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La persona viene prima dello Stato e dei confini

Antonello Giacomelli 01/12/2018
Il 1 dicembre di cinque anni fa sette persone, di origine cinese, morirono nel rogo di un capannone nel Macrolotto di Prato.

Molte cose sono cambiate da allora, soprattutto per il lavoro fatto dalle forze sociali, dal Comune e dalla Regione ma ancora oggi dobbiamo riconoscere che i diritti del lavoro e la legalità economica a Prato e nel nostro Paese non sono pienamente affermati.

Anche per rispetto alla memoria di quelle sette vittime e delle migliaia di persone che hanno perso la vita nella fuga verso una nuova speranza, credo non si debba tacere niente delle preoccupazioni, dei rischi e delle mistificazioni che nascono con il decreto Salvini.
Molte voci diverse hanno messo bene in risalto le contraddizioni di un decreto che a dispetto del titolo, sicurezza e immigrazione, finirà per aumentare l’illegalità e colpire i processi di integrazione.
Se davvero si fosse voluto intervenire sugli aspetti dell’immigrazione e della sicurezza sarebbero state necessarie quattro linee di intervento: più accordi con i paesi d’origine per i rimpatri, il potenziamento dei processi d’integrazione, rafforzamento dei poteri dei sindaci anziché dei prefetti, più uomini e mezzi alle forze dell’ordine.
E in tema di illegalità economica, l’impiego su larga scala di specializzazioni e competenze per il controllo dei flussi di denaro che escono dal nostro paese. Denaro che nasce dallo sfruttamento e che depreda chi lavora rispettando le regole.
Non c’è traccia di tutto questo, anzi in molti casi c’e’ esattamente il contrario.
C’è però un motivo più profondo, forse meno evidente, per cui questo decreto è davvero inquietante.
Un motivo perfino più grave di norme e disposizioni che saranno in buona parte cancellate dalla Corte.
La nostra costituzione riconosce, art 10, allo straniero a cui sia impedito nel suo paese “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana” diritto di asilo nel nostro Paese. Voglio sottolineare la condizione che questo articolo pone, “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”. È una condizione impegnativa, ampia, significativa. È una condizione che definisce un tratto fondante della nostra identità nazionale.
Non comprende solo chi fugge da una guerra o da conflitti tribali. E non si accontenta di una parvenza di democrazia. O di una libertà solo formale. È una norma che esprime il valore della primazia della Persona: nella cultura cattolica, in quella liberale, come in ogni cultura realmente democratica, la Persona preesiste allo Stato, alle regole amministrative ed ai confini.
Gli Stati, gli ordinamenti politici non creano i diritti della persona ma li riconoscono e li garantiscono. Ad ogni persona e oltre ogni confine.
C’è, insomma, una patria comune, una cittadinanza condivisa, quella fondata sulla libertà dell’uomo, di ogni uomo e sul riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana, a qualunque latitudine viva.
Ogni stato fondato su libertà e democrazia ha questo principio nella propria Carta fondamentale.
Questo decreto non riconosce questo principio. Anzi, lo capovolge. Manifesta un pensiero inquietante e corrosivo. Cancella il valore generale della protezione umanitaria, riduce la cittadinanza a premio elargito e tolto dal potere politico, in una parola nega la sovranità della persona e riduce l’esigenza assoluta di tutela dei diritti fondamentali ad eventualità sottoposta a valutazioni di opportunità politica.
Se migliaia di persone fuggono da una condizione che nega i loro diritti, la reazione degli Stati democratici non può essere quella di considerare un problema la loro fuga anziché le cause di questo esodo.
È giusto impedire che la speranza di tante persone disperate diventi preda di cinici mercanti su fatiscenti barconi ma non si può fermarsi a questo.
Se le democrazie e le organizzazioni delle nazioni libere non avvertono come loro dovere quello di mettere in campo tutte le iniziative per garantire ad ogni persona, ovunque viva, il pieno godimento dei diritti fondamentali connaturati alla dimensione umana, allora il valore universale della democrazia è messo pericolosamente in discussione.
Il nostro Paese ha affrontato e superato momenti molto difficili, le tensioni del dopoguerra, gli anni delle stragi, il terrorismo, i tentativi di colpo di stato: mai, in nessun momento, le istituzioni, il Parlamento, le forze politiche hanno pensato di venir meno ai principi fondamentali della democrazia fissati in Costituzione.
Nessun calcolo di opportunità o di consenso ci convincerà ne’ oggi ne’ mai a tradire noi stessi e questi principi.