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In ricordo della famiglia Grossi, antifascisti italiani tre volte esuli

Tradotto da Francesco Giannatiempo – Editato da Fausto Giudice 30/10/2018
“Dispaccio n°40 del 27.09.1929, Casellario Politico Centrale (Roma). Dall’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires al Ministero dell’Interno (Roma): Il responsabile Gazzera informa che l’avvocato sovversivo Carmine Cesare Grossi, con data 25.06 dell’anno in corso, si è recato a Montevideo insieme all’anarchico Tognetti per un giro di conferenze contro il governo nazionale. Grossi è pericolosissimo. Bisogna rinforzare la vigilanza.”

Nel 1926 il fascismo del regime di Mussolini attanagliava Napoli; un male che, molto al di là dell’Italia, minacciava di trasmettersi come la peste per la maggior parte del mondo e andava combattuto con determinazione.
Gli attacchi commessi dalle “camicie nere” del fascio arrivarono a tal punto che Carmine Cesare Grossi, nato il 21 maggio del 1887 e nonostante la sua giovane età fosse già un prestigioso avvocato penalista di Napoli, fu costretto ad abbandonare l’Italia per esiliarsi in Argentina con tutta la sua famiglia: la sua compagna, Maria Olandese, e i suoi figli Renato, Ada e Aurelio ancora piccoli. Tanto Cesare (tutti lo chiamavano col suo secondo nome) che Maria erano socialisti puri, nel senso di socialisti utopici, e poi socialisti libertari.
Nel novembre del 1926 arrivarono a Buenos Aires, città in cui vivranno per quasi dieci anni. Cesare lavorerà come editore e redattore nel quotidiano “L’Italia del Popolo”, organo dell’antifascismo italiano in Argentina, fondato in contrapposizione al giornale fascista “Il Popolo d’Italia”, e anche nella rivista letteraria di spicco “Nosostros”.
La famiglia Grossi a Puerto Nuevo, Buenos Aires, giorno della partenza per il Belgio – 11 agosto 1936
D’altro canto, farà parte di diversi comitati e circoli antifascisti che in tutta l’Argentina, ed anche in Uruguay, denunciavano attivamente il regime di Mussolini e la nascita e l’espansione del nazionalsocialismo in Germania. Intanto, i Grossi oltre a seguire tutte le notizie che giungevano dall’Europa, si informavano con particolare interesse di ciò che andava succedendo in Spagna e, più concretamente, in Catalogna. Così fu che giunse il momento in cui, mentre il fascismo e il nazionalsocialismo svettavano incontrollati per il continente, in Spagna si proclamava la IIaRepubblica – in teoria, sociale e dei lavoratori – in conseguenza delle elezioni dell’aprile ‘31. Com’è noto, la IIa Republica costituì un’epoca conflittuale, infestata di errori e controsensi che daranno luogo a fatti esecrabili, sostanzialmente non diversi da quelli patiti prima della sua proclamazione. Alla fine, l’ala dell’estrema destra dell’esercito, con il beneplacito degli altri poteri reali, lavorò per un colpo di stato che scoppierà nella notte del 17 luglio 1936, sfociando in una guerra civile che, conforme all’ideologia dei propri autori, nasconderà un programma perverso di genocidio sistematico contro il popolo insubordinato.
È noto a tutti che i militari sollevati contro il governo non avrebbero raggiunto i propri obiettivi con la velocità inizialmente prevista. A Barcellona, a partire dal 18 luglio il popolo in armi paralizzò questa insurrezione militare, causando in questo modo il rovesciamento del potere politico, militare ed economico dello Stato. Quello precedente avrebbe portato a un modello di società basato sulle impostazioni anarchiche della FAI1 e del CNT2, che erano le organizzazioni con maggiore influenza nel movimento operaio, attraverso cui mettere in pratica i principi inerenti al comunismo libertario. In tal modo, si metteva in marcia un processo di collettivizzazione sia nel settore agrario che in quello imprenditoriale, nella misura in cui i rispettivi padroni avevano smesso di poter contare sulla forza repressiva dello Stato. Molti furono i proprietari terrieri e gli industriali ad abbandonare le proprietà, avendo perduto l’appoggio istituzionale di cui godevano prima dello scoppio della rivoluzione sociale. Gli stessi lavoratori avrebbero preso le redini dei loro posti di lavoro, mettendo in pratica l’autogestione. Tra i tanti, alcuni esempi furono le collettivizzazioni dei tram di Barcellona, della birreria Damm, della Hispano-Suiza [nota azienda automobilistica spagnola; NdT], la CAMPSA [Compañía Arrendataria del Monopolio del Petróleo, S.A. – Azienda Concessionaria del Monopolio del Petrolio; NdT], etc.
