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Restituire la storia all’Africa? Non se ne parla proprio

FULVIO BELTRAMI SU
Nei più importanti musei europei è custodito un pezzo della storia africana: oggetti d’arte, dipinti, maschere, statue, obelischi, sculture, manoscritti antichissimi, testi sacri, monili. Tra questi un numero imprecisato di preziosi reperti archeologici egiziani.

Sono frutto della rapina delle truppe di occupazione francesi, tedesche, italiane e britanniche. I tesori africani esposti nei principali musei europei rappresentano, di fatto, la ‘legalizzazione’ e la commemorazione del colonialismo, quando i vincitori hanno privato i vinti di un pezzo della loro storia e della loro identità culturale.

Negli ultimi anni le richieste da parte dei Paesi africani di restituire i tesori rubati si sono fatte sempre più insistenti e si sta intravvedendo una serie di azioni legali contro vari musei europei che potrebbero essere intraprese a livello internazionale dai Paesi africani derubati appunto durante il colonialismo. Nei scorsi mesi vari musei in Francia, Gran Bretagna e Germania hanno ammesso che gran parte delle loro collezioni africane sono frutto di furti istituzionalizzati durante l’era coloniale. 
Ammettere questa evidenza storica non significa, però, esternare l’intenzione di restituire i tesori ai legittimi proprietari. Vari musei asseriscono che gli oggetti d’arte potrebbero subire gravi danni se restituiti a causa delle scarse condizioni di conservazione di cui molti musei africani soffrono. Meglio tenerli in istituzioni specializzate, al fine di preservare questo immenso e inestimabile patrimonio dell’umanità. 
«Se alcuni musei europei ammettono di custodire tesori africani rubati durante il colonialismo, molti altri rimangono restii a rivelare la provenienza degli oggetti d’arte africana in loro possesso, tentando di nascondere l’acquisizione illecita che caratterizza la maggior parte delle collezioni africane esposte. Il segreto è accettato come norma nel mondo dell’arte e dell’antiquariato ed ha permesso ai musei occidentali di possedere rare e preziose collezioni da tutti gli angoli del pianeta», ha affermato, nel 2017, ad ‘Al Jazeera’ il giornalista Rafia Zakaria.
Le richieste di restituire i tesori rubati risalgono dagli anni Sessanta, richieste avanzate dal Benin e dall’Etiopia. La Nigeria ha richiesto al Governo inglese la restituzione di 4.000 oggetti d’arte in avorio e bronzo rubati nel sud del Paese dall’Esercito britannico, nel 1897. Generalmente queste richieste vengono ignorate o ricevono un secco rifiuto. Raramente i Paesi africani ottengono la restituzione dei tesori rubati. Nel 2005 l’Etiopia riuscì a farsi riconsegnare l’obelisco di Axum rubato da Mussolini e portato a Roma come simbolo della effimera vittoria fascista sul Negus. Operazione che costò al Governo italiano sei milioni di euro.
Qualcosa si sta muovendo anche se è ancora presto per affermare che i musei europei restituiranno la storia rubata all’Africa. Durante la visita in Burkina Faso del novembre 2017, il Presidente francese Emmanuel Macron dichiarò che la restituzione dei pezzi d’arte africani sarebbe stata una sua priorità. «Non posso accettare che una gran parte del patrimonio culturale di vari Paesi africani sia in Francia. Nei prossimi cinque anni si creeranno le condizioni per permettere una restituzione temporanea o permanente di questo patrimonio all’Africa». Nel gennaio 2018 il Presidente Macron ha incaricato due esperti (tra cui un senegalese) di studiare la restituzione dei pezzi d’arte africana custoditi presso i musei francesi.
Lo scorso maggio il Ministro tedesco della Cultura e della Associazione dei Musei ha emanato un codice di condotta che impone ai direttori di individuare le esatte origini dei pezzi d’arte africana e di pianificare la loro eventuale restituzione in caso provengano da razzie compiute da tedeschi durante l’era coloniale. Per assistere i musei nell’esercizio di comprendere se questi pezzi d’arte siano stati acquistati legalmente o siano frutto di razzie coloniali, il Governo tedesco ha messo a disposizione 3 milioni di euro.
I musei londinesi Victoria Museum e Albert Museum stanno considerando di restituire all’Etiopia oltre 8.000 pezzi d’arte, tra cui molti oggetti in oro che furono rubati dall’Esercito britannico nell’ottocento e soggetti ad una richiesta ufficiale del Governo di Addis Abeba presentata nel 2007. Un consorzio di musei europei denominato Gruppo di Dialogo del Benin sta pianificando la restituzione temporanea di vari oggetti d’arte alla Nigeria appartenenti all’Impero del Benin.
Questa improvvisa buona volontà è dettata dall’impossibilità dei musei europei di continuare a negare che la maggioranza delle loro collezioni africane non siano frutto di rapine coloniali. Comunque i musei non dimostrano particolari e genuine intenzioni di restituire il mal tolto. Infatti, parlano di restituzione temporanea, cioè di prestiti delle collezioni ai Paesi africani d’origine affinché li possano esporre nei loro musei per un delimitato periodo di tempo prima di ritornare ai musei europei.
