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GAZA. L’assedio israeliano nega il diritto alla salute dei palestinesi

Alessandra Mincone 20 agosto 2018
Dentro la Striscia non entrano più forniture mediche e medicinali salvavita, tra cui quelli necessari alla cura dei tumori. E uscire dall’enclave palestinese è diventato quasi impossibile.

L’assedio a Gaza peggiora: nelle ultime settimane sono state interrotte le forniture mediche e l’arrivo di strumenti necessari per i trattamenti sanitari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che il combustibile donato dalle Nazioni Unite per gli ospedali in emergenza sanitaria finirà entro la fine di agosto.
L’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, ha registrato dal 30 marzo al 2 agosto, 17.259 casi di persone nei Territori Occupati Palestinesi con problemi di salute provocati dall’inalazione di gas nocivi, armi da fuoco ed altre patologie.
La chiusura parziale del varco commerciale tra il confine di Karem Abu Salem e la Striscia di Gaza ha impedito l’accesso ai medicinali e alle attrezzature per eseguire radioterapie, terapie molecolari, scansioni Pet e scansioni isotopiche. Anche i medicinali chemioterapeutici sono stati proibiti dal blocco israeliano: lunedì 12 agosto il Ministero della Salute affermava che l’80% dei malati di cancro sulla Striscia di Gaza rischia un deterioramento delle condizioni di salute.
Khaled Thabet, capo del dipartimento di oncologia dell’ospedale di al-Rantisi di Gaza, ha denunciato la mancanza di “Neubogen”, farmaco utile per aumentare l’immunità nei pazienti ammalati di cancro, dichiarando che Israele sta minacciando il diritto alla vita di oltre 8mila persone e informando che “45 farmaci terapeutici su 60 lunedì mattina erano del tutto esauriti”. L’ospedale al-Rantisi non è più in condizione di prevedere alle sessioni chemioterapeutiche a causa dei tagli e dei divieti alle cure sanitarie nella Striscia.
Mentre il sistema sanitario è al collasso all’interno della Striscia di Gaza, vengono contemporaneamente adottate politiche di repressione contro la libertà di movimento per chi tenta di cercare oltre la Striscia il proprio diritto alla vita. Per i residenti a Gaza non esiste via d’uscita: sono migliaia i casi di persone malate che non riescono a ottenere i permessi di ingresso nella Cisgiordania occupata per beneficiare dell’assistenza medica, a causa delle politiche di chiusura che in nome della “sicurezza contro il terrorismo” impediscono il movimento dei pazienti.
A luglio sette donne gravemente malate hanno presentato una petizione all’Alta Corte di giustizia, supportate da Al Mezar Center for Human Rights in Gaza e tre organizzazioni israeliane, in seguito al rifiuto di Israele di concedere loro l’assistenza sanitaria, poiché tutte imparentate con membri di Hamas.
Numerosi anche i casi di minori che non possono essere accompagnati dai propri genitori agli ospedali fuori da Gaza, per via di lunghi periodi di attesa burocratica,prima di ottenere le autorizzazioni concesse solo in base a requisiti dettati da Israele.
Un’inchiesta di Haaretz ha denunciato, in particolare, il caso di Hannan al Khoudari, madre di un bambino malato di cancro, a cui non è stato permesso uscire dalla Striscia per assistere il bambino, poiché è in parentela di primo grado con un membro dell’organizzazione Hamas. La donna, che ha denunciato il grave attacco all’esistenza di suo figlio, rivelava che a causa delle procedure amministrative procrastinate fino a sette mesi, suo figlio ha dovuto rimandare numerose volte gli appuntamenti in ospedale. Hannan ha lanciato un appello via Facebook, rivolto a donne con i requisiti imposti da Israele al fine di consentire che il piccolo seguisse costantemente le procedure mediche.
L’organizzazione Physicians for Human rights ha ribadito la totale assurdità della vicenda davanti al Coordinamento territoriale e l’amministrazione responsabile: “Rileviamo che sia un pericolo categorico per la salute e la vita del bambino non curarsi alla presenza di un genitore”.
Da marzo, con l’avanzare delle proteste che hanno visto palestinesi coinvolti in numerose manifestazioni durante la Marcia del Ritorno, si sono registrate 9.701 richieste di trattamenti sanitari. A 5.694 palestinesi sono state effettuate amputazioni di arti, prevalentemente alle gambe; mentre circa 1.200 aspettano interventi di ricostruzione che potrebbero richiedere fino a sette operazioni e fino a due anni di trattamenti. Ben 4.348 palestinesi sono stati feriti con armi da fuoco: Amnesty International ha evidenziato che numerose ferite sono state causate da fucili Tavor di produzione israeliana e da cecchini M24 Renington di produzione USA.
Ai feriti contati nelle giornate di protesta si sommano 164 palestinesi uccisi, mentre nove sono i feriti dentro Israele. I dati raccolti lasciano una sola sintesi rispetto a quello che sta accadendo a Gaza: Israele continua a negare il diritto all’esistenza del popolo palestinese sotto gli occhi del mondo intero.