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I Falascià in Israele: gli ebrei ‘non ebrei’

D. L. 18 SETTEMBRE 2018
«Non è stata una decisione facile», con queste parole, il premier dello Stato d’Israele, Benjamin Netanyahu, ha autorizzato, nella giornata di ieri, l’immigrazione di 1.000 membri della setta etiope dei Falesh Mura (chiamati, in italiano, Falascià) dopo la conclusione di una commissione ministeriale per l’integrazione degli immigrati.

La decisione, posticipata già per tre volte, è stata presa dopo un lungo dibattito protrattosi per mesi che, tutt’ora, ruota attorno al reale ebraismo dei membri delle tribù etiopi. Il Primo Ministro, però, ha specificato che saranno inclusi in tale atto solo quelle persone la cui famiglia si trova già in Israele. Il Ministro dell’Interno, Aryeh Deri, infatti, non considera i Falascià come ebrei e, dunque, non possono arrivare in Israele secondo la Legge del Ritorno, ma devono ottenere dal Governo israeliano un permesso speciale per trasferirsi nel Paese. Permesso che può intendersi anche come ricongiungimento familiare.

Attualmente, sono 8.000 i Falascià che si trovano in Etiopia e aspettano di emigrare in Israele. Per tale ragione, Alisa Bodner, portavoce della comunità etiopica israeliana, ha bollato la decisione del Governo come «un’incredibile delusione».
In Israele vivono circa 135.000 Falascià e, nel novembre del 2015, il Governo ha adottato un piano per portare nel Paese i rimanenti ebrei etiopi entro il 2020. Tale programma sembrava vacillare quando l’Ufficio del Primo Ministro si era rifiutato di attuarlo perché il miliardo di NIS, necessario al finanziamento del progetto migratorio, non era stato inserito nel bilancio dello Stato.
Nel 2017, però, il Ministro delle Finanze ha fatto un primo passo, destinando fondi per l’immigrazione di 1.300 etiopi, arrivati in Israele prima della fine dell’anno.
Il piano, come riporta ‘The Times Of Israel’, è stato nuovamente messo in dubbio quest’anno, dopo che l’approvazione del bilancio statale 2019, da parte del Governo, non prevedeva nessuna spesa alla voce immigrazione. Da qui, dunque, la presa di posizione e la decisione finale di Netanyahu durante la commissione interministeriale.
Ma chi sono i Falascià?
Falash Mura è un termine dispregiativo che in amarico significa ‘esiliato’ o ‘immigrato’, usato per indicare gli ebrei etiopi che, generalmente, usano definirsi Beta Israel (Casa d’Israele).
I Falascià sono situati tradizionalmente nell’area nord-orientale dell’Etiopia, nella parte settentrionale del Lago Tana, presso la città di Gondar e nel Tigray. La loro origine è incerta ed avvolta nella leggenda. Non ci sono dati sicuri che possano far luce tra le varie ipotesi, anche se è certo che insediamenti ebraici nella regione son da ricondursi ai tempi biblici.
«In quel giorno il Signore stenderà di nuovo la mano per il riscattare il resto del suo popolo superstite dall’Assiria e dall’Egitto, da Patros, dall’Etiopia e dall’Elam, da Sinar, da Chamat e dalle isole del mare. Egli alzerà un vessillo tra le nazioni e raccoglierà gli espulsi d’Israele, radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra», questa profezia contenuta nel brano di Isaia 11:11-12 è una delle testimonianze bibliche degli ebrei in Etiopia.
La leggenda vuole che siano discendenti di Menelik, figlio della regina di Saba e del re Salomone, il quale nominò il figlio re di Etiopia (Negus) e dal quale si sarebbe originata la dinastia dei Salomonidi, dalla quale si riteneva erede Haile Selassie, ultimo negus neghesti e imperatore d’Etiopia. Altre fonti riportano come questi siano i discendenti di una delle dieci tribù perdute. Come riporta la ‘BBC’, invece, i leader della comunità sostengono che gli ebrei etiopi siano discendenti di ebrei che lasciarono il regno di Giuda per l’Egitto, quando il primo fu distrutto nel 586 a.C. dai Babilonesi. Sono altre, poi, le numerose ipotesi sull’origine dei Falascià.
Fino all’anno 1000 gli ebrei etiopi avrebbero condotto un’esistenza pacifica, isolandosi dal resto delle popolazioni della regione e furono completamente all’oscuro di essere parte di una vasta comunità ebraica, la quale, a sua volta, ignorava la loro esistenza. A seguito di numerose guerre, scatenatesi nella regione tra la fine del ’900 e il XVII secolo, gli ebrei etiopi furono assoggettati alle popolazioni musulmane e ortodosse, furono perseguitati e videro ridurre gradualmente la loro libertà e, a volte, furono forzatamente convertiti.