Decisione e partenza dall’Argentina
Prima di passare a fare un riassunto della permanenza dei Grossi a Barcellona (1936-1939) è necessario tenere in conto che tutti i movimenti di Cesare, di Maria, e dei loro figli appena furono adolescenti, venivano osservati con la frequenza e i dettagli richiesti dalla polizia politica del regime di Mussolini – la OVRA (nome derivato da piovra e inventato da Mussolini, più tardi interpretato come acronimo di Organizzazione per la Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo) – anche all’estero in tutti i paesi che mantenevano relazioni diplomatiche con l’Italia o nei relativi centri di spionaggio attentamente camuffati. Esiste un elevato numero di dossier, lettere e dispacci relativi ai Grossi, datati dagli inizi del 1927 fino al 1943 incluso. Gli originali sono depositati a Roma, nel Casellario Politico Centrale dell’Archivio Centrale dello Stato. 
I Grossi in Belgio, inizi di settembre del 1936
Infatti, e come esempio, il dossier n°46 del 17/09/1936, inviato dall’Ambasciata italiana a Buenos Aires, indirizzato a Roma al Ministero degli Affari Esteri e al Ministero dell’Interno e in copia conforme ad Anversa in Belgio al Consolato italiano, recita testualmente: “Comunico che, d’accordo con un’informazione confidenziale trasmessa a questa Direzione di Pubblica Sicurezza, il giorno 11 di questo mese l’avvocato Carmine Cesare Grossi e la sua famiglia sono arrivati ad Anversa a bordo della nave belga Pionner, proveniente da Buenos Aires. Il detto avvocato, durante la traversata, ha portato a termine un’attiva propaganda sovversiva. I Grossi hanno trovato alloggio all’Hotel Max di Anversa e pare che prossimamente si dirigeranno in Spagna. Sebbene non se ne sappia molto. Firmato: L’Ambasciatore (Annotazione a mano: Si comunichi a Napoli).”
La famiglia Grossi decise di porre termine alla propria residenza a Buenos Aires dopo un’assemblea familiare tenutasi a causa delle notizie che erano pervenute loro dalla Spagna. Accadde intorno al 20 luglio del 1936. Da lì abbandoneranno Buenos Aires – come già avevano fatto nel 1926 quando lasciarono Napoli – e tutte le loro attività, come anche tutto ciò che avevano ottenuto nella loro nuova vita in Argentina. L’11 agosto del 1936, si imbarcarono con rotta verso Barcellona passando per Anversa, città a cui arriveranno da Buenos Aires. Dalla città portuense fiamminga, si spostarono a Bruxelles e, dopo una breve sosta, viaggiarono in treno verso Parigi. Giorni dopo, un altro treno li porterà alla “Rosa de Fuego”3 dove arriveranno il 30 di settembre. Dopo diverse soste in alberghi collettivizzati per accogliere i combattenti volontari stranieri, verrà loro concesso un appartamento confiscato a una famiglia fascista che era fuggita a Saragozza il 18 luglio e ubicato nella via Córcega 250.
“La Plaza de Cataluña è come un gran porto dove trovano riparo gli stranieri che giungono per intervenire nella lotta di liberazione della Spagna dall’invasione dei reazionari, dei “marocchini” e dei fascisti italiani” (Cesare Grossi).
