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LIBANO. Una legge per i “desaparecidos” della guerra civile

14 novembre 2018, Nena News
Il parlamento libanese ha approvato lunedì un provvedimento che proverà a fare chiarezza sulle 17.000 persone scomparse o rapite durante il sanguinoso conflitto interno (1975-1990) e punirà severamente coloro che verranno giudicati responsabili delle sparizioni. 

Difficoltà, intanto, restano nella formazione di un governo a sei mesi di distanza dalle elezioni.

Una legge per indagare sui circa 17.000 libanesi “scomparsi o rapiti” durante la guerra civile in Libano (1975-1990). È quanto ha stabilito lunedì il parlamento libanese. La legge 19 non solo creerà una commissione ufficiale che proverà a fare chiarezza su quelli che sono “scomparsi forzatamente”, ma darà anche alle famiglie dei “desaparecidos” il diritto di sapere dove i loro cari sono stati sepolti, così come la possibilità di riesumare i loro cadaveri per identificarli. La legge, inoltre, prevede pene fino a 15 anni di carcere e multe fino a 20 milioni di lire libanesi (circa 13.000 dollari) per chi si è reso responsabile di quelle sparizioni. Una disposizione che, se applicata, potrebbe riguardare anche diversi parlamentari, allora protagonisti delle violenze settarie.
Soddisfazione per l’approvazione del provvedimento è stata espressa dal ministro degli esteri Gebran Bassil che su Twitter ha scritto che “per la prima volta dopo la guerra, il Libano inizia una genuina fase di riconciliazione per curare le ferite [del conflitto] e dare alle famiglie il diritto di sapere”. Ma a festeggiare sono soprattutto le associazioni dei diritti umani che da anni lottano per rendere giustizia alle vittime di quegli anni di guerra. “È un passo positivo per migliaia di famiglie. Siamo pronti a sostenere il governo nell’implementazione di questa legge cosicché le famiglie possano avere le risposte che cercano da tempo” ha commentato il Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc) su Twitter. Dal 2016, l’Icrc ha raccolto i dati biologici dai parenti dei desaparecidos così da potere comparare il loro Dna con quello delle vittime. Negli anni 2000 sono state formate con decreto ministeriale alcune commissioni di inchiesta per indagare sulle persone scomparse, ma non sono riuscite a fornire alle famiglie le risposte desiderate. Secondo quanto ha riferito Amnesty International, inoltre, organizzazioni locali e internazionali hanno identificato le fosse comuni, ma le autorità libanesi si sono rifiutate di proteggere i siti contro eventuali manomissioni.
Il passaggio lunedì del provvedimento rappresenta però un raro momento di unità nel Paese. Ieri, infatti, il premier designato libanese Saad Hariri è tornato ad accusare il partito sciita Hezbollah di ostacolare la formazione di un nuovo governo. Il leader di al-Mustaqbal – che lo scorso 24 maggio ha ricevuto l’incarico dal presidente Michel Aoun di formare il governo – ha detto che il “Partito di Dio” si dovrà assumere tutte le responsabilità politiche per come sta agendo, soprattutto per le ripercussioni che questo ritardo avrà sulla già disastrata economia locale.
Secondo gli accordi di Taif del 1989, che hanno posto fine ai 15 anni di Guerra civile, gli incarichi governativi sono suddivisi in base ai principali gruppi religiosi del Paese: 6 dicasteri sono assegnati ai sunniti, 6 agli sciiti e tre ai drusi. L’impasse attuale, scrive la stampa libanese, risiede nel fatto che Hezbollah vorrebbe all’interno dell’esecutivo 6 rappresentanti sunniti alleati. Una richiesta che il leader sunnita Hariri rigetta in quantoi 6 parlamentari in questione hanno fatto parte durante le elezioni di blocchi politici che sono già rappresentati all’interno delle quote governative assegnate. Nonostante appaia ancora lontana la risoluzione delle divergenze tra al-Mustaqbal e il Partito di Dio, il primo ministro ha però al momento escluso le sue dimissioni affermando che c’è ancora la possibilità di trovare una intesa.
Il Libano non è nuovo a ritardi nella formazione dei governi. Per via del suo complesso sistema politico confessionale, è spesso difficile trovare una intesa tra le varie componenti politiche e religiose presenti nel Paese. Nel 2009 lo stesso Hariri impiegò nove mesi per mettere su il suo primo esecutivo, e circa il doppio del tempo fu necessario a Tamam Salman per annunciare il suo nel 2014.
Quello che preoccupa però ora è che i donatori stranieri hanno avvisato che ulteriori ritardi potrebbero aggravare la già difficile situazione economica del Paese. In ballo c’è un pacco di aiuti dal valore di 11 miliardi di dollari che potrebbero essere persi qualora non si raggiungesse in tempi brevi un accordo tra le parti.