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LIBANO. Continua la lotta delle famiglie dei “desaparecidos”

29 novembre 2018, Nena News
Ieri i familiari degli scomparsi durante la guerra civile libanese (1975-90) hanno chiesto alle autorità locali di accelerare i tempi per la formazione della commissione di inchiesta che possa fare chiarezza su quanto accaduto ai loro cari. “Non cerchiamo punizioni, ma verità” affermano.

Le famiglie dei “desaparecidos” della guerra civile libanese (1975-1990) hanno ieri esortato le autorità libanesi ad accelerare i tempi per la formazione di una commissione che possa fare chiarezza su quanto è capitato ai loro cari. Il loro obiettivo, hanno ribadito, non è cercare una “punizione” per i responsabili, ma conoscere cosa sia capitato agli “scomparsi” e dare degna sepoltura alle vittime. Le famiglie hanno poi invitato tutti coloro che sono in possesso di informazioni di farsi avanti perché la riconciliazione nazionale non può non passare se non attraverso la ricerca della verità su quanto accaduto nel passato.
Una verità che è stata di fatto insabbiata in tanti decenni di guerra e “pace” da parte dei vari governi che si sono succeduti. Amnesty International e altre organizzazioni umanitarie hanno identificato negli anni vari siti dove sono presenti fosse collettive, eppure le autorità locali non li hanno mai protetti, né hanno mai voluto indagare. Tuttavia, un passo in avanti molto importante su questa questione è stato compiuto lo scorso 12 novembre quando il parlamento libanese, in un raro momento di un’unità, ha approvato una legge che prevede la formazione di una commissione che faccia chiarezza su quanto capitato alle circa 17.000 persone che sono scomparse nel nulla nei 15 anni di guerra civile.
Sul piano teorico la legge è il primo riconoscimento ufficiale del problema e premia la determinazione, il coraggio delle famiglie che da anni lottano per la verità. Concretamente, però, la realtà potrebbe essere diversa visto che molti protagonisti della scena politica libanese non vedono di buon occhio l’apertura del vaso di Pandora del passato in quanto essi stessi sono stati, chi più, chi meno, responsabili delle violenze e delle sparizioni durante la guerra civile.
Una giustificazione che alcuni usano per limitare e ostacolare i lavori della futura commissione d’inchiesta è che la ricerca della verità alimenta le tensioni interne nel Paese e potrebbe portare ad atti di vendetta. Accusa che le famiglie dei desaparecidos libanesi rigettano con forza dato che hanno scelto di “adottare il perdono in cambio del diritto a sapere”. “Questa legge non nasce per creare nuovi conflitti, ma porre fine a quelli vecchi” ha detto Wadad Halwani, fondatrice del comitato delle famiglie dei dispersi e il cui marito è stato rapito nel 1982. “Il nostro perdono non è personale, ma è un messaggio umano. Stiamo barattando le responsabilità per i crimini [commessi] nel passato per avanzare nel futuro”. Per Halwani la legge mira a regolare il processo di informazioni e cerca di creare il “giusto ambiente” per coloro che scelgono di fornire informazioni “in modo che possiamo girare tutti insieme pagina e porre fine alle nostre sofferenze”.
Dello stesso avviso è Nizar Saghieh, avvocato del gruppo “Agenda Legale” che sta seguendo legalmente la lotta delle famiglie: “Ogni minaccia di punizioni può ora complicare la ricerca della verità”. Saghieh ha poi definito “non necessaria” la clausola della legge che punisce chi viene ritenuto responsabili di quei crimini in quanto il diritto libanese già prevede pene per questi tipi di reati. Il problema è però che dimostrare un crimine di sparizione forzata è difficile in quanto chi sa teme di fornire informazioni per non subire attacchi di rappresaglia. Senza poi dimenticare che alcuni testimoni sono morti.
La coraggiosa lotta dei desaparecidos deve però affrontare soprattutto il grande ostacolo rappresentato dal mondo politico locale. La cosiddetta “riconciliazione nazionale” raggiunta con gli accordi di Ta’if del 1989 che hanno posto fine alla guerra civile, si basa su un fragilissimo equilibrio in cui a ciascuna componente etnico-religiosa corrisponde una precisa fetta di seggi parlamentari da occupare. Una situazione che, nei fatti, si ripresenta spesso anche nella formazione dei governi su cui incidono le influenze delle potenze regionali (Arabia Saudita e Iran). Non sorprende dunque che a 6 mesi dalle elezioni il Libano non abbia ancora un governo. Un’ulteriore grana per i tanti che chiedono di sapere che fine abbiano fatto i loro cari.