General

Esiste davvero un problema sanitario legato alle migrazioni?

Aldo Premoli 09/10/2018
La politica dello struzzo, di chi mette la testa sotto la sabbia, non ha mai risolto alcunché. Se esiste un problema sanitario legato alla migrazione, occorre affrontarlo e gestirlo. In caso contrario, il risultato può essere solo la sua cronicizzazione.

Ma il problema esiste davvero? È questa la domanda a cui si è provato a rispondere nel panel dedicato all’argomento nell’ambito del Congresso sulle Migrazioni Internazionali, promosso da Mediterraneo Sicilia Europa e svoltosi a Noto il 6 ottobre 2018.
Di particolare interesse è risultata la relazione della dottoressa Maria Antonietta Di Rosolini, che ha messo in evidenza come i ricoveri e gli interventi operati nel Reparto Malattie Infettive dell’Ospedale di Modica, dove lei opera, certifichino una realtà lontana da quella percepita dalla maggioranza dei cittadini italiani.
ALDO PREMOLI
Di Rosolini è un medico da sempre in prima linea. Siciliana, aiuto primario dal 1991, opera nella cittadina all’estremo sud della Sicilia in qualità di Dirigente Medico dell’UOC, per quanto concerne le Malattie Infettive all’interno della Asp di Ragusa.
È proprio nella sua unità operativa che finisce, senza mediazione alcuna, chi viene giudicato in pericolo al momento dello sbarco sui moli di Pozzallo. Da gennaio 2018, a Pozzallo sono arrivati oltre 3.500 persone, il numero più alto di questo periodo nei quindici porti del Mezzogiorno dove avvengono gli sbarchi nel nostro Paese. I ricoveri sono stati 172: statisticamente un piccolo campione ma sufficiente, anche sulla base dell’afflusso ben più massiccio avvenuto negli scorsi anni, per trarre alcune importanti considerazioni.
Un’indagine conoscitiva, infatti, è stata avviata a proposito di pazienti affetti da tubercolosi, malaria, epatiti (Hcb, Hbv) e Hiv/Aids: sono soprattutto questi gli spettri più inquietanti per l’opinione pubblica e, a tale proposito, le sorprese non mancano.
Tubercolosi. Nonostante sia una malattia prevenibile e curabile, costituisce oggi un’emergenza per il carico sanitario, economico e sociale che la accompagna. La prevalenza di casi non riguarda però individui provenienti dall’Africa, ma piuttosto dai Paesi dell’Est Europa. Anche se – e questa è una buona notizia – dal 2012 al 2016 nel nostro Paese il tasso di notifica è complessivamente diminuito in media del 1,8% ogni anno. In pratica, un’incidenza del 7,4 su 100.000 abitanti. Questo tipo di batterio, infatti, è particolarmente presente in Paesi quali Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Bulgaria, Estonia, Georgia, Kazakhistan, Kirghizistan, Lettonia, Lituania, Moldova, Romania, Russia, Tajikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan. Qui l’incidenza stimata è 60,4 su 100.000 abitanti, circa 5 volte più elevata rispetto alla media nei Paesi Ue e addirittura il 9 rispetto all’ Italia.
Hiv/Aids. Il fenomeno migratorio non è di per sé causa dell’aumento delle infezioni da Hiv, ma certamente costituisce un’aggravante. Nel 2016, l’indice di nuovi casi di infezione nel nostro Pese è stato di 5,7 su 100.000 abitanti. Con una prevalenza nelle regioni del Nord del Paese. L’Italia, al pari della Grecia, risulta al 13°posto in termini di incidenza tra le nazioni EU. In Grecia, il 95,3% dei contagi tra migranti avviene proprio nelle aree di accoglienza. Tra gli immigrati, la maggioranza dei casi si registrano tra le donne, che sono 2 su 3. Di certo, influiscono le violenze subite durate il percorso migratorio, ma a seguire ci sono le condizioni di vita e i comportamenti a rischio post-migrazione. La tratta delle donne nigeriane avviate alla prostituzione sui marciapiedi delle città europee è senz’altro un fattore di incidenza.
