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IL PONTE BALCANICO. Sia con Erdogan che con Gulen: il difficile equilibrio di Tirana

Marco Siragusa 5 dicembre 2018
La Turchia è un partner fondamentale per la crescita economica dell’Albania. Nonostante ciò, le continue richieste di Erdogan nei confronti del movimento gulenista vengono considerate dal governo albanese come un’intromissione nei propri affari interni che non rispetta l’indipendenza nazionale.

Lo scorso 19 ottobre, durante una visita ufficiale a Tirana, il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ha nuovamente chiesto al governo albanese la chiusura delle scuole legate a Fethullah Gulen e l’estradizione dei loro membri, considerati da Ankara veri e propri “terroristi”. Il ministro degli Affari Esteri albanese Ditmir Bushati si è però opposto a questa richiesta, dichiarando che, in quanto membro della NATO e candidato all’adesione all’UE, l’Albania è tenuta a rispettare le regole riguardanti l’estradizione.
Non è la prima volta che Albania e Turchia si trovano di fronte ad un evidente disaccordo sulla repressione del movimento gulenista nel paese. I numerosi interventi del presidente turco Erdogan sulla questione risalgono a ben prima del tentato colpo di Stato del luglio 2016.
Nel maggio 2015 in un discorso durante la cerimonia di apertura di una moschea, costruita con capitali turchi a Tirana, Erdogan aveva chiesto all’allora presidente Bujar Nishani di chiudere le scuole legate all’organizzazione guidata da Gulen. La pretesa aveva acceso un forte dibattito nel paese con la netta presa di posizione di Nishani secondo cui la richiesta era inaccettabile e che “le scuole di Gülen non rappresentano una minaccia né per l’Albania né per la Turchia”. Per rendere il messaggio ancora più esplicito, qualche giorno dopo, il presidente si era recato al Turgut Özal College di Tirana, istituto frequentato dalla figlia e una delle scuole considerate appartenente al movimento gulenista.
Dopo il fallito colpo di Stato, il governo turco ha ribadito con sempre più forza le proprie richieste dato che l’Albania è considerata come il paese balcanico con la più importante presenza di gulenisti nelle strutture statali. Nel 2017, il capo del Consiglio supremo della radio e della televisione turca (RTÜK) İlhan Yerlikay aveva chiesto al presidente dell’Audiovisual Media of Albania (AMA) di adottare le “misure necessarie” contro un canale televisivo che aveva trasmesso un documentario, intitolato “L’amore è un verbo”, considerato come propagandistico in favore del movimento Hizmet.
Gli sforzi e le pressioni esercitate non hanno però ottenuto i risultati sperati. Il governo albanese si è sempre mostrato piuttosto scettico nel sostenere le richieste turche nonostante gli ottimi rapporti tra i due paesi. La motivazione è semplice: il movimento gulenista è profondamente radicato nel paese, soprattutto nel settore educativo e della formazione universitaria, e il governo considera un’eventuale azione repressiva come controproducente rispetto ai propri interessi. I numerosi istituti scolastici sostenuti da Gulen hanno avuto la funzione di garantire un alto livello di formazione all’élite albanese, creando uno stretto legame tra la classe dirigente e il movimento.
Gulen, attraverso le sue organizzazioni, cominciò ad operare in Albania già a partire dagli anni ’90 con il sostegno dello stesso Erdogan. Da allora la sua presenza si è fatta sempre più evidente con l’apertura di numerose scuole, università e centri culturali. Sei dei sette seminari islamici presenti nel paese farebbero direttamente riferimento ad esso così come alcune delle più importanti università del paese.