Le reazioni a questa proposta sono contraddittorie. Il Governatore nigeriano dello Stato di Edo ha espresso soddisfazione, affermando che la restituzione temporanea dei pezzi d’arte nigeriana è comunque un segnale positivo dei governi europei. Anche il fondatore della campagna per la restituzione dei tesori etiopi custoditi presso i musei di Victoria e Albert, il professore Andreas Eshete, manifesta il suo apprezzamento sulla proposta di prestito temporaneo.
Non mancano, però, le prese di posizione contrarie alla restituzione temporanea. «Non è politicamente e culturalmente accettabile la proposta avanzata da vari musei occidentali di restituire temporaneamente il nostro patrimonio culturale rubatoci secoli addietro. Questi oggetti devono essere restituiti ai legittimi proprietari e in modo definitivo. Semmai i musei africani possono‘imprestarli’ ai musei europei per delle mostre tematiche dietro compenso monetario che servirà a finanziare la conservazione del nostro patrimonio culturale ed artistico», dichiara al quotidiano britannico ‘The Guardian’, il professore del dipartimento delle arte creative dell’Università di Lagos, Peju Layiwola, riguardo i beni culturali dell’impero del Benin rubati e custoditi presso i musei londinesi.
Secondo vari esperti africani di arte il concetto proposto dai musei europei di restituzione temporanea avrebbe l’obiettivo di mantenere intatta e inalterata la proprietà illecita di questi pezzi d’arte rubati a chi li ha veramente prodotti. Questo ‘stratagemma’ è stato ideato per non perdere un valore inestimabile generato da opere uniche al mondo e per evitare di diminuire il potere di attrazione e l’affluenza del pubblico ai musei europei.
«La lista degli oggetti d’arte rubati dai colonizzatori in Africa è inestimabile. Pezzi di rarità assoluta che simboleggiano la nostra identità, cultura e storia ora sono sparsi in tutto il mondo, migliaia di km lontani dai loro luoghi d’origine. L’Africa disperatamente cerca di riaverli in quanto fanno parte del nostro patrimonio culturale», afferma il direttore del mensile ‘Africa.com’.
L’Impero Britannico è stato uno dei principali responsabili di questo incredibile e inaudito furto della storia africana. Nel 1897 gli inglesi invasero l’impero del Benin, collocato nel sud della Nigeria, massacrando intere popolazioni e rubando tutti i tesori che trovavano. Il re fu costretto a fuggire e il suo tesoro di centinaia di statue, monili e rari oggetti in bronzo e oro furono rubati per rivederli a musei europei e americani. Tra essi le due famose statue di bronzo Ahianwen-Oro che ritornarono in patria nel 2014, grazie all’iniziativa di un cittadini britannico, Mark Walker, ma la maggioranza del tesoro dell’impero del Benin rimane gelosamente custodito presso il British Museum, che non intende riconsegnarlo ai legittimi proprietari.
Nel 1913 la Germania si impossessò della statua della Regina Nefertiti, sottratta all’Egitto grazie a documenti fraudolenti. Dopo la sconfitta della Prima Guerra Mondiale, Berlino decise di restituire la preziosa opera d’arte. Adolf Hitler una volta giunto al potere decise di tenersela, considerandola un trofeo testimoniante la superiorità della razza ariana. L’Egitto a più riprese ha richiesto la restituzione della statua, richiesta ignorata dalle autorità tedesche. Nefertiti è custodita presso il Museo di Neues a Berlino e attira un milione di visitatori ogni anno.
Il popolo egiziano è stato vittima anche del furto della Rosetta Stone, un obelisco di 2200 anni sul quale sono incisi i primi geroglifici e iscrizioni in lingua greca. La Rosetta Stone fu rubata nel 1799, durante l’occupazione francese. Gli inglesi a loro volta lo rubarono alla sconfitta di Napoleone, e attualmente si trova presso il British Museum, che ignora le varie richieste egiziane di restituzione. 
Anche l”Etiopia ha subito il saccheggio dell’Impero britannico. Nel 1868, le truppe inglesi invasero i territori dell’Imperatore Tewodros II. La spedizione militare era comandata da Luogotenente Generale Sir Robert Napier e aveva come obiettivo liberare vari cittadini britannici, incluso il Console in Etiopia, Sir Charles Camerun, imprigionati dall’Imperatore due anni prima. Dopo un breve ma violento conflitto le forze imperiali etiope furono sconfitte e Tewodros II si suicidò, sparandosi un colpo in testa con una pistola ricevuta in regalo dalla Regina Vittoria. Le truppe britanniche depredarono il regno, rubando tutto il tesoro imperiale e molti oggetti d’arte sacri custodi in vari monasteri ortodossi. Si accanirono sul corpo di Tewodros II che, suicidandosi, aveva privato gli inglesi di arrestarlo e di portarlo in trionfo a Londra. Al suo posto il Generale Napier portò la sua lunga treccia di capelli come trofeo da mostrare ai cittadini di Sua Maestà e simbolo della potenza coloniale britannica. Secondo i cronisti inglesi ed etiopi dell’epoca, ci vollero 15 elefanti e 200 muli per trasportare il tesoro rubato fuori dall’Etiopia. Il tesoro fu distribuito tra i vari musei: il British Museum, i musei di Victoria e Albert e L’Abazia di Westminster. La treccia dei capelli di Tewodros II è tutt’ora conservata presso il Museo dell’Esercito a Chelsea. È stata temporaneamente rimossa lo scorso aprile durante la visita al Museo da parte dell’Ambasciatore etiope. 