Epatiti.Più complesso il caso delle epatiti B e C. Le informazioni sono sempre riferite a campionature relativamente piccole, ma i numeri raccolti in Siciliaindicano la presenza di un 10% di infezioni sul numero di migranti sottoposti a screening per il primo genere (Hbv) e di meno dell’1% per il secondo (Hcv).
Malaria. Tra i paesi di provenienza dei migranti nessuno è a rischio per quanto riguarda questa infezione. E, in ogni caso, in Italia non esistono zanzare responsabili della trasmissione. Tra il 2016 (anno in cui il numero degli arrivi era ancora altissimo) e il 2018, il Reparto Malattie Infettive di Modica ha registrato un solo caso di malaria.
Il fenomeno più acuto e diffuso riguarda piuttosto i casi di scabbia, quasi sempre imputabili alle terribili condizioni di detenzione nei lager libici e al contatto con sale e petrolio dovuto alla permanenza nelle imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo.
Tutte indicazioni che vanno tenute in considerazione, approfondite e monitorate con attenzione dalle autorità competenti. Su cui ricade, inoltre, la responsabilità di mettere in condizione le strutture sanitarie di operare con strumenti e personale adeguati. Cosa che invece avviene assai raramente, in special modo negli ospedali del Mezzogiorno.
“La riposta sanitaria nei confronti del fenomeno migratorio fa da specchio alla situazione più generale della nostra sanità e ne evidenzia in pieno le criticità”, ha sottolineato Di Rosolini durante il suo intervento. L’operatore sanitario si trova strangolato tra dirigenti ospedalieri, che delegano l’organizzazione del funzionamento del sistema, e un’utenza che porta nuove problematiche per cui sarebbero necessari ambulatori dedicati, che invece non esistono e non vengono contemplati. La dottoressa aggiunge: “Ci troviamo davanti ad individui che rispondono in maniera differente ai farmaci, oppure che hanno resistenze naturali e sintomatologie non necessariamente identiche alle nostre”.
Ad aggravare la situazione, c’è il malcostume della politica degli annunci: a partire dal secondo semestre 2017, il numero di sbarchi si è drasticamente ridotto, ma il fenomeno non è cessato e non cesserà. Con conseguenze che possono essere negative se il fenomeno è malgestito, ma che potrebbero essere positive se, invece, venisse correttamente trattato.
Affermare che gli sbarchi non esistono più è da irresponsabili. Lo stillicidio dei cosiddetti “barchini” che, giorno dopo giorno (più notte dopo notte, in realtà), raggiungono le coste siciliane continua ed è fatto noto a tutti. Ormai però si tratta di sbarchi fantasma, i cui autori restano completamente sconosciuti. I “barchini” – non più i barconi stracarichi di un tempo, non più i gommoni a una sola camera lanciati verso le navi delle Ong – trasportano ora da un minimo di 8 fino ad un massimo di 15 persone per volta. Ma, a differenza di quanto accadeva in precedenza, nessuno viene più registrato sui moli di arrivo.
Quando uomini, donne e bambini sbarcavano dalla Diciotti o dalla Dattilo, a Catania o a Pozzallo, sulle banchina si vedeva schierato personale della Croce Rossa e della Polizia di Stato, pronto a fornire eventuale soccorso e inflessibile nella prassi dell’identificazione. Ora il nulla: chi scende dai barchini, sparisce all’interno dell’isola, lasciandosi alle spalle solo un relitto scalcagnato abbandonato sull’arenile.
Un fenomeno decisamente inquietante. In Sicilia vige la filosofia del “Si sa ma non si dice”, mentre a Roma si preferisce sorvolare oo mentire apertamente, dichiarando che di sbarchi, dopo il caso Diciotti, non ce ne sono più stati. Tutto questo in attesa di produrre qualche nuovo disastroso risultato.