La capillare rete costruita dal movimento in questi ultimi vent’anni è stata favorita dai forti legami che si sono venuti a creare tra i due paesi, dopo decenni di distanze e diffidenze legate alla lunga occupazione ottomana. L’Albania è stata infatti dominio dell’Impero dal 1385 al 1912, anno della dichiarazione di indipendenza. Durante questi cinque lunghi secoli, il paese subì un processo di conversione all’islam che lo rende, tutt’oggi, il paese più musulmano d’Europa con oltre il 55% degli abitanti appartenenti alla fede islamica. I primi anni di occupazione furono caratterizzati dai tentativi di resistenza contro l’esercito ottomano da parte dei principi albanesi guidati dal “padre della patria” Skanderberg. Nonostante alcune importanti vittoria, l’Impero riuscì ad imporre il proprio potere fino alla fine dell’ottocento quando la nascita della Lega di Prizren, nel 1878, gettò le basi per la costruzione di uno Stato nazionale albanese e il riconoscimento di una propria lingua. L’obiettivo della Lega era quello di difendere i territori considerati albanesi non solo dall’Impero ma anche dalle vicine Serbia, Montenegro e Grecia che impedivano la formazione di una Grande Albania, comprendente anche il Kosovo e la regione dell’Epiro.
Durante la prima guerra balcanica del 1912, scoppia nel paese una nuova rivolta che porterà questa volta alla dichiarazione di indipendenza da parte di Ismail Qemali con il sostegno dell’Italia e dell’Austria. Da allora i rapporti con la Turchia furono tutt’altro che amichevoli dato che l’occupazione ottomana veniva considerata come un periodo buio per la nazione albanese. Dopo la fine del comunismo negli anni ’90, si è invece assistito ad un deciso cambio di rotta nelle relazioni tra i due paesi. Il passato, che prima divideva, adesso viene utilizzato come elemento di base per sottolineare i comuni interessi e una “fratellanza” tra il popolo turco e quello albanese. La cooperazione cominciò durante le guerre jugoslave degli anni ’90 con la firma di un patto di sostegno militare. L’obiettivo era impedire un possibile allargamento del conflitto anche all’Albania, da sempre interessata a riconquistare il Kosovo.
In linea con la politica turca nei Balcani, interessata a esercitare un’influenza sempre maggiore nei paesi della regione, anche l’Albania ha goduto in questi anni di un importante sostegno economico soprattutto dopo l’entrata in vigore nel 2008 di un accordo di libero scambio. Secondo il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, gli investimenti delle imprese turche nel paese hanno raggiunto quest’anno la cifra di 2,5 miliardi di $, mentre il valore degli scambi commerciali bilaterali sono pari a circa 400 milioni. Tra i principali investimenti futuri vi è la costruzione dell’aeroporto di Vlora (Valona) per un costo complessivo di 90 milioni di euro finanziato dalle stesse aziende che hanno sostenuto la costruzione dell’aeroporto di Istanbul. Strettamente legato a questo progetto è la nascita nel novembre di quest’anno della prima compagnia aerea albanese, Air Albania, grazie all’intervento diretto della Turkish Airlines che detiene il 49% della proprietà. Non a caso il primo volo di Air Albania è partito da Tirana in direzione Istanbul.
Sul piano politico le relazioni sono state dominate dal sostegno di Ankara al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo e, come contropartita, all’aperta condanna di Tirana del fallito colpo di Stato turco nel 2016. I due paesi inoltre condividono l’appartenenza alla NATO e lo status di paesi candidati all’adesione all’UE. Una questione, questa, che in passato ha favorito il reciproco sostegno a supporto del lungo processo di integrazione europea.
La Turchia rimane quindi un partner fondamentale per la crescita economica dell’Albania e il governo non ha nessuna intenzione di veder peggiorati i rapporti politici ed economici con un paese così importante. Nonostante ciò, le continue richieste di Erdogan nei confronti del movimento gulenista vengono considerate da Tirana come un’intromissione nei propri affari interni e come un atteggiamento paternalistico che non rispecchia e non rispetta l’indipendenza dello stato albanese.
Fino ad adesso Erdogan si è limitato ad esercitare pressioni sul governo albanese, senza però minacciare ritorsioni e limitazioni degli investimenti. Ad entrambi i paesi interessa infatti continuare sulla strada della cooperazione e degli scambi, ben più importanti della voglia di reprimere il movimento gulenista. La questione non sembra quindi al momento mettere in discussioni i rapporti bilaterali e, probabilmente, non lo farà neanche in futuro.