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OPINIONE. Germania, nella destra razzista l’unione tra filoisraeliani e antisemiti

Massimo Raffaelli 11 ott 2018
Nel partito di estrema destra tedesco Afd entra il gruppo Ebrei per la Germania. Perché stupirsene? 

Una destra intollerante e xenofoba governa da quarant’anni Israele e, riguardo alla questione palestinese, è da tempo approdata a pratiche nemmeno più colonialiste ma in sostanza segregazioniste.

In una corrispondenza da Berlino del 27 settembre a firma di Sebastiano Canetta, sul manifesto si legge che il partito paranazista o neonazista tedesco, Afd, ha incorporato un gruppo autodenominatasi per l’occasione «Ebrei per la Germania». Ci si può indignare ma non esattamente stupire perché a costoro, di qualunque estrazione essi siano, interessa con ogni evidenza appoggiare le politiche più aggressive e rovinose di Netanyahu e di Lieberman per diffondere l’odio contro i turchi, gli arabi e i cittadini di religione islamica.
Andrebbe sempre ricordato che una destra intollerante e xenofoba governa da quarant’anni Israele quasi senza interruzioni e che tale destra, riguardo alla questione palestinese, è da tempo approdata a pratiche nemmeno più colonialiste ma in sostanza segregazioniste. Se ognuno riconosce i suoi, l’estrema destra tedesca non può che rallegrarsene. Anche in Italia dirsi «amici degli ebrei» spesso equivale a schierarsi preventivamente, come per riflesso condizionato, senza eccepire né distinguere, con la stessa etnocrazia che un diffuso stereotipo vorrebbe l’unica democrazia in Medio Oriente.
Se esiste a sinistra, ed esiste certamente, chi ancora contrabbanda per antisionismo, ovvero per opposizione alle politiche del governo di Israele, un immondo e sottaciuto antisemitismo (è il vecchio, e a cadenza redivivo, socialismo degli imbecilli di cui disse il vecchio Bebel a proposito di antisemiti travestiti da anticapitalisti) è vera, però, anche la reciproca.
L’antisemita non distingue ma confonde, ritenendole interscambiabili, nozioni che dovrebbero rimanere distinte quali «ebraismo», «sionismo», «Stato di Israele» e «governo di Israele»: l’antisemita ne colpisce una per infamarle e sfregiarle tutte quante in blocco. Ma così si comportano, sia pure a segno invertito, coloro che si proclamano amici degli ebrei e pretendono di esserlo per il solo fatto di schierarsi a priori dalla parte del governo di Israele e delle sue attuali politiche.
L’appoggio incondizionato e persino provocatorio di Donald Trump consuona con il fatto che oggi a Berlino, e senza soverchio clamore, ai neonazisti di Afd si possano affiliare degli «Ebrei per la Germania» perché è difficile sia un caso convergano proprio su questo punto dei nostalgici o dei risentiti squadristi e il mitomane che abita la Casa bianca.
Esiste dunque un corrispettivo liberalismo degli imbecilli incapace di vedere tutto questo e di coglierne il senso? O portato invece a ignorarlo? Le destre al governo in Israele da tempo hanno preparato il terreno, rovesciando il combinato antisemita fino al più estremo dei sillogismi: per i Netanyahu e i Lieberman, come per i loro alleati e adulatori, chi critica le azioni del governo è di per sé un antisionista, un nemico di Israele e degli ebrei, anzi un amico dei terroristi, e infine è un potenziale negazionista, quasi che i ministri di un governo potessero mai autoproclamarsi eredi e depositari esclusivi della Shoah nello stesso momento in cui la profanano e la sconciano facendone un’arma della lotta politica.
L’arma è letale, tende ad ammutolire qualsiasi oppositore, a farne un reprobo e appunto a dipingerlo come un mascalzone antisemita. Su questa micidiale dinamica, entrata nel senso comune, ha scritto un libro straordinario, e troppo poco rammentato in Italia, Idith Zertal, Israele e La Shoah. La nazione e il culto della tragedia (Einaudi 2007) dove si legge a un certo punto che la memoria dello sterminio è via via divenuta nel disegno delle classi dirigenti «una figura retorica, un oggetto pronto all’uso» ormai «scambiabile con qualsiasi esigenza storica anche totalmente diversa».
Si dovrebbe tenerlo presente, prima di dolersi per quegli ebrei tedeschi che hanno scelto di indossare la camicia bruna.