Così nasce Radio Libertà – sita al 594 dell’Avenida Diagonal, nello stesso edificio in cui si trovava il Ministero della Propaganda. Cesare Grossi la dirigeva, e per l’emittente scriveva i testi che riferivano in maniera attendile le notizie dai fronti con i fatti della guerra minuziosamente dettagliati e analizzati. Sua figlia Ada, nata il 10 aprile 1917, verbalizzava i testi di suo padre, arrivando a essere conosciuta come “la voce della Spagna insanguinata”. L’emittente raggiungeva l’Italia, dove veniva ascoltata clandestinamente, tant’è che le autorità fasciste diedero ordine di intercettarne le trasmissioni. Ma Radio Libertà, cambiando spesso l’orario, riusciva a essere seguita e ascoltata da migliaia di persone sia in Italia che in Spagna – stracolma di soldati al servizio del fascio – passando per la Francia. Da questa emittente si incitavano i soldati italiani alla diserzione e a unirsi alla lotta del popolo spagnolo. È noto che in Spagna ci furono numerose diserzioni e che in Italia molti si negarono a prendere servizio come nuove leve. In Italia, le trasmissioni provocarono tumulti e, di conseguenza, l’arresto e la punizione di numerose persone.
Tra l’altro, Radio Libertà narrò in dettaglio la sconfitta dei fascisti a Guadalajara, facendo menzione speciale di Cipriano Mera, indiscutibile artefice dell’unica grande battaglia vinta dalla IIaRepubblica. Questo tipo di notizie si contrapponevano a quelle tendenziose e faziose che venivano divulgate dai mezzi di comunicazione italiani, scatenando la collera del regime di Mussolini che, in capo a pochi anni, si sarebbe vendicato di Cesare Grossi nella forma più perversa e crudele che si possa immaginare…
Da Radio Libertà si denunciavano anche gli abusi e i crimini degli stalinisti. Tra questi, il caso dell’assassinio di Guido Picelli, fondatore degli Arditi del Popolo, comandante del Battaglione Picelli e membro della Brigata Garibaldi.
Funerale di Guido Picelli
Cesare Grossi era amico personale di Guido Picelli, dato che si conoscevano dai tempi delle Barricate di Parma (1922). Conosceva di prima mano le esperienze amare e desolanti di Picelli durante la sua permanenza in URSS e di come il NKVD4 ce l’aveva con lui. Infatti, il 5 gennaio del 1937, quando Guido stava montando una mitragliatrice al fronte di Mirabueno (Guadalajara), uno degli agenti di Orlov infiltrato nel suo battaglione lo crivellò di colpi alle spalle, causandone la morte. 
La denuncia del suo assassinio tramite Radio Libertà e la presenza dei Grossi ai funerali di Stato che gli vennero resi a Barcellona, non solo è rivelatore delle sue attività rivoluzionarie, bensì anche una delle chiavi di ciò che accadrà mesi dopo a Radio Libertà e a Cesare Grossi, nel corso degli avvenimenti del Maggio del ‘37.
Cesare Grossi, Maria Olandese e Ada Grossi formavano la delegazione italiana ai funerali di Stato a cui assistettero decine di migliaia di persone. I Grossi si sistemarono alla destra di Paolina, la vedova di Guido Picelli. Alla sua sinistra, insieme a due uomini ancora non identificati, si mise Vladimir Antonov-Ovseyenko, l’allora console generale dell’URSS a Barcellona. Sei mesi dopo i funerali di Picelli, venne chiamato a Mosca dallo stesso Stalin con un espediente. Qualche mese dopo essersi presentato al Cremlino, Antonov-Ovseyenko, strettamente vigilato, venne arrestato, inviato in prigione, torturato e, infine, fucilato nel febbraio del 1938.