Già a partire dal XII secolo, missionari cristiani, in particolare gesuiti, tentarono opere di conversione, ma con poco successo. Successo che, invece, riscossero i protestanti durante il XIX secolo, quando i membri della London Society for Promoting Christianity among Jews riuscirono a far convertire molti ebrei etiopi.
Fu necessario l’intervento del linguista Jacques Faitlovitch, per far prender coscienza della vasta comunità ebraica ai Falascià. Nel 1905, Faitlovitch diede vita ai primi comitati pro Falascià, si trasferì in Etiopia e rientrò in Europa con 40 giovani ebrei. In seguito, fece frequentare ai ragazzi alcune scuole ebraiche, introducendoli così alle pratiche religiose.
Con l’occupazione dell’Etiopia da parte di Benito Mussolini e il varo delle leggi razziali nel 1938, gli ebrei etiopi non furono soggetti a particolari sanzioni, al contrario furono tutelati e difesi dalle violenza di cui erano vittima da parte dei musulmani adiacenti, anche per la considerazione di cui godevano da parte della stampa ebraica italiana a partire da metà dell’ ’800 e alle pubblicazioni del filologo Filosseno Luzzatto.
Nel 1947 l’Etiopia si astenne dal Piano di Partizione della Palestina delle Nazioni Unite che condusse poi alla nascita dello Stato d’Israele.
Sotto il Governo dell’imperatore Haile Selassie, pur non essendo perseguitati, non fu permesso agli ebrei di lasciare il Paese e i pochi che riuscirono ad emigrare, durante gli anni ’60 e ’70, in Israele lo fecero perché in possesso di un visto turistico rimanendovi illegalmente.
La situazione peggiorò quando nel ’77- a seguito di un colpo di stato avvenuto tre anni prima – salì al potere il colonnello Mengistu Haile Mariam, il quale, durante la sua dittatura marxista ed il periodo ribattezzato ‘Terrore Rosso’, eliminò ogni forma dissenso politico e sociale, perseguitando i suoi avversari e accrescendo l’anti-semitismo.
Intanto, nel 1973, il rabbino israeliano Sephardi Ovadia Yosef aveva riconosciuto l’ebraicità dei Beta Israel, opinione prima rigettata e poi sostenuta dal Rabbino Capo Ashkenazi Shlomo Goren l’anno seguente. Nell’aprile del 1975, il Governo israeliano di Yitzhak Rabin riconobbe ufficialmente i Falascià come ebrei, ai fini della Legge del Ritorno, la quale nell’articolo 1 recita che «ogni ebreo ha diritto di stabilirsi in Israele come immigrato».
Tra il 1977 e il 1984 furono 8.000 gli ebrei etiopi che riuscirono a raggiungere Israele.
Tra gli anni ’70 ed ’80, Mengitsu, sostenuto dall’Unione Sovietica, dopo una carestia che colpì il nord Etiopia, diede avvio ad una politica di ‘villaggizzazione’, trasferendo le popolazioni settentrionali dal nord al sud del Paese e instaurando dei villaggi fortificati. Proprio in questi anni molti ebrei etiopi riuscirono a fuggire e a rifugiarsi nel Sudan, dove, però, il Governo musulmano mostrò una certa ostilità nei loro confronti. La loro situazione, allora, divenne critica e in Israele crebbe un movimento pro-Beta Israel teso a salvare gli ebrei etiopi. Questa nuova coscienza spinse il Governo israeliano a programmare delle operazioni di salvataggio per i rifugiati: l’Operazione Mosè, tra il novembre 1984 ed il gennaio 1985, e, nel marzo ’85, l’Operazione Giosuè .
Nei primi anni ’90, invece, ebbe luogo l’Operazione Salomone, dopo che la caduta del comunismo fece aumentare la paura per nuovi atti di violenza nei confronti degli ebrei. Partita il 24 maggio del 1991, l’Operazione fece si che in meno di due giorni circa 15.000 ebrei etiopi fossero evacuati e trasferiti in Israele.
Questa grande migrazione, però, non ha portato negli ultimi 30 anni ad alti livelli di integrazione. I Falascià hanno subito nel corso degli anni vari atti di discriminazione e molti vivono nelle zone periferiche delle città ed al di sotto della soglia di povertà. Come riporta Jewish Virtual Library, nel 2015, il reddito di una famiglia etiope era del 35% inferiore a quello di una famiglia media in Israele. Oltre il 35% delle famiglie israeliane etiopi vive sotto la soglia di povertà rispetto al 18,6% delle famiglie israeliane in generale. I Falascià, tra le minoranze ebraiche, sono i più sottopagati e i meno scolarizzati.
Nel 2016 molti Falascià sono scesi in piazza a Tel Aviv e Gerusalemme per protestare contro gli atti di violenza che le forze di polizia per anni hanno praticato nei loro confronti. Casus belli un video che mostra alcuni agenti picchiare, senza un motivo, un soldato israeliano di origine etiope.
Nonostante più rabbini si siano pronunciati in favore del reale ebraismo dei Falascià, gli intoppi al programma di rimpatrio totale previsto per il 2020 e una situazione sociale che li vede emarginati e all’ultima posizione della scala sociale della società israeliana, fanno pensare che il processo di integrazione sia ancora molto lungo.