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Prima i bambini italiani, in mensa e sugli scuolabus: una follia che pagheremo a caro prezzo

Francesco Cancellato 17 Settembre 2018
A Lodi, il Comune a guida leghista fa approvare un regolamento che obbliga gli stranieri a presentare certificazioni impossibili per accedere alle tariffe più basse di mensa e scuolabus. I genitori stranieri insorgono, gli italiani approvano (o se ne fregano): ma così si peggiorano solo le cose.

Ci sono poche vicende che restituiscono il clima di rancore verso gli stranieri – e la precisa volontà discriminatoria contro di loro – che si respira oggi in Italia come quella che sta accadendo in questi giorni a Lodi, trenta chilometri a sud est di Milano (città in cui è nato e vive chi scrive, ndr). Succede che l’amministrazione, a guida leghista, decide di cambiare le regole d’accesso di alcuni servizi socio-assistenziali- quelli che costano in modo diverso a seconda della ricchezza di ciascuno – introducendo una clausola che vale solo per i residenti extracomunitari: ciò che si chiede loro è di presentare, all’atto della richiesta, una certificazione che attesti che loro abbiano (o non abbiano) redditi, beni immobili o beni mobili registrati nel loro Paese d’origine. Se non forniscono questa certificazione? Possono accedere alla mensa scolastica, o allo scuolabus, o agli asili nido comunali, ma pagando la retta più alta, quella che pagano le famiglie benestanti.
Non giriamoci troppo attorno: si tratta di un provvedimento figlio di una retorica egemone da anni, nel nostro Paese, sin da quando la si bisbigliava senza farsi sentire troppo. Che gli stranieri che vivono in Italia rubino non solo il lavoro, ma pure il welfare agli italiani. Che siano tutte loro le case popolari, tutti dei loro figli i posti a basso costo negli asili nido pubblici, tutte loro le agevolazioni tariffarie. Intendiamoci: in parte è davvero così, ed è il fisiologico – e parecchio ipocrita – rovescio della medaglia del nostro opportunismo: vogliamo badanti in nero, tuttofare a basso costo, muratori a cottimo senza mezza tutela? Poi non lamentiamoci che la loro dichiarazione dei redditi sia zero, o quasi, e il sostegno sociale vada tutto a loro.
Basta che sappiate cosa significhi tutto questo. Che la discriminazione produce segregazione. Che senza politiche per l’integrazione, l’inerzia porta ai ghetti, alla marginalità, alla devianza, soprattutto se a discriminare si parte dalla scuola e dai bambini. Che tutto questo produce ulteriore allarme sociale, insicurezza, paura. Che la paura produce rabbia e rancore, che a loro volta producono consenso politico per chi sulla rabbia e sul rancore ci campa. In tre parole: vi stanno fregando.
Pura logica, in fondo. E se la logica non basta, per far arrivare prima gli italiani, bisogna inventarsi qualcos’altro. Ad esempio, che l’extracomunitario nasconde qualcosa: case, buoni del tesoro, attività imprenditoriali, quel che volete, nel suo Paese d’origine. E che sebbene si spacchi la schiena nei cantieri o passi la giornata a pulire il sedere ai nostri nonni, sarà sicuramente un ricco opportunista africano venuto a sbafare a gratis i nostri scuolabus e i nostri pasti in mensa. Tutto torna. E allora ecco l’idea geniale: invertiamo l’onere della prova e facciamo dimostrare a loro che sono poveri come dicono. Se non possono farlo – magari perché il loro Paese d’origine non ha un catasto informatizzato delle proprietà immobiliari, tipo il Senegal o l’Ecuador – vuol dire che sono ricchi sfondati, e come tali li trattiamo. Non fa una grinza. Ah, dimenticavamo: per gli italiani basta l’autocertificazione.
Obiettivo raggiunto, in ogni caso: prima gli italiani. A oggi solo 4 famiglie su 94, ci informa il Fatto Quotidiano, sono riuscite a produrre quei documenti. Tutte le altre, no. Automaticamente, quindi, pagheranno la retta più alta lasciando ai figli degli italiani i posti sullo scuolabus, e ai loro genitori le tariffe migliori.
E che gli extracomunitari protestino, se ne hanno voglia, così come stanno facendo, spalleggiati da tutte le opposizioni locali, dal Pd a Cinque Stelle, passando per le forze di sinistra. E se per protesta non mandano i figli a scuola, come un centinaio di famiglie hanno fatto, per alcuni giorni della scorsa settimana, avranno pure il nostro biasimo: facile fare il gradasso, del resto, quando sei un politico e hai a che fare con chi non può votare contro di te. Proprio per questo, peraltro, nulla vieta che la norma, se funziona, si estenda a macchia d’olio in tutti i comuni a guida leghista e venga estesa altrove: ai criteri di assegnazione delle case popolari, ad esempio.
Tutto perfetto, no? Basta che sappiate cosa significhi tutto questo. Che la discriminazione produce segregazione. Che senza politiche per l’integrazione, l’inerzia porta ai ghetti, alla marginalità, alla devianza, soprattutto se a discriminare si parte dalla scuola e dai bambini. Che tutto questo produce ulteriore allarme sociale, insicurezza, paura. Che la paura produce rabbia e rancore, che a loro volta producono consenso politico per chi sulla rabbia e sul rancore ci campa. In tre parole: vi stanno fregando. E se pensate che tutto questo riguardi solo qualche famiglia extracomunitaria, beh, ci sono già riusciti.