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Dalla Siria all’Afghanistan: instabilità permanente

GIANCARLO GUARINO – 28 DICEMBRE 2018
La ‘mossa’ di Trump ha un peso notevole e potrebbe avere degli effetti molto significativi sulla politica mondiale.

In questi giorni si è sparsa la notizia, solo parzialmente inattesa, del ritiro di una parte delle truppe statunitensi dalla Siria e dall’Afghanistan. La notizia in sé, in un Paese come il nostro così poco attento alla politica internazionale, non farà un grande effetto, come la ‘visita’ dell’avvocato del popolo in Libia a tutti quanti … una sorta di visita apostolica, sulla cui logica meglio non pronunciarsi, ma subito ‘salutata’ da un attentato a Tripoli. Segnalo solo, per ovvi motivi di coscienza, che dei nostri militari sono presenti in Afghanistan (per motivi incomprensibili) e ora saranno in una situazione di maggior pericolo: sorprende che nessun membro, sotto-membro, para-membro del nostro Governo, sia stato consultato (figuriamoci!) ma abbia avuto qualcosa da dire, quasi fosse una banalità.
Ma la ‘mossa’ di Donald Trump ha un peso notevole e potrebbe avere degli effetti molto significativi sulla politica mondiale.
È certo che Trump ha compreso e non da ora, che il futuro della ‘grande politica’ internazionale non si gioca più in Medio Oriente o in Nord Africa e quindi si propone di rivolgere l’interesse degli USA ad altre zone del mondo: in particolare l’estremo oriente, la Cina, insomma.
Da un punto di vista geopolitico, il tema diventa quello delle alleanze. Innanzitutto con l’Europa, alla quale gli USA da molti anni offrono quella che definiscono (e gli europei, sia chiaro, desiderano) una sorta di ‘protezione’ contro la Russia. Ciò, a mio parere ed in maniera sempre più evidente, è ormai un residuo del passato. Di quel passato che dopo la seconda guerra mondiale, che costò alla Russia molti milioni di morti, volle vedere nella Unione Sovietica una sorta di nemico globale da contenere e confinare al massimo, mediante la cosiddetta ‘cortina di ferro’, così definita in particolare da Winston Churchill, nel 1946, per dire che l’URSS aveva creato una sorta di impero, che includeva alcune delle vecchie ‘capitali’ europee: Varsavia, Budapest, ecc. ed si chiudeva al resto del mondo. Non era esattamente così, ma non si può negare che a questi tentativi ‘espansionistici’ sovietici (ma più difensivi che altro, mi pare) vi fosse una risposta da parte ‘occidentale’, dato che, appunto gli USA non mancarono di estendere la propria influenza su gran arte dell’Europa occidentale: Yalta, insomma.
Ma, non è qui ormai il caso di discutere della maggiore o minore ‘influenza’ dei vari ‘imperi’ sugli Stati ‘satelliti’. Sta in fatto che vi fu, e, in gran parte per quanto attiene gli Stati ‘occidentali’ permane, almeno per l’Italia i cui governanti non perdono occasione per correre a Washington a scodinzolare dinanzi ai governanti americani. Peraltro lo scioglimento della Confederazione sovietica, ha determinato un evidente indebolimento della Russia, i cui confini sono presidiati sempre più da presso da Stati ostili, o in cui l’ostilità verso la Russia viene incoraggiata.
Negli ultimi anni, la Russia ha, però, ripreso vigore e ha svolto, tra le altre, due complesse azioni: laoccupazione e annessione della Crimea con l’inizio del conflitto nella regione del Donbass in Ucraina. E, in secondo luogo, ha cominciato ad intervenire sempre più pressantemente in Siria, sostanzialmente allo scopo di assicurarsi basi navali nel Mediterraneo.
In Siria, in particolare la sua presenza è stata decisiva, perché è riuscita in qualche modo a fare riprendere una sorta di negoziato di pace tra il Governo (certamente orrido, ma) legittimo di Damasco, i ribelli del regime stesso (troppo fortemente divisi tra di loro per contare realmente, almeno finora), i curdi, che nel frattempo hanno occupato e creato un vero e proprio Stato nella parte orientale della Siria, al confine con l’Iraq.
In questo gioco di scacchi, vi sono altri attori solo apparentemente secondari: la Turchia, sempre meno ‘fedele’ agli USA, che ha mire espansionistiche in Siria, sostanzialmente per impedire il consolidamento dei curdi, specialmente nella zona nordoccidentale della Siria; l’Iran, in conflitto con una parte rilevante del ‘mondo mussulmano’ guidato dall’Arabia Saudita (alleata strettissima degli USA), ma desiderosa di espandere la propria influenza sulla parte occidentale della Siria, per creare una sorta di ‘corridoio’ sciita che colleghi l’Iran al mare, per così dire, agli Hezbollah, al Libano; Israele, Stato che non riesce (e nemmeno ci prova, in verità) a risolvere la questione palestinese e non riesce nemmeno a trovare un appeasement con gli sciiti, ostili ad Israele fin dalla sua nascita e alleati (tiepidi invero) dei palestinesi, sempre più in difficoltà e abbandonati da tutti; l’ISIS, lo Stato islamico che ha portato devastazioni non solo in loco ma in mezzo mondo, ma attualmente ridotto ad un minimo territorio, sotto scacco dei curdi; e i curdi, appunto, finora sostenuti dagli USA e che hanno sicuramente il grande merito di avere sconfitto militarmente (solo, purtroppo, militarmente) l’ISIS, ma sono odiati dalla Turchia, che non vuole i curdi alle sue frontiere; anzi non vuole i curdi affatto.
