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Scontro Ankara-Riyadh: per la Turchia Khashoggi è stato assassinato

8 ottobre 2018, Nena News
Proseguono le indagini sulla scomparsa a Istanbul del giornalista e dissidente saudita. Fonti della polizia turca si dicono certe che sia stato ucciso dentro il consolato.

A sei giorni dalla scomparsa del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi, una squadra della scientifica turca dovrebbe entrare nel consolato saudita di Istanbul, riportano fonti a Middle East Eye. La Turchia sta trattando il caso di sparizione come un caso di omicidio: da un paio di giorni le autorità turche dicono di ritenere che il giornalista saudita, in auto-esilio dal settembre dell’anno scorso negli Stati Uniti, sia stato ucciso all’interno del consolato dove si sarebbe recato per ottenere documenti di divorzio.
Uno dei più stretti consiglieri del presidente turco Erdogan ed ex parlamentare dell’Akp, Yasin Aktay, ha detto ieri che Ankara ha in mano “informazioni concrete” che dimostrano il rapimento di Khashoggi, ma fonti interne vanno oltre, seppure in forma anonima: è stato ucciso dentro la sede diplomatica di Riyadh da qualcuno arrivato in Turchia quel giorno e subito ripartito. Una fonte della polizia turca ha detto a Mee che Khashoggi “è stato brutalmente torturato, ucciso e fatto a pezzi” il 2 ottobre, giorno della scomparsa, ma non esistono video delle telecamere di sicurezza “perché sono stati portati via dal paese dopo che la missione è stata compiuta”.
Alla Reuters un’altra fonte aggiunge: “Crediamo che l’omicidio fosse premeditato e che il corpo sia stato poi spostato fuori dal consolato” da 15 sauditi. Quindici persone arrivate in Turchia su due aerei privati lo stesso giorno ed entrati in consolato lo stesso giorno di Khashoggi.
Aktay ha raccontato di aver parlato con la fidanzata di Khashoggi che lo atteso per ore, inutilmente, fuori dal consolato: “I suoi amici – ha riportato il consigliere – lo avevano avvertito di non andare perché era pericoloso, ma lui ha risposto che non potevano fargli nulla in Turchia. Khashoggi ne aveva discusso con la fidanzata, i nostri servizi stanno indagando ogni dettaglio. Abbiamo concrete informazioni, non resterà un crimine irrisolto. Possiamo provare il suo ingresso, ma non l’uscita. Questo è confermato. Abbiamo chiesto ai sauditi che dicono che è uscito ma non c’è nulla nelle telecamere di sicurezza”.
Anche Erdogan, ieri, ha detto di seguire le indagini sperando in una soluzione rapida. Il presidente è più che infastidito da un evento che incrina ancora di più i rapporti con l’Arabia Saudita, già gelidi dopo l’isolamento del Qatar, e da un rapimento che ricorda le sparizioni forzate compiute da polizia ed esercito turchi negli anni Novanta. Una pratica che anche Riyadh conosce bene, come conosce quella degli omicidi mirati all’estero, nonostante abbia sempre negato.
Nega anche stavolta seppur ufficiosamento: nessun commento da Riyadh, solo quello del consolato in Turchia che parla di accuse “senza fondamento e che sabato ha aperto le porte ai giornalisti per mostrargli che l’editorialista non era prigioniero. Khashoggi da consigliere della famiglia reale era divenuto uno dei più duri critici delle politiche del principe ereditario Mohammed bin Salman, in particolare attaccando la pratica di censura di intellettuali e giornalisti e gli arresti, numerosi un anno fa quando l’editorialista fuggì in America: “Non l’ho mai sentito – aveva detto recentemente riferendosi al principe – compiere la più minima affermazione che possa aprire il paese alla condivisione del potere, alla democrazia”.
Sono oltre cento gli accademici, i giornalisti e gli intellettuali arrestati nel corso dell’ultimo anno. Come sono tantissimi i principi e i dissidenti che negli ultimi decenni sono stati uccisi all’estero.