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Condanna choc: 25 anni in una prigione emiratina per il dottorando britannico

Chiara Cruciati 22 novembre 2018
Matthew Hedges studiava le politiche securitarie di Abu Dhabi: accusato di spionaggio da uno dei regimi più brutali del Golfo.

L’ira di Londra: «Ripercussioni sui rapporti bilaterali». Che valgono 17 miliardi di dollari.

La cauzione e il rilascio temporaneo che gli erano stati accordati a fine ottobre avevano acceso una speranza. Si è infranta ieri su una sentenza che sorprende per la sua durezza: la corte federale di appello di Abu Dhabi ha condannato all’ergastolo il dottorando britannico Matthew Hedges. L’accusa è spionaggio a favore di soggetti stranieri (Gran Bretagna e il rivale Qatar, presumibilmente).
Nella legge emiratina ergastolo per uno straniero significa 25 anni di carcere e la successiva deportazione. Ora Hedges ha 30 giorni di tempo per fare ricorso, un mese che trascorrerà dietro le sbarre. «L’udienza finale è durata meno di cinque minuti – denuncia il portavoce della famiglia – e il suo avvocato non era presente». Solo l’ultimo di una serie di abusi: il dottorando è stato tenuto in isolamento dal momento dell’arresto e nelle prime sei settimane di detenzione è stato ripetutamente interrogato senza un avvocato presente.
Gli è stato fatto firmare un documento in arabo, lingua che non comprende: si è saputo dopo, dice la famiglia, che si trattava di un’ammissione di colpa. Estorta a una persona che non solo non ne comprendeva il significato ma che si trovava in una grave situazione psichica: in isolamento gli sono stati somministrati medicinali che ne hanno intaccato la salute fisica e mentale.
Hedges, 31 anni, dottorando dell’Università di Durham, era stato arrestato il 5 maggio scorso all’aeroporto di Dubai. Lasciava il paese dopo due settimane di ricerche sul campo per il suo dottorato, incentrato sulle politiche securitarie degli Emirati arabi dopo le primavere arabe del 2011. Tema troppo politico per le autorità emiratine: Hedges si è concentrato sulla guerra in corso contro lo Yemen (di cui gli Emirati sono tra gli attori più brutali) e sui rapporti tra tribù e potere. Ha inoltre scritto articoli sui Fratelli Musulmani, altro spauracchio della monarchia.
Immediata la reazione britannica, direttamente da Downing Street: la premier Theresa May,rivolgendosi al parlamento, si è detta «profondamente amareggiata dal verdetto». Qualcosa che da un alleato, aggiunge il segretario agli Esteri Hunt, non ci si aspetta: «Non è qualcosa che ti attendi da un amico e un partner e va contro le precedenti rassicurazioni». Il governo ha già preso contatti con i vertici emiratini e fatto sapere che il caso «avrà ripercussioni nelle relazioni».
Relazioni importanti: gli Emirati sono il primo partner commerciale britannico in Medio Oriente e la Gran Bretagna è il primo investitore nel paese, con l’obiettivo di arrivare nel 2020 a 25 miliardi di dollari di accordi bilaterali dagli attuali 17.
Abu Dhabi si difende: la sentenza si fonda su indagini accurate e «informazioni ricavate dai suoi dispositivi elettronici». Ma la fama della monarchia precede Hedges: la repressione delle voci critiche o sospette tali qui è la norma. Arresti arbitrari, lunghe condanne, torture in custodia, ma anche condizioni di semischiavitù per i lavoratori migranti, la sistematica discriminazione delle donne e il controllo pervasivo di internet alla caccia di «dissidenti».
Ultimo caso, la condanna a 10 anni dell’attivista Ahmed Mansour: avrebbe insultato il prestigio degli Emirati arabi. Un anno prima stessa condanna per il professor Nasser bin Ghait, per un tweet, chiaro esempio della violazione abituale della libertà accademica.