Maria Olandese, nata il 1° dicembre del 1889, era un soprano drammatico eccezionale e lavorava come volontaria in vari ospedali aiutando i feriti che arrivavano dal fronte. Al contempo, in questi ospedali organizzava concerti, così come spettacoli operistici in altri centri della città per i combattenti che partivano per il fronte o tornavano in permesso a Barcellona. Sua figlia Ada, pianista e studiosa di perfezionamento di canto – soprano lirico, allora allieva di Dolores Frau al Conservatorio Superiore di Musica di Barcellona – si alternava accompagnando al piano o al canto sua madre quando le sue responsabilità a Radio Libertà o al Conservatorio lelo permettevano. E quando era il caso, le due riuscivano a formare anche un’orchestra composta da musicisti combattenti, sia stranieri che spagnoli.
Nel gennaio del 1937, mentre il padre, la madre e la figlia lottavano dalla retroguardia, i fratelli Renato (nato il 14 gennaio 1916) e Aurelio (nato il 24 gennaio 1919) entrarono insieme nelle fila dell’Esercito Popolare in una unità che ricalcava le loro idee e in cui la maggior parte dei combattenti erano membri della CNT. Sebbene non avesse ancora compiuto 18 anni, e siccome i due fratelli volevano combattere insieme, per poter entrare, Aurelio dovette alterare la propria data di nascita: non concepivano l’idea di separarsi. Renato, il maggiore, era violinsta e studente di ingegneria; Aurelio, il più giovane, studente di piano e canto. Entrambi erano radiotelegrafisti, lavoro che avevano appreso a Buenos Aires, poi perfezionato a Barcellona. Perciò verranno destinati in prima linea con questa specializzazione. Grazie alla loro nazionalità e al marcato accento argentino, quando parlavano in castigliano o usavano i primi rudimenti di catalano, erano noti come i fratelli “Tanos” (modo argentino di chiamare gli italiani). Lottarono nelle provincie di Malaga, Murcia, Albacete e Teruel, quando all’eplosione di una bomba Renato cadrà in stato di shock, mentre Aurelio rimarrà cieco dell’occhio destro a causa di una scheggia di mitraglia. Avrebbero potuto evitare questa disgrazia mettendosi a correre lontano, però vollero a tutti i costi salvare la squadra di radiotelegrafisti, altrimenti i loro compagni sarebbero stati abbandonati. Furono insigniti per questo atto di eroismo al fronte e, una volta che si furono ristabiliti dalle loro gravi condizioni, continuarono a combattere sempre come radiotelegrafisti in prima linea e, infine, nella difesa della provincia di Barcellona.
Tragedia e tradimento
Con l’arrivo della primavera del ’37, nel mese di maggio si va a creare un clima di convulsione nella retroguardia di Barcellona. Erano state promulgate leggi pro-governative che avevano restituito il potere alla Generalitat e allo Stato. D’altro canto, erano entrati a far parte del governo quattro anarchici della CNT: Federica Montseny, Juan García Oliver, Juan Peiró e Juan López, fatto che non fu certo di aiuto. Al contrario, costituì la via propizia alla controrivoluzione e, allo stesso tempo, alla sconfitta nella guerra. Bisogna anche considerare che Largo Caballero era stato costretto a dimettersi e il suo posto venne occupato da Negrín, probabilmente il personaggio più sinistro dell’ultima tappa della IIa Repubblica: il servitore incondizionato di Mosca e dei suoi agenti in Spagna. Dal 3 all’8 maggio, lo Stato e la Generalitat recuperarono tutte le competenze in Spagna, a Barcellona e in Catalogna. Si andava presagendo la tragedia.
