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Gabriella Pession: “Non sono una femminista anti-maschio. Ma la donna subisce discriminazioni: va trattata alla pari e con gentilezza”

Flavia Piccinni 09/12/2018
Gabriella Pession si racconta ad HuffPost: “A 14 anni mi sono trovata senza lo sport. Non sapevo più chi ero. Poi, per fortuna, ho incontrato il teatro”.

Gabriella Pession è due occhi verdi, e una pelle bianca che ricorda la porcellana o, piuttosto, il viso incipriato di certe damine dell’Ottocento. Eppure di queste damine non ha certamente il carattere: battagliera e alquanto anticonformista, passa dal cinema al teatro. Sul grande schermo s’affaccia adesso nell’ultima commedia di Leonardo Pieraccioni “Se son rose”: suo è infatti il ruolo di Elettra, professoressa universitaria divorziata e felicemente cinica – una delle migliori interpretazioni della pellicola, insieme a una straordinaria Antonia Truppo.
A teatro da qualche settimana porta in giro uno spettacolo che si è letteralmente tagliata su misura: l’ha scelto, l’ha acquistato, dunque l’ha tradotto e per anni ha atteso che venisse prodotto. Si tratta di After Miss Julie di Patrick Marber, liberamente tratto da La signorina Giulia di August Strindberg che nel 1888 fu oggetto di uno scandalo clamoroso nella società svedese, all’epoca puritana e conformista. “È stato – mi spiega, scandendo piano le parole – un colpo di fulmine. L’ho visto per la prima volta nel 2016 a Londra, dove mio marito Richard Flood interpretava il ruolo che ora è di Lino Guanciale, con cui avevo lavorato nella serie La porta rossa. Mi sono innamorata del testo, e subito ne ho capito il potenziale: la rarità di un ruolo femminile così complesso e ricco, che è perla rara per un’attrice. Pensare che ho messo io insieme questa cosa, con pazienza e amore, durante gli applausi finali mi commuove sempre”.
Miss Julie è un personaggio controverso. Capace di alternare picchi e burroni. Quale caratteristica più le assomiglia?
A volte anche io avverto un malessere delle cose finite. C’è un tempo limitato su questa terra, e la mia ansia è che tutto mi sfugga dalle mani.
Come ha imparato a dominarla questa angoscia?
Il mio lavoro, e la mia creatività, aiutano a esorcizzare questi demoni e ad allontanare il pensiero della mortalità. Recitare è stare in un luogo protetto e irreale: il palcoscenico. Essere mamma mi dà un senso di responsabilità che va oltre le mie paturnie esistenziali. Avere avuto un figlio mi ha fatto mettere i piedi per terra.
Deve anche averle complicato non poco l’organizzazione famigliare e lavorativa.
Con mio marito cerchiamo di non assentarci per troppo tempo. Ultimamente lui è stato all’estero per una produzione importante. È stato via per cinque mesi. Sono tanti se li consideri nell’immediato, meno nell’arco di un’esistenza famigliare.
Lei si sente una privilegiata?
Certo. Ho la fortuna di fare un mestiere speciale e le produzioni sanno che con me si muove un piccolo team. Adesso mio figlio è piccolo, sarà più difficile quando andrà alle elementari e già so che rinuncerò a delle cose, selezionandole per giustificare la mia assenza, perché non lo metterei mai per secondo. Eppure, proprio perché so di essere una privilegiata, ogni giorno mi batto per le donne che non hanno la mia situazione.
Anche nel mondo dello spettacolo non mancano le discriminazioni, come denunciato a livello internazionale da grandi attrici.
Questo è indubbio. Una donna per essere ascoltata deve essere intelligente, paziente, diplomatica e comprensiva. Deve ripetere le cose dieci volte. Nel lavoro c’è una grande misoginia. Ed è incredibile che ancora oggi gli attori maschi di solito vengano pagati di più.
In che modo lei si sente discriminata sul set in quanto donna?
Siamo sul set. Stiamo girando una scena e il regista si rivolge all’attore maschio, quando in scena ci sono anche io. Oppure: quando un maschio sbaglia il regista si arrabbia molto meno. Queste cose mi fanno andare su tutte le furie. Io esigo il medesimo rispetto. Se non di più.
Perché di più?
Perché noi donne andiamo trattate con gentilezza. Ma sono contrarissima alle femministe anti-maschio. Io non sono anti-uomo. Fare pace fra di noi e comunicare in modo maturo è la chiave. Non dobbiamo fare una guerra contro gli uomini. Ognuno ha il suo punto di forza, e uno deve mettere in risalto quei punti. Nel rispetto reciproco.
Si sente femminista? Le cose che dice lo sono molto.
Non sono una femminista. Ma una che rispetta i diritti dell’individuo. La definizione femminista non mi piace.
Per quale motivo?
È stata usata molto, e con un’accezione di grande aggressività. Non mi sento una femminista, ma una donna forte che esige un rispetto forte e paritario fra maschi e femmine.
Lei ha un figlio maschio. Cosa gli insegna?
La differenza fra i generi. Quando mi ha detto: noi maschi siamo più forti, gli ho spiegato che i maschi hanno più muscoli, ma la donna ha una forza diversa. Ci troviamo a confrontarci con un inconscio collettivo che avanza da anni. Io me ne accordo sulla mia pelle, di queste dinamiche misogine, e ho molta poca tolleranza.
C’è una sua dichiarazione che mi ha fatto pensare: “Io sono il contrario della donna solare e perfetta, della fidanzatina d’Italia”.
Ho fatto tanta TV generalista. La rifarei, ma ti lascia addosso l’etichetta del personaggio che rappresenti. Per il pubblico diventi una figurina. Ma un’artista è molto di più. Ho fatto film in costume, in azione, e tanto teatro. Venire definita la fidanzatina d’Italia è l’etichetta più noiosa che mi si possa dare. Mi piace interpretare ruoli differenti, e che la gente non mi riconosca se non per la voce.
Effettivamente cambia spesso atmosfera, personaggio e indole.
Oggi la passione della mia vita è fare commedia. Ma se ne scrive pochissima. Quando Pieraccioni mi ha chiamato per “Se son rose” ho detto subito di sì, a scatola chiusa. I suoi film hanno una grazia e una piacevolezza unici. E poi io e lui siamo come fratello e sorella.
In che senso?
Non ci prendiamo sul serio.
So che ha appena scritto anche il soggetto per una serie noir. E che con Pieraccioni sta lavorando a un nuovo progetto.
Tutto è nato scherzando, e ridiamo dicendo che stiamo scrivendo il mio nuovo ruolo via WhatsApp.
È instancabile.
Io mi diverto tanto. I tempi sono lunghi. Anche per After Miss Julie ci ho messo due anni e mezzo. Tutto va pianificato prima. Il minimo è essere in scena. Il lavoro è tutto quello che ci vuole prima.
Spesso hanno detto che lei ha sofferto di disturbi alimentari.
Assolutamente no! Come tutte le ex ballerine, quando fai uno sport agonistico hai una cura al corpo necessaria. Ero molto dura con me stessa. Ma l’anoressia non c’entra niente.
E cosa era?
Una grande rigidità. Quando ho smesso di pattinare ero molto magra e nella mia testa ero una pattinatrice, anche se nella realtà non lo ero più. A quattordici anni mi sono trovata senza lo sport. Non sapevo più chi ero. Poi, per fortuna, ho incontrato il teatro.