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GERUSALEMME. Bulldozer a Shuafat, demoliti negozi palestinesi

21 novembre 2018, Nena News
Questa mattina le autorità israeliane hanno distrutto 20 negozi nel campo profughi della Città Santa, a sole 12 ore dalla notifica. Un altro atto contro una comunità già colpita da assenza di servizi, repressione e le minacce contro l’Unrwa.

Sono arrivati questa mattina, a poche ore dalla notifica degli ordini di demolizione: è in corso in queste ore la distruzione di venti negozi palestinesi nel campo profughi di Shuafat, a Gerusalemme. I bulldozer sono entrati nel campo protetti da un ingente schieramento di poliziotti e soldati. Hanno circondato l’area e l’hanno chiusa, per impedire l’accesso.
Gli ordini di demolizione erano stati consegnati ieri notte, costringendo i proprietari dei venti negozi a svuotarli per non perdere le merci e i prodotti. Secondo quanto riportato da Thaer Fasfous, portavoce di Fatah nella Città Santa, l’Amministrazione Civile israeliana – l’ente responsabile per il governo di Tel Aviv dei Territori Occupati – ha dato ai negozianti solo dodici ore di tempo per portare via tutto prima della distruzione. Distruzione giustificata, come avviene sempre in Cisgiordania e a Gerusalemme est, con l’assenza di permessi di costruzione rilasciati dalle autorità israeliana e che non vengono praticamente mai rilasciati ai palestinesi.
I negozi distrutti erano forni, mini market, negozi di abbigliamento e ristoranti, un colpo durissimo per il campo di Shuafat, già ampiamente marginalizzato dalle politiche israeliane a Gerusalemme. Chiuso da un checkpoint militare, l’unico campo profughi dentro la città, è soggetto a frequenti demolizioni di case e negozi, alla repressione violenta delle manifestazioni di protesta e alla pressoché totale assenza di servizi. Una situazione opposta a quella goduta dai quartieri di Gerusalemme ovest ma anche dalle colonie illegali costruite dentro e intorno ai quartieri palestinesi a est, dove è il governo a fornire ai coloni infrastrutture e servizi.
Aumenta così la pressione sugli abitanti di Shuafat, già minacciati di perdere anche i servizi dell’Unrwa dal sindaco uscente Nir Barkat. Nei mesi scorsi, prima delle elezioni comunali – non ancora concluse, in attesa del ballottaggio – Barkat ha annunciato la nuova politica israeliana nei confronti della Città Santa, ovvero la rimozione forzata dei servizi forniti dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.
L’Unrwa è operativa a Gerusalemme dalla metà degli anni Sessanta con scuole, cliniche, raccolta rifiuti. Ora il comune di Gerusalemme vuole cacciarla, operazione parte della più vasta campagna contro l’agenzia, considerata da Tel Aviv e Washington colpevole di attività politica e di mantenimento della questione dei rifugiati.
“Rimuovere l’Unrwa ridurrà l’incitamento e il terrore, migliorerà i servizi ai residenti, incrementerà l’israelizzazione dell’est della città e contribuirà alla sovranità e l’unità di Gerusalemme”, ha detto Barkat lo stesso settembre, ammettendo dunque in modo cristallino l’obiettivo delle autorità israeliane: ridurre la presenza palestinese e modificare l’identità della Città Santa, a est come a ovest.
Prosegue così la campagna anti-Unrwa, chiaramente volta a delegittimare l’agenzia per delegittimare l’agenda palestinese e il cruciale diritto al ritorno dei rifugiati, sancito dall’Onu. Non è un caso che Barkat abbia parlato dell’intenzione di fare dei rifugiati dei soggetti senza identità all’interno di Gerusalemme, come fossero residenti normali. Un atto che da decenni i rifugiati palestinesi rifiutano: perdere lo status di profugo farebbe venir meno il diritto individuale e collettivo al ritorno nelle proprie terre.