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La violenza sessista si combatte cominciando dalle parole

Vanna Iori 23/11/2018
Il ministro dell’Interno, figura istituzionale che dovrebbe tutelare l’ordine pubblico, la sicurezza e l’incolumità di tutti i cittadini, ha pubblicato sui suoi profili Facebook un post contro tre studentesse minorenni che manifestavano contro il governo.

Lo ha fatto senza oscurare i volti delle ragazze, esposte alla gogna mediatica accompagnata da un commento dispregiativo che disonora il ruolo istituzionale che ricopre.

Ebbene, sotto quel post si sono scatenati, in un rito di hate speech selvaggio, migliaia di utenti. Nessuno ha cancellato quegli insulti sessisti o invitato quei tifosi a non utilizzare termini di inaudita volgare violenza. Nessuno ha pensato che, per garantire l’incolumità delle ragazze, sarebbe stato opportuno non mettere in mostra sulla piazza virtuale il loro volto. Prima “lezione” di educazione civica: non si può contestare il verbo del nuovo governo sovranista. Seconda: chi governa può sdoganare l’insulto, soprattutto verso donne minorenni.
Paradossalmente lo stesso ministro pensa di cavarsela promuovendo un bollino rosso per dare priorità alle denunce di stalking e violenze contro le donne, mentre non fa nulla per impedire che le sue orde di fan possano utilizzare le peggiori parole proprio contro le donne. Come ignorare che il nostro paese ha votato, all’unanimità, la ratifica della convenzione di Istanbul? Le norme per proteggere le donne ci sono già. Ma i femminicidi continuano perché il contrasto della violenza di genere richiede un impegno corale che riguarda la sfera culturale e prioritariamente l’ambito educativo.
Serve un grande investimento nella formazione all’autostima delle donne e delle bambine, nei centri antiviolenza, nei percorsi per l’autonomia abitativa e lavorativa delle donne e nell’educazione scolastica. Non un ministro che con le sue parole contribuisca al clima di imbarbarimento del dibattito pubblico e al dilagare della violenza verbale. Cancelli quel post, ministro, e chieda scusa a nome di chi ha utilizzato parole indegne per una società civile.
Quella violenza online che ha suscitato indignazione mette in evidenza una diffusione ancora più vasta e pericolosa di stereotipi sessisti che condizionano la dignità delle donne in quanto persone, le relazioni familiari, i rapporti di lavoro, i percorsi di carriera. L’aggressione verbale apre la strada alla violenza corporea. Occorre ribadire l’importante, e non più differibile, necessità di potenziare l’educazione socio-affettiva nelle scuole, far crescere il rispetto delle differenze di genere e delle pari opportunità, il contrasto agli stereotipi. Senza un’azione educativa determinata e diffusa, si continuerà anche in futuro ad assistere, muti e sgomenti, ai drammi dei femminicidi.