Il decreto sicurezza è stato convertito, con un sostanziale appoggio dall’opposizione di centro-destra che ha, di gran lunga, surclassato la presa di distanza di alcuni parlamentari del M5S (e del presidente Roberto Fico). Il capo dello Stato – dopo aver promulgato la legge n.132/2018 di conversione del decreto sicurezza – scrisse una lettera al presidente Conte ricordandogli quanto dispone l’articolo 10 della Costituzione: come a voler ribadire che, nonostante l’indubbio e crescente consenso, a nessuno è permesso di sottrarsi ai principi fondamentali dell’ordinamento democratico.
Ad avviso di chi scrive quella fortemente voluta da Salvini non è una buona legge. È un provvedimento che non si propone di regolare, ma di reprimere, un fenomeno complesso come quello dell’immigrazione. In proposito, molti aspetti negativi sono già stati ricordati, a partire dal rappresentare la gestione dei migranti come un problema di sicurezza pubblica, in parallelo con lotta alla criminalità organizzata.
Per sommi capi ciò avviene attraverso: la cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; l’adozione, con decreto del ministero dell’Interno, di una lista dei Paesi di origine sicuri, al fine di accelerare la procedura di esame delle domande di protezione internazionale delle persone che provengono da uno di questi Paesi (per rimpatriali al più presto); l’allungamento del periodo di permanenza degli stranieri nei Centri per il rimpatrio (per il quale è prevista la costituzione di un apposito fondo); la revoca della protezione umanitaria ai profughi che rientrano senza “gravi e comprovati motivi” nel paese di origine, una volta presentata richiesta di asilo; l’ammissione dell’accesso allo Sistema Sprar solo per i titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati; il raddoppio del periodo utile ad ottenere la cittadinanza per matrimonio o residenza.
A prova, poi, dell’astio persecutorio nei confronti degli stranieri vi sono – nelle iniziative legislative e nelle misure amministrative in corso – tante piccole cattiverie che non trovano altrimenti spiegazione. Il decreto fiscale (Dl 23.10.2018, n. 119, già approvato in Senato e prossimo al voto definitivo della Camera) prevede l’introduzione di una tassa dell’1,5% sulle rimesse inviate verso i paesi extra-Ue; il money transfer che, come è noto, è lo strumento principale di cui si avvalgono gli stranieri per aiutare le famiglie d’origine.
Ricordo che all’Università, quando sostenni l’esame di economia con Paolo Sylos Labini, studiai che tra le entrate di uno Stato andavano considerate anche le ”rimesse degli emigranti” il cui ammontare diminuiva man mano che si attenuavano i legami affettivi. Allora eravamo noi italiani i beneficiari di quelle rimesse.
Qualcuno ha scritto che si tratta di esportazione di capitali. In realtà, una tassa aggiuntiva è iniqua visto che lo straniero, se residente e occupato regolare in Italia, sottrae le risorse che manda in patria dal suo reddito netto su cui ha già pagato le tasse e i contributi. Poiché le rimesse verso l’estero sono stimate nell’ordine di 5 miliardi di euro l’anno (l’80%o prende la via dei paesi extra-Ue) il prelievo garantirebbe al nostro Paese un gettito potenziale di poco più di 60 milioni.
Gli extra-comunitari sono poi stati esclusi dall’accesso alla Carta della famiglia, a tutela dei nuclei con molti figli. Sempre a carico dei soli cittadini stranieri sono aumentate le tasse su permessi di soggiorno e naturalizzazioni (queste ultime sono circa 200mila l’anno). Essendo, poi, 1,5 milioni i permessi che si rinnovano annualmente, possiamo calcolare almeno 200 milioni di maggiori entrate (per esempio, il costo per la pratica di acquisizione di cittadinanza italiana passa da 200 a 250 euro a cui si aggiungono 16 euro di bolli).
In un articolo pubblicato sulla Voce-info (a firma di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin) si stima che, sommando tutte le voci, ”lo Stato riceverebbe oltre 300 milioni di euro: una sorta di “patrimoniale” a carico degli immigrati. In altri termini – sostengono gli autori – sarebbe come chiedere a ciascuno dei 4 milioni di residenti stranieri adulti un versamento di 75 euro”. Si ricordi che gli stranieri contribuiscono all’Erario con circa 7 miliardi l’anno. Solo per fare un confronto di grandezze e proporzioni: i lavoratori autonomi, nel complesso, versano meno di 10 miliardi.
GIULIANO CAZZOLA