L’Etiopia dal 2004 richiede la restituzione del tesoro imperiale rubato e della treccia di Tewodros per poterla degnamente seppellire assieme ai resti dell’Imperatore presso il monastero ortodosso della Santa Trinità a Quara. Tra i tesori reclamati vi è ‘rombo sacro’, una tavoletta in pietra che simbolizza l’Arca dall’Alleanza. Un’opera d’arte venerata da 35 milioni di cristiani al mondo. È custodita presso l’Abazia di Westminster ,dopo essere stata trasferita, nel 1870, dalla Cappella della moglie del Re Enrico VII, dove era stata originalmente conservata. La direzione dell’Abazia di Westminster dal 2010 si rifiuta categoricamente di restituire all’Etiopia la sacra reliquia. 
L’Etiopia fu vittima anche di terribili saccheggi di opere d’arte durante l’occupazione fascista, la maggioranza dei quali si trova ora custodita in vari musei italiani, che non si pongono nemmeno il dubbio della loro provenienza illecita.
Quando gli europei invasero il Regno dello Zimbabwe, nel Sedicesimo secolo, si trovarono dinnanzi ad una civiltà progredita e ad un Paese pieno di monumenti costruiti tra l’Undicesimo e il Quattordicesimo secolo dalla etnia Shona, che testimoniavano una complessa civilizzazione preesistente al periodo coloniale. Tra i pezzi più unici vi è il famoso Uccello dello Zimbabwe, una meravigliosa scultura in pietra raffigurante un’aquila. La scultura fu rubata da Cecil John Rhodes e successivamente venduta ad un missionario tedesco che la rivendette al Museo Etnologico di Berlino nel 1907. Dopo una lunga guerra diplomatica il Governo tedesco fu costretto, nel 2003, a restituire questa preziosa opera d’arte allo Zimbabwe.
Le truppe coloniali francesi fecero man bassa dei tesori africani nelle terre conquistate. Tra cui il tesoro della Regina di Bangwa nel Camerun, già parzialmente saccheggiato dalle truppe di occupazione tedesca nel 1890, sotto la guida dell’esploratore Gustav Conrau, che si impossessò della scultura in legno della Regina di Bangwa, portandosela in Germania. La statua finì, nel 1990, ad una asta di New York per essere venduta per il prezzo record di 3,4 milioni di dollari.
La promessa fatta dal Presidente francese Macron di restituire i tesori africani rubati si sta dimostrando, secondo alcuni osservatori come Andrew Reid, ricercatore senior presso il Dipartimento di Archeologia Africana dell’Istituto di Archeologia del Collegio Universitario di Londra, una ‘patacca’. «Il Presidente Emmanuel Macron ha fatto questa promessa come forma di arma diplomatica nel tentativo di suscitare simpatie verso la Francia in una regione dove l’influenza della Cina si fa sentire con prepotenza. La proposta è stata appoggiata anche da Stèphane Martin, direttore del Museo etnografico Quai Branly-Jacques Chirac a Parigi, dovo sono custoditi 70.000 manufatti africani. Nonostante queste promesse, la Francia non restituirà mai i pezzi più prestigiosi del bottino rubato durante l’atroce periodo coloniale, per il semplice motivo che storicamente la Francia è ostile all’idea di restituire i tesori africani custoditi presso i suoi musei. Li considera proprietà del pubblico, ma in realtà sono testimonianze del Grandeur Francese nei Territori d’Oltre Mare».
A sostegno della previsione di Reid giungono le recenti posizioni del potentissimo e influente Simon Njami, direttore di ‘REVUE NOIRE’, rivista di arte africana e nera, ideatore, nel 2016, della Biennale di Dakar, in Senegal. «Come possiamo definire con esattezza a chi appartengono tutti gli oggetti di arte africana custoditi presso i nostri musei? I confini dell’Africa prima di essere chiaramente tracciati dalle potenze europee durante la conferenza di Berlino del 1884-85 erano estremamente labili, praticamente inesistenti. Questo rende impossibile identificare esattamente quale Stato africano sia il legittimo proprietario di molti manufatti da noi custoditi. Restituire queste opere d’arte è fuori discussione. Tuttalpiù possiamo organizzare periodicamente una mostra interinante lungo l’Africa…».