In questa situazione complicatissima, il progettato ritiro degli USA ha due effetti immediati: indebolisce fortemente i curdi e crea qualche difficoltà ad Israele che conta, come i curdi, sull’appoggio americano per impedire l’espansione iraniana in prossimità dei suoi confini, tanto più che alleati degli Hzbollah libanesi, attualmente ‘sotto controllo’ di una forza armata delle Nazioni Unite, composta in gran parte da italiani, che deve evitare che possano agire, sia pure con azioni ‘terroristiche’, contro Israele. Da un punto di vista giuridico, questo garbuglio non è dei più facili da sciogliere.
Fisso, dunque, solo alcuni punti fermi e certamente indiscutibili.
Israele mantiene una situazione di tensione permanente in Palestina, della quale illecitamente occupa parti del territorio e cerca in tutti i modi di impedire la formazione di uno Stato di Palestina: forse con l’intento di assorbire l‘intero territorio palestinese, creandovi una sorta di regime speciale sul tipo di quello che l’Italia ha creato in Alto Adige. Mentre, sempre illecitamente, non solo detiene una parte delle alture del Golan (siriano) ma agisce spesso militarmente, con bombardamenti, all’insediamento di truppe iraniane in Siria: cosa illecita dato che la Siria è libera di ospitare sul proprio territorio chi crede. È evidente che l’annunciato ritiro USA (che, a loro volta non hanno alcun titolo a stare in Siria), che sembra rientrare in un progetto più ampio di cambiamento dell’asse di interesse strategico americano verso la Cina,indebolisce Israele, e la induce, come è sempre stata sua abitudine, ad incrementare le azioni militari aggressive sia verso i palestinesi che verso gli Stati vicini, contando sulla maggior forza delle proprie armi: azioni, comunque del tutto illecite. E infatti e non a caso, non manca di determinare situazioni di crisi, bombardando, senza alcun fondamento giuridico, località siriane suscitando (a mio parere, il 25 dicembre, deliberatamente come lascia intendere anche il quotidiano israeliano ‘Haaretz’ il 26 dicembre) una reazione siriana, allo scopo di mostrare agli USA la propria situazione ‘vulnerabile’: uno strano modo di farlo, ma Israele ha sempre fatto così, contando molto (duole dirlo) sul ‘senso di colpa’ nei suoi confronti. Maintanto ricatta tutti, costruendo 2.200 nuovi alloggi in territorio palestinese, cosa che più illecita non si può!
La Turchia, in una situazione di ambigua alleanza con la Russia (e con gli USA e la NATO, ma che ‘tiene per il collo’ l’intera Europa che la ‘finanzia’ con 6 miliardi di euro!) ha occupato illecitamente una parte del territorio siriano: ci si domanda da parte degli analisti se ciò non preluda ad un attacco in forze in Siria contro i curdi, abbandonati dagli USA. Il che però, lo dico solo incidentalmente, non ‘fa bene’ agli USA stessi, che appaiono alleati molto infidi. È un fatto, comunque, che la presenza turca in Siria, sia ad Afrin (Nord Ovest siriano) che sull’Eufrate è totalmente illecita.
I curdi lottano da decenni strenuamente per la propria autodeterminazione sotto la garanzia (peraltro molto debole) della Comunità internazionale. Una pretesa alla quale ormai non possono rinunciare, pena lo sterminio. Ma, contro la piena legittimità della loro pretesa, si schiera la illecita volontà turca, e non solo, di eliminarli. Dal punto di vista del diritto internazionale il popolo curdo (che ‘abita’ parte della Siria, dell’Iraq, dell’Iran e della Turchia!) ha pieno diritto alla costituzione di uno Stato indipendente, anche perché (pur senza entrare in una discussione tecnica approfondita) mai, fin da quando la costituzione di uno Stato gli fu improvvisamente impedita brutalmente dall’Occidente, hanno smesso di rivendicarla attivamente e oggi controllano quasi perfettamente una parte della Siria orientale e una parte dell’Iraq settentrionale, ai confini con la zona curda della Turchia … e dell’Iran.
La Russia, infine, svolge in Siria una doppia azione. Come alleato, perfettamente legittimo, della Siria, ha aiutato il regime siriano a combattere sia l’ISIS che vari gruppi ribelli siriani anti–regime, in gran parte (non si può non sottolinearlo) suscitati e finanziati da USA, Gran Bretagna e specialmente Francia: cosa illecita come poche per il diritto internazionale. Inoltre, come Stato ‘amico’ della Siria e richiesta di intervenire militarmente sul suolo siriano, ha cercato anche di organizzare un processo di pace, di estrema difficoltà, ma che in qualche modo procede.
Gli USA così come sono illegittimamente presenti in Siria, lo sono ancora di più in Iraq, al confine con l’Iran. E quindi che se ne vadano non è un problema, salvo che ‘abbandonano’ i curdi, che sono statidecisivi nella lotta contro l’ISIS e che ora saranno probabilmente attaccati dalla Turchia, nel silenzio dell’occidente europeo, ‘al guinzaglio’ di Erdogan.
Una situazione da mal di testa, che, a mio parere, ha, avrebbe una sola soluzione, un solo bandolo della matassa. L’analisi e la ricerca della soddisfazione delle legittime aspirazioni delle popolazioni locali, che giustamente accampano il diritto alla libera scelta del proprio destino, attraverso l’esercizio di un ordinato processo di autodeterminazione, in applicazione delle norme di diritto internazionale vigenti. Il guaio è che, una cosa del genere, spezzerebbe l’unita fittizia di questi Stati, determinando una situazione dai risvolti imprevedibili. Ma sarebbe legittima: ogni situazione diversa, penso, contribuirà al mantenimento della instabilità e quindi moltiplicherà i rischi, tra l’altro, di terrorismo.