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ISIS in Afghanistan: obiettivo espansione

DANIELE LATELLA – 10 OTTOBRE 2018
ISK è la sigla con cui si riferisce all’ISIS della Provincia di Khorasn, un gruppo terroristico facente parte dello Stato Islamico attivo in Afghanistan e Pakistan.

L’ISK -o Wilayat Khorasan- è emerso per la prima volta in Afghanistan nel 2014, quando la NATO decise di ritirare le proprie truppe dal Paese, abbandonando le operazioni di combattimento e consegnando il controllo del territorio alle forze di sicurezza locali. Solo tre anni prima, nel 2011, il numero dei militari della NATO in Afghanistan aveva toccato il tetto massimo di unità schierate sul campo: circa 140.000.
I militanti dell’ISK, da allora, hanno inizialmente invaso vaste zone delle province orientali afghane di Nangarhar e Kunar, vicino al confine con il Pakistan, dove si sono impegnati in una guerra contro i talebani per la conquista del territorio.
Come ci spiega Claudio Bertolotti, analista strategico dell’ISPI, “lo Stato Islamico ha consolidato la propria presenza in un’area geografica ben definita, che parte dalla provincia di Nangharar e arriva a toccare le periferie di Jalalabad, dove è in grado di poter controllare un porzione di territorio, o meglio,non un territorio omogeneo, ma sacche all’interno delle quali ha ottenuto anche il consenso delle popolazioni locali”, mentre la componente terroristica “è quella trainante, deputata ad ottenere l’attenzione massmediatica, in modo che si continui a parlare di Stato Islamico ben oltre di quelle che sono le sue reali capacità offensive”.
Inizialmente il fenomeno non fu subito capito, tanto che nel febbraio del 2015, l’ex capo del Pentagono, Ashton Carter, etichettò l’ISK come tentativo di ‘rebranding’ dei ribelli talebani.
In realtà, questa dichiarazione non è stata del tutto illogica, dato che nelle fila dell’ISK erano presenti, oltre ai disertori di gruppi come la Al-Tawhid Brigade e l’Ansur ul-Khilafat Wal-Jihad, anche da una parte dei talebani del gruppo Tehreek-e-Taliban (TTP), che si pensa governata dall’ISI, l’intelligence pakistana.
Lo stesso Dipartimento di Stato americano, in un report del 2016, ha designato l’ISK come gruppo affiliato dell’ISIS e organizzazione terroristica che attacca e uccide membri di comunità appartenenti a minoranze religiose per le loro credenze o il loro collegamenti con le autorità centrali governative. “ISIS sta colpendo soprattutto gruppi sciiti, gli Hazara in particolare”, ci dice Paola Sartori, ricercatrice presso lo IAI, che continua “secondo alcuni esperti locali, questo sarebbe un modo per distinguersi dai talebani e guadagnare consensi invece gruppi sunniti estremisti”.
L’ascesa dell’ISK si è concretizzata nel 2015, quando individui e gruppi in Afghanistan e Pakistan hanno pubblicamente espresso la loro ‘bay’a’ -una pubblica sottomissione- ad Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo dell’autoproclamato Stato Islamico, il cui impegno è stato ufficialmente riconosciuto dall’ISIS. L’individuo nominato, nel gennaio 2015, come primo leader dell’ISK è statoHafiz Khan Saeed, ex comandante del TTP, il quale ha riscontrato una costante opposizione durante la sua leadership. Dalla morte di Saeed, nel 2016, sono stati colpiti molti leader dell’ISK, che è andato incontro ad una scissione. Come afferma Antonio Giustozzi, ricercatore presso l’ISPI e il CRPA(Center for Research & Policy Analysis), nel suo studio intitolato ‘Taliban and Islamic State: Enemies or Brothers in Jihad?’, nell’estate del 2017, l’ISK si è diviso in due fazioni, una guidata da Aslam Farooqi, un ex comandante di Lashkar-e Taiba, e una guidata da Moawiya, un ex comandante dell’IMU(Islamic Movement of Uzbekistan). La causa della spaccatura è stata la controversa decisione della maggioranza del consiglio militare dell’ISK di scegliere Aslam Farooqi come nuovo governatore della provincia di Khorasan.
Oltre alle divisioni interne, seppur molti talebani siano inseriti all’interno dell’ISK, sono frequenti gli scontri tra le forze talebane e quelle dell’ISIS afghano.
“Tra talebani e ISK sul piano ideologico, sugli obiettivi reciproci non c’è convergenza, sono in un rapporto di conflittualità aperta”, dice Bertolotti, ma “se scendiamo di livello, come hanno dimostrato almeno due episodi in particolare più recenti, quali la dichiarazione fatta dal capo dei talebani nello scorso autunno, questo potrebbe far pensare ad una possibilità di collaborazione a livello tattico, perché in quella dichiarazione disse che talebani e ISK guardano nella stessa direzione. L’altro episodio è il passaggio di alcuni elementi di una particolare frangia dei talebani, cioè quella dell’Haqqani Network, che sono passati nelle fila dell’ISK e in particolare per quanto riguarda la condotta di attacchi suicidi, spettacolari, nell’area urbana di Kabul”.
