General

Kurdistan: dove eravamo rimasti

GIANMARCO CENCI – 28 SETTEMBRE 2018
Il Kurdistan iracheno si trova di fronte a un momento cruciale della sua storia, cominciata, come regione autonoma dell’Iraq, nel 1992.

Dopo il referendum per l’indipendenza del settembre 2017, non riconosciuto da Baghdad e dalla comunità internazionale, il 30 settembre nella regione curda si terranno le elezioni per il locale Parlamento, che va a chiudere, idealmente, un anno di grave crisi economica e politica.

Un anno fa, infatti, nelle strade di Erbil – capitale regionale – il popolo curdo festeggiava con grande trasporto il risultato del referendum, che, registrando un affluenza del 72,16%, sanciva una netta affermazione delle preferenze per l’indipendenza dell’area, con il 92,73% dei voti favorevoli e solo il 7,27% contrari. Ma da allora in avanti, la regione ha dovuto subire le ritorsioni di Baghdad, che non ha affatto accettato la decisione di Erbil di indire il referendum. Il Governo centrale ha quindi preso provvedimenti che hanno mandato in crisi quella che era una delle regioni più prospere dell’intero Iraq: la Banca Centrale irachena ha imposto delle restrizione sul trasferimento e sulla vendita di valuta straniera a quattro banche di proprietà curda, si è istituito il divieto (che ancora permane) per i voli internazionali da e verso il Kurdistan, isolando la regione, e ha preso possesso della ricca città petrolifera di Kirkuk, una delle aree contese fra Baghdad ed Erbil.
L’allora Presidente Massoud Barzani aveva completamente sbagliato i calcoli: un referendum voluto per sfidare Baghdad, sfruttando un momento di forza del Kurdistan e la contestuale debolezza dello Governo centrale, si è ritorta contro la regione autonoma curda, che non ha raccolto attorno a sé nemmeno il dovuto appoggio della comunità internazionale, favorevole alla cosiddetta ‘One Iraq Policy’, contraria alla disgregazione dello Stato mediorientale. È una situazione che ricorda, per certi versi, quella catalana: lungi dal consolidare e rinforzare l’indipendentismo, la dichiarazione di Carles Puigdemont non ha fatto altro che provocare una decisa risposta da Madrid, che ha esautorato il Governo regionale con l’ormai noto articolo 155. La frattura con la capitale è ancora oggi non sanata e le elezioni per il Parlament, che si sono tenute il 21 dicembre del 2017, hanno confermato le difficoltà a giungere a una risoluzione del problema. La differenza fra le due realtà è però sostanziale: il popolo catalano è diviso al suo interno fra indipendentisti e unionisti (al referendum, non riconosciuto, non partecipò nemmeno la metà degli aventi diritto), quello curdo, benché compatto nell’esprimersi a favore dell’indipendenza deve affrontare problematiche interne alla questione curda, che un voto non può risolvere, a prescindere dalla sua validità.
Il punto ora è tentare di recuperare i rapporti con Baghdad. Laddove, quest’ultima, ha risposto alla provocazione del referendum usando la mano pesante, il Governo della Regione del Kurdistan ha tentato di usare la via diplomatica, attraverso l’operato del Primo Ministro Nechirvan Barzani, nipote dell’ex Presidente, che si era dimesso poco tempo dopo la consultazione referendaria. La famiglia Barzani ha da sempre svolto un ruolo centrale nella vita politica del Kurdistan iracheno, già da prima che quest’ultimo fosse istituito: era il 1946 quando Mustafa Barzani, padre dell’ex Presidente Massoud, fondò il Partito Democratico del Kurdistan.
Il terreno di gioco su cui si sfideranno i partiti candidati riguarda la risoluzione della crisi economica e il recupero dei rapporti con la capitale federale: punti caldi della questione sono la rinegoziazione con Baghdad del budget dovuto al Kurdistan, su cui già il Governo Barzani sta lavorando, e la perdita di Kirkuk e di altre aree contese, che hanno assestato un duro colpo sulla già provata economia curda. Lo stesso scenario politico è piuttosto in bilico: governato da anni dal partito di Barzani, alleato storicamente con l’Unione Patriottica del Kurdistan, ad oggi, solo 56 de i 111 scranni del Parlamento della regione autonoma sono occupati dalla maggioranza, rendendo la situazione piuttosto instabile. L’alleanza ha costituito un elemento essenziale per gli equilibri della regione ed ha, per questo motivo, l’appoggio della Turchia di Erdogan: ha concesso all’esercito turco di perpetrare attacchi militari sul proprio territorio ai danni di militanti del Partito dei Lavoratori Curdo, il famoso PKK, da sempre spina nel fianco per lo Stato anatolico; inoltre, il Governo della Regione del Kurdistan ha imposto un embargo sulle milizie curde siriane, ritenute vicine al PKK per ideologie e obiettivi – le quali sono state appoggiate dagli Stati Uniti in chiave anti-ISIS. E proprio lo Stato Islamico ha contribuito a gettare scompiglio nella regione, quando, nel 2014, la loro attività terroristica ha creato un grande numero di profughi che si sono riversati nella regione curda dell’Iraq. Nonostante la storica alleanza, i due partiti si presenteranno divisi: la corsa alla Presidenza, vacante dalle dimissioni di Massoud Barzani, fa gola a entrambe le fazioni.
Se la maggioranza è, ad oggi, divisa e solo di poco avanti rispetto al resto dello scenario politico, le opposizioni si muovono con ulteriori difficoltà. Il partito che più di tutti sembra avere possibilità di crescere è Gorran, che significa ‘Cambiamento’, ma deve affrontare una crisi di credibilità dovuta a scandali nella gestione delle risorse del partito. Un altro partito destinato a occupare un ruolo di primo piano nel prossimo Parlamento è la Coalizione per la Democrazia e la Giustizia, una compagine costituita da transfughi dell’Unione Patriottica del Kurdistan, e che potrebbe erodere voti importanti al partito da cui si è distaccato.
Con ogni probabilità, il prossimo Parlamento regionale non vedrà una maggioranza assoluta di un partito, ma occorrerà un’alleanza, che, secondo gli analisti, si appresta a essere il consolidato binomio del Partito Democratico del Kurdistan e l’Unione Patriottica, con il primo a fare la parte del leone e a esprimere anche il Presidente. Tuttavia, non è da escludere una più vasta alleanza dei partiti di minoranza, guidato dal Gorran. Questa seconda possibilità aprirebbe nuovi scenari: Gorran è vicina alle istanze del PKK e un cambiamento di rotta in tal senso smuoverebbe gli equilibri regionali; inoltre, un Parlamento regionale a guida Gorran, a fronte di un Parlamento federale in cui la voce dei curdi è affidata al Partito Democratico di Barzani rischierebbe di alterare ulteriormente i rapporti fra Erbil e Baghdad e allontanare, quindi, ogni possibilità di accordo per superare le difficoltà post-referendum.
Potrebbero essere le elezioni più importanti della storia della Regione autonoma del Kurdistan. A un anno di distanza dal referendum, il 30 settembre si capirà quanto gli equilibri siano cambiati.