Una delle prime misure fu il recupero dell’edificio della Telefónica – fino ad allora controllato dalla CNT e dall’ UGT– mediante il mandato esplicito alla Guardia d’Assalto, che provocò combattimenti sanguinosi e l’innalzamento di barricate per tutta la città. In tale contesto, veniva presa di mira ogni persona considerata antisovietica. Andrés Nin, fondatore e dirigente del POUM5, venne torturato e assassinato da agenti della polizia sovietica. Mosca lo considerava trotskista. Non si poteva più parlare. Altri assassinii brutali furono quelli degli anarchici italiani Camillo Berneri e Francesco Barbieri. Il 4 maggio erano stati entrambi nella sede di Radio Libertà collaborando con i Grossi: sul finire della sera del 5 maggio, vennero sequestrati da una pattuglia di 15 uomini con fasce dell’ UGT6 diretta da un “mosso d’esquadra” (poliziotto catalano della Generalitat) nell’appartamento che condividevano con altre compagne e compagni. Da lì, vennero portati in un appartamento nelle vicinanze utilizzato come “Čeka”7. Poi, durante la stessa notte del 5, li portarono a Plaza de Cataluña per giustiziarli. E ancora, dispersero crudelmente i loro cadaveri, quasi irriconoscibili per le bastonate ricevute e per i colpi con cui li avevano assassinati. Per quanto fosse possibile, riuscirono ad avvertire il compagno Umberto Marzocchi per incaricarlo del pericoloso e doloroso compito dell’identificazione dei loro cadaveri: Marzocchi, grande amico di entrambi, non ebbe acun dubbio.
A metà mattina del giorno 6 coincisero la confisca di Radio Libertà con il sequestro fisico di Cesare Grossi da parte di una pattuglia di stalinisti. Un compagno della radio e testimone dei fatti (si crede fosse il molto nobile e coraggioso corrispondente portoghese, incaricato dell’emittente per il Portogallo ubicata nella stessa sede, malgrado la consapevolezza che poi avrebbero confiscato anche la sua – cosa che poi avvenne – come anche per l’emittente per la Germania sotto ressponsabilità di un compagno tedesco, anche lui combattente volontario nella retroguardia di Barcellona) fece un appello urgente a tutta Barcellona che accorse come il vento, mobilitata in tutte le classi sociali. Così fu possibile che Cesari Grossi fosse individuato e liberato – già ripetutamente colpito per aver opposto resistenza e, con tutta probabilità, poco prima di essere giustiziato. Purtroppo, non fu possibile impedire che la radio cadesse in mano del potere sovietico e perdesse in questo modo l’intero contenuto rivoluzionario. Gli agenti di Stalin a Barcellona convertirono Radio Libertà in una schiava inginocchiata a Mosca. Ancora una volta, Negrín aveva l’opportunità di fregarsi le mani.
Questi fatti brutali non riuscirono ad alterare lo spirito internazionalista, socialista libertario dei cinque membri della famiglia Grossi. Anzi, al contrario avrebbero riaffermato la loro avversione contro il centralismo autoritario del comunismo sovietico, del comunismo istituzionalizzato il quale temeva che in qualche modo le conseguenze delle collettivizzazioni e di qualsiasi avanzata rivoluzionaria potessero ammorbare la Spagna, dove la cruda realtà era che al contempo si lottava tanto contro il fascismo come contro Mosca. Parole queste che i Grossi ripeteranno e diffonderanno durante tutta la loro vita, proiettandole come pensiero orientato alla riflessione dei fatti storici. Fino a poco tempo fa, Aurelio, l’ultimo dei Grossi morto lo scorso 6 aprile, avrebbe continuato a essere il notaio di questo scenario esecrabile. Una perversione portata ai limiti estremi del genocidio contro un popolo eroico che stava lottando contro qualsiasi forma di autoritarismo.
Aurelio mentre canta, il giorno dopo la liberazione dal Campo di Melfi – febbraio 1945
Esilio, dolore e valore
La guerra verrà persa nella maniera che ben conosciamo. I fascisti avrebbero finito per occupare tutta la Spagna, entrando a Barcellona il 26 gennaio del 1939. La resistenza repubblicana era scarsa. La città sarebbe finita sotto il comando militare del generale Yagüe che avrebbe prodotto un esodo di 46.000 persone, estendendosi fino al 10 febbraio. I posti di frontiera con la Francia saranno testimoni di un succedersi costante di sconfitti, feriti, di uomini, donne, bambini e anziani in condizioni disumane i cui sguardi riflettevano la paura e la rabbia e un dolore incommensurabile. Tutto questo, misto a fame, miseria e alla consapevolezza collettiva che non si sarebbe più tornati indietro.
