General

In 10 anni i cristiani evangelici hanno investito 65 milioni di dollari nelle colonie israeliane

10 dicembre 2018, Nena News
L’inchiesta di Haaretz racconta una realtà radicata: da decenni le associazioni cristiano-evangeliche svolgono un ruolo centrale nella colonizzazione della Cisgiordania. Un punto a favore della politica filo-sionista della presidenza Trump.

Gruppi di cristiani evangelici hanno investiti nelle colonie israeiane in Cisgiordania 65 milioni di dollari negli ultimi dieci anni. È il risultato di un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz che ha ricostruito i progetti portati avanti in questo decessio in termini di lavoratori volontari e finanziamenti.
Secondo il giornale, sono stati inviati nella sola colonia di Har Brakha, a sud del distretto palestinese d Nablus, 1.700 volontari, mentre ogni anno il ministero israeliano per gli Affari strategici ha investito 16mila dollari per una sola associazione evangelica, Havoyel, perché produca materiali per fare campagna a favore di Israele all’estero. È Havoyel a inviare centinaia di persone da tutto il mondo a lavorare appezzamenti agricoli nelle terre occupate.
Altro caso è quello dell’associazione statunitense Heart of Israel, il cui fondatore, Aaron Katsof, residente nella colonia di Shiloh: l’organizzazione raccoglie ogni anno centinaia di migliaia di dollari per finanziare progetti negli insediamenti, considerati illegali dal diritto internazionale. Raccoglie in media tra i 50 dollari e i 1.500 da ogni donatore, sia ebrei residenti all’estero che cristiani, zoccolo duro del sostegno allo Stato di Israele soprattutto negli Stati Uniti.
Una realtà radicata che ha le sue radici nella religione: i cristiani evangelici credono che il regno di dio si realizzerà, insieme alle profezie bilbiche tra cui il ritorno del Messia, quando il grande Israele si concretizzerà su tutta la Palestina storica. Lo scorso marzo l’agenzia israeliana YnetNews aveva pubblicato i dati sul sostegno all’immigrazione ebraica nello Stato di Israele, spesso dirottata dalle autorità di Tel Aviv nei Territori Palestinesi Occupati: nel solo 2017 su 28mila persone che hanno compiuto l’aliyah, la “salita”, ovvero l’immigrazione in Israele – o, nella visione sionista, il “ritorno” – almeno 8.500 hanno avuto a disposizione fondi raccolti da organizzazioni cristiane partner dell’Agenzia ebraica.
Se l’Agenzia ebraica si occupa da anni dell’inserimento dei nuovi cittadini nello Stato, attraverso corsi di lingua ebraica, abitazioni e aiuto nella ricerca del lavoro, il denaro raccolto dagli evangelici ne è una stampella: copre le spese del viaggio, fornisce sussidi per il primo periodo nel nuovo Stato e aiuta nella costruzione di una casa. Anche in questo caso i finanziamenti sono consistenti: l’International Fellowship of Christian and Jews (Ifcj), una delle più grandi organizzazioni, ha raccolto e utilizzato dal 2014 al 2017 20 milioni di dollari per l’aliyah e 188 milioni di dollari dalla fine degli anni Novanta alla metà degli anni Dieci del 2000.
Un sostegno radicato che si lega a doppio filo, negli Stati Uniti, con il sostegno indefesso allo Stato di Israele e all’appoggio a politiche filo-sioniste. Non è un caso che i cristiani evangelici siano elettori devoti del partito repubblicano e, negli ultimi anni, sostenitori dichiarati del presidente Trump, l’inquilino della Casa Bianca più vicino a Tel Aviv che gli Usa abbiano mai avuto. Nel giro di un anno la presidenza Trump è riuscita dove nessuno aveva mai osato arrivare: ha dichiarato Gerusalemme capitale dello Stato di Israele, trasferito nella Città Santa l’ambasciata, cacciato la rappresentanza dell’Olp da Washington e tagliato i fondi all’agenzia Onu Unrwa che si occupa da oltre 60 anni dei rifugiati palestinesi.
Ma soprattutto ha coltivato la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Golfo, quei paesi arabi storicamente legati agli Stati Uniti, riuscendo nell’obiettivo di marginalizzare l’agenda palestinese, facendola sparire dal tavolo di qualsiasi possibile negoziato.