La presenza dell’ISK in Afghanistan non sembra al momento molto radicata “parliamo di 3.000–4.000, forse 5.000, unità”, continua Bertolotti. Numeri che non possono essere paragonati a quelli dei talebani, che si aggirano intorno alle 40-50.000 unità. La crescita dell’ISK, però, può passare attraverso due elementi. “Il primo è un possibile afflusso di jihadisti con capacità acquisita sul campo di battaglia in Siria ed Iraq, che in Afghanistan troverebbero un’area sicura dove poter operare e, quindi, dove vi è una possibilità di consolidamento è facile attirare nuovi volontari”, continua l’analista, mentre “il secondo è paradossalmente il processo di pace afghano che potrebbe portare una divisione del fronte insurrezionale, dove una parte pragmatica potrebbe aderire al processo di pace e a questa si contrapporrebbe una parte radicale che non vi aderirebbe e potrebbe trovare nell’ISK uno sbocco sul fronte della guerra”.
Con Al-Qaeda, invece, sembrano non esserci intense relazioni, “in Afghanistan la situazione è particolare, oltre alla Al-Qaeda convenzionale, vi è anche AQIS (Al-Qaeda in the Indian Subcontinent), che si è strutturata e riorganizzata in un’ottica più regionale, locale, in questo caso, anche in una dinamica competitiva con l’ISK, non vi è quindi una convergenza”.
Al di là delle alleanze e dei componenti interni, sono sostanzialmente due gli obiettivi dell’ISIS in Afghanistan, “uno ideologico, ovvero trasformare la guerra di liberazione nazionale combattuta dai talebani e dagli altri gruppi di opposizione armata in un conflitto di natura globale, transnazionale, che vada oltre i confini fisici, politici e geografici”, mentre l’altro “è quello di consolidarsi in modo tale da usare l’Afghanistan anche come base su cui sviluppare le sue potenziali capacità future, anche attraverso il reclutamento di personale locale, ma anche attraverso l’arrivo di ex combattenti dell’ISIS in Iraq e Siria”.
Ma come si finanzia l’ISK? Dove trova i soldi per portare a termine le sue operazioni?
Quando l’ISK è stato istituito all’inizio del 2015, era quasi interamente dipendente dai fondi inviati dall’ISIS centrale e dalle donazioni, inviategli direttamente dai donatori, la maggior parte derivanti dal Golfo arabo. Come riporta sempre Giustozzi, in un altro saggio, ‘IS-Khorasan Towards Financial Autonomy’, sebbene l’ISK abbia gradualmente introdotto una serie di tasse e iniziato a cercare i propri donatori locali in Afghanistan e Pakistan, per tutto il 2015 e il 2016 è rimasto in gran parte dipendente dai finanziamenti esterni. L’ISIS, sconfitto e ridimensionato in Siria, ha diminuito i suoi contribuiti, mentre sono aumentati quelli provenienti dal Golfo. Nel 2016, l’ISK ha iniziato a utilizzare il settore minerario come fonte di entrate e, sebbene inizialmente gli introiti non siano stati ingenti, nel 2018 la raccolta di fondi è stata incentrata proprio sulle operazioni minerarie, grazie all’aumento delle aliquote fiscali e rilevamento di intere attività minerarie.
Non bisogna dimenticare, però, che la regione afghana è un importante snodo per il traffico di stupefacenti, “mettere la mani o riuscire ad entrare nei meccanismi del narcotraffico consente di accedere a potenziali capacità finanziare che ne garantirebbero la sopravvivenza su lungo periodo”, spiega ancora Bertolotti.
La preoccupazione per l’avanzata e la crescita di potere da parte dell’ISK, non è soltanto americana, ma è condivisa da Iran e Russia che avrebbero fornito armi e aiuto logistico ai talebani. Anche la Cina, sempre attenta ai suoi interessi economici, si è espressa in termini di timore per lo sviluppo dell’ISK, che potrebbe indebolire la leadership talebana già divisa e ridurre la sua capacità di raggiungere un accordo di pace duraturo.
“Per il contrasto al terrorismo, gli USA hanno una missione specifica, che non è l’operazione NATO Resolute Support, ma la Freedom Sentinel, il cui scopo è quello di colpire, in maniera esclusiva, le organizzazioni terroristiche o i singoli soggetti terroristici attraverso l’utilizzo delle forze speciali e dei bombardamenti aerei mirati e con i droni, in Afghanistan e anche nelle zone al confine”, spiega Bertolotti, mentre sempre sul fronte della lotta al terrorismo “il Governo Afghano si adegua al policy internazionale. Lo Stato islamico, a differenza dei talebani, è inserito nella black list del terrore per cui lo combatte sul campo di battaglia, in particolar modo attraverso l’utilizzo di forze speciali.”
Nella scena conflittuale afghana, dunque, è emerso un nuovo attore che sta incidendo anche a livello politico, compromettendo il processo di pace tra le autorità centrali ed i talebani.
In Afghanistan, infatti, il conflitto dura ormai da 17 anni, da quando nel 2001 gli USA intrapresero la loro crociata contro Osam Bin Laden, mente dell’attentato dell’11 settembre, e spodestarono i talebani dal Governo del Paese. Un percorso che porti ad una pace duratura “dovrebbe essere intrapreso dal Governo afghano e dai talebani con ampio coinvolgimento anche della società civile, delle donne soprattutto”, dice la Sartori, che specifica come “gli attori regionali e internazionali più o meno coinvolti purtroppo sono tanti: gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, ma anche India, Cina e Russia”, che, però, esercitano la loro influenza nell’area guidati dai loro interessi e strategie spesso in contrasto tra loro. Il ruolo di questi Paesi, dunque, non è marginale in vista di una pace tanto attesa poiché “potrebbero condurre delle discussioni parallele, informali, volte a supportare la convergenza delle diverse fazioni afghane”.