Ancora una volta, la famiglia Grossi avrebbe conosciuto l’esilio sotto i bombardamenti degli aerei italiani FIAT. Quando giunsero a piedi alla frontiera francese ci sarebbe stato pure l’inizio della separazione tra Cesare, Maria, Renato, Ada e Aurelio. Gli uomini verranno internati nel campo di concentramento di Gurs (Pirenei Atlantici) e le donne in quello di Argelès-sur-Mer (Pirenei orientali). In quest’ultimo campo, i recinti maschili e femminili erano separati da una rete, sommando tutti i tratti di un vero campo di concentramento: era un luogo inabitabile e inumano. Malgrado ciò, non raggiungeva il grado di perversione del campo di concentramento di Gurs, il più infame esistito in Francia.
“Gurs, une drôle de syllabe / comme un sanglot / qui ne sort pas de la gorge”, Louis Aragon (Gurs, una strana sillaba / come un singhiozzo / che non riesce a venire fuori dalla gola).
Nel campo di Argelès, Ada conoscerà il suo compagno, lo spagnolo Enrique Guzmán de Soto (13 novembre 1917), attraverso la già menzionata rete. Senza la separazione di questa rete, si incontravano solo quando lei, grazie ai lavori da interprete nella parte di campo femminile, accompagnava qualche internata nell’infermeria che si trovava nel campo maschile. Enrique, l’unico spagnolo dell’infermeria, vi ricopriva funzioni di ausiliario di chirurgia. Allora, era uno studente avviato di medicina. Era stato membro delle Juventudes Libertarias8, poi della FAI e della CNT, quando fu a combattere al fronte. Lottò sempre insieme a Cipriano Mera, che lo chiamava affettuosamente Quique. Era un uomo molto intelligente, generoso e coraggioso; avrebbe passato lunghi anni della sua vita in prigione. Ada ed Enrique ebbero due figli: Ettore, accidentalmente morto nel 2010, e Sylvia, più giovane di nove anni, che sarebbe venuta al mondo una volta che suo padre fosse uscito dal penitenziario di Ocaña – l’ultima delle carceri in cui venne recluso. Durante la sua vita Enrique ricorderà con immutabile emozione che soltanto la sua nonna materna e Mera lo avevano chiamato Quique.
I Grossi vennero deportati dalla Francia in Italia, dove lo stesso Mussolini ebbe modo di concludere la sua vendetta contro l’avvocato rivoluzionario internazionalista Carmine Cesare Grossi, accanendosi sul primogenito Renato che avrebbe patito per tutta la vita la peggiore delle rappresaglie possibili. Oltre a essere caduto in un marcato stato depressivo a causa della sconfitta in guerra, a Gurs Renato, alla stregua di suo padre e di suo fratello minore Aurelio, patì un’infinità di maltrattamenti. In quel campo, venne ordinato il suo ingresso nell’Ospedale Psichiatrico di Lannemezan (Alti Pirenei). Da lì, fu deportato in Italia e direttamente internato in diversi centri di sperimentazione psichiatrica. Tempo dopo, Mussolini ricevette una richiesta per il trasferimento e confinamento di Renato a Melfi (Basilicata), dove avevano già deportato sia Maria che Aurelio. Si trattava di una domanda di carattere umanitario indirizzata al Duce in persona, affinché Renato potesse stare almeno insieme a sua madre e a suo fratello. La risposta fu il rinvio di questa richiesta attraverso il Ministero dell’Interno con la parola “NO” scritta a mano, in maiuscolo e con una “M” come firma: erano la grafia e la firma di Benito Mussolini che avrebbero determinato l’inabilitazione mentale di Renato Grossi. I documenti originali si trovano nell’ Archivio Centrale dello Stato (ACS) a Roma, Casellario Politico Centrale (Lettera a Benito Mussolini, del 16.08.1941; ACS, Divisione di Confinamento Politico del Ministero dell’Interno, b.722, lettera al Ministero dell’Interno, del 23.12.1941). 
