GAZA. Raid nella notte, oggi nuove proteste
Chiara Cruciati 21 settembre 2018 |
Ieri notte un bombardamento israeliano ha colpito la Striscia di Gaza, ferendo un gruppo di giovani palestinesi nella zona est.
Uno di loro è ricoverato ma non è in gravi condizioni. Altri sei i feriti a Deir al-Balah, nel centro di Gaza, colpiti da proiettili sparati dai tiratori scelti israeliani.
Non si fermano le proteste nella Striscia e la presenza di manifestanti lungo le linee di demarcazione è sempre consistente. In questo momento a Khan Younis si sta svolgendo la preghiera collettiva.
Uno stillicidio continuo, incessante, di vite umane segna la quotidianità della Striscia di Gaza dal 30 marzo scorso. A sei mesi dall’inizio della Grande Marcia del Ritorno, lanciata dai comitati popolari di Gaza in occasione della Giornata della Terra, le manifestazioni lungo le linee di demarcazione tra l’enclave palestinese e Israele non si fermano.
E non si ferma il bilancio dei morti: sono quasi 190 gli uccisi dal fuoco dell’esercito israeliano, oltre 17mila i feriti. L’ultima vittima, ieri: un ragazzo di soli 15 anni, Mumim Abu Ayeda, è stato colpito alla testa da una pallottola vicino Rafah. Stava prendendo parte a una marcia notturna. Martedì erano stati uccisi due giovani di Khan Younis, di 18 e 21 anni, Naji Abuasi e Alaa Abuasi.
Stavolta non un cecchino, ma un raid aereo: secondo l’esercito israeliano, si trovavano vicino alla barriera di divisione per posizionare un oggetto non identificato. Un bombardamento è stata la reazione, sproporzionata direbbero le organizzazioni internazionali che accusano da mesi Israele di uso eccessivo della forza.
E ancora, pochi giorni prima, era spirato in ospedale il 16enne Suheib Abu Kashif per le ferite riportate il 3 agosto. Venerdì a morire sotto i colpi dei tiratori scelti israeliani erano stati un bambino di soli 12 anni, Shadi Abdleaziz Abdulal, Hani Afana di 30 e Mohammed Chakoura, vent’anni.
Una conta che qualcuno potrebbe trovare futile ma che è vita quotidiana per la popolazione sotto assedio di Gaza. Che nonostante la repressione insiste nel protestare e chiedere la fine del blocco. Una fine sempre più lontana: i negoziati indiretti tra Israele e Hamas, mediati dall’Egitto, sono a un punto morto, dati per falliti.
Ieri l’agenzia israeliana Ynet News, citando fonti gazawi, parlava di una possibile escalation delle manifestazioni per fare pressioni sia su Tel Aviv che sul Cairo, dando per assodata la narrazione israeliana, ovvero che le proteste sono orchestrate e dirette da Hamas. Di certo la fine della Marcia del Ritorno è tra le precondizioni israeliane al cessate il fuoco, da almeno tre settimane è scomparso dalle cronache.
A peggiorare la situazione c’è la politica dell’Autorità nazionale palestinese che teme una pericolosa esclusione da un eventuale accordo a due tra Hamas e Israele. La reazione, dicono fonti da Ramallah citate dal quotidiano Asharq al-Awsat, preoccupa: il presidente Abu Mazen ha minacciato di sospendere del tutto i finanziamenti mensili alla Striscia, dopo i tagli già compiuti. E oggi è di nuovo venerdì, un nuovo giorno di Marcia del Ritorno.