In seguito a questi anni di pratiche psichiatriche infami, il recupero di Renato risultò impossibile, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici della famiglia per curarlo o, quantomeno, perché provasse qualche miglioramento. Praticamente ridotto alla condizione di automa, continuò a vivere fino al 12 agosto del 2001.
Maria Olandese e Aurelio Grossi a Napoli, 
pochi mesi dopo la liberazione dal Campo di Melfi – primavera 1945
Sebbene stessero attraversando la frontiera con la Francia da sposati, in Italia i Grossi vennnero separati: Maria passò direttamente al confino a Melfi; Aurelio al carcere di Poggioreale (Napoli) e poi a Melfi; Cesare al carcere di Poggioreale e poi a Ventotene.
La famiglia Grossi non sarebbe tornata a riunirsi se non dopo la fine della IIa Guerra Mondiale. Ada, che aveva seguito Enrique in Spagna, non riusciva a ottenere il visto per viaggiare in Italia. Qui, una volta restaurata la “democrazia”, il socialista Pietro Nenni – ministro degli Affari Esteri della repubblica italiana tra il 1946 e il ‘47, già brigadista nella Guerra di Spagna, glielo negò ripetutamente. Agli inizi del ’47, fu suo padre a ottenerlo per lei tramite Enrico de Nicola (presidente della Repubblica dal ’46 al ’48). Poco dopo, verso la metà del marzo dello stesso anno, con Ada e con Ettore poco più che bambino già a Napoli, avrebbero nuovamente arrestato Enrique a Madrid: lo avrebbero incarcerato a Carabanchel e, poi, a Ocaña.
Oltre a tutto ciò che si potrebbe scrivere sui Grossi, su queste come su altre pagine, non si riuscirà a raccontare per esteso e in maniera dettagliata le vicissitudini che li avrebbero visti protagonisti. Aurelio, l’ultimo membro della famiglia, che ci ha lasciato lo scorso 6 aprile a 98 anni, era l’unico combattente volontario italiano nella Rivoluzione e nella Guerra di Spagna rimasto in vita. Il 21 dicembre del 2016 ha ricevuto dalle mani di Luigi de Magistris – sindaco di Napoli – la nomina e decorazione a Eroe della Città di Napoli per la sua instancabile lotta a favore delle libertà in Spagna e in Italia. Era accompagnato da sua nipote Sylvia, appatenente alla CNT di Vigo, e da Aitor, anarchico, residente a Parigi e figlio di Sylvia. Ora, loro due sono gli unici discendenti e testimoni diretti che rimangono di questa nobile famiglia di combattenti. Coloro che hanno perso tutto in favore di una lotta internazionalista per la libertà dei popoli, della giustizia sociale per la restituzione della dignità che gli Stati hanno strappato loro.
Tre generazioni di Grossi – Capri, settembre 1955
Questo testo è stato scritto con l’intenzione di onorare l’unica famiglia straniera che, al suo completo, ha combattutto volontariamente nella Guerra Civile, dagli inizi alla sconfitta finale che avrebbe comportato la vittoria del fascismo in Spagna.
Con tutto il cuore: Che la terra sia lieve a voi tutti!
T. F. (in collaborazione con Sylvia Grossi)
NdT
1) FAI, Federazione Anarchica Iberica, fondata nel 1927;
2) CNT, Confederazione Nazionale del Lavoro, fondata nel 1910;
3) Rosa di Fuoco, com’è definita Barcellona dai circoli anarchici;
4) Commissariato del Popolo per gli Affari Interni, dicastero dell’URSS, successore della Čeka; Guido Picelli e la sua compagna Amelia Sampieri sono i protagonisti del romanzo di Alberto Bevilacqua “Una città in amore”
5) Partito Operaio di Unificazione Marxista di ispirazione marxista, trotskista e antistalinista nato nel 1935 e sciolto nel 1980;
6) Unione Generale dei Lavoratori, sindacato socialista fondato nel 1888;
7) Čeka, prima polizia politica sovietica, dal 1917 al 1922, quando fu ribatezzata NKVD;
8) FIJL, Federazione Iberica della Gioventù Libertaria, fondata nel 1932.