DAL TALLONE DELLA MADONNA ALLA GIRANDOLA DELLA RIVOLUZIONE
Silvio Talamo |
Qualche giorno fa mi è capitata sotto mano, o meglio sott’occhio “La madonna del serpe”, detta anche madonna dei palafrenieri.
Il dipinto del Caravaggio raffigura una madonna con un bambino che schiaccia un serpente. Il tema non era nuovo, non lo sarà neanche in seguito, e lo stesso Merisi venne ispirato da un altro dipinto di Lomazzo. E´ una scena che ritroveremo sia nella produzione colta che popolare. Sorvolando sulla disputa teologica, che di recente sembra essersi irrobustita di un altro tassello, una di quelle questioni fondamentali interessante per altri: se la madonna possa avere la facoltà di schiacciare direttamente il male per se stessa o se possa farlo solo grazie alla sua stirpe: la figliolanza, da cui trae forza e legittimità (con avvilimento mio per tutte le ma-donne che prima di “combattere” devono partorire un Gesù), incomincio in mente a comporre, come sempre, collegamenti …
Che il Caravaggio sia una presenza geniale nell’ambito della cultura e dell’arte è un dato su cui potremmo essere, spero, tutti d´accordo ma, di fronte alla scena, attraversato dai pensieri, in quello spazio di puro stimolo (specie se collegato ad un soggetto scrivente) dove anche le banalità assumono un rilievo, mi è sorta una domanda quasi infantile: che ci fa il serpente cosi vicino alla madonna?
La scena per commissione doveva essere domestica e del resto il povero serpente, credo suo malgrado, almeno simbolicamente, si è ritrovato a sostenere il peso di quegli attributi che lo avrebbero nel tempo collegato all’idea del diavolo e fatto diventare un’immagine del maligno. Ma, detto questo, perché il diavolo, che potrebbe starsene al riparo dai rischi e gingillarsi con la sua nota astuzia tra personaggi più umili, passibili di facili sconfitte, gironzola invece tra i membri della famiglia celeste? Perché proprio nella tana del leone? Perché così vicino a chi è già immerso nella potenza della luce?
Il diavolo è un tentatore e senza pudore, pieno di sé, è provato a tentare tutto e tutti, non c’è quindi confine. Sappiamo che lo stesso Gesù Cristo fu tentato, e tentare vuol dire, continuiamo a parlare anche simbolicamente, passare dalla luce all’ombra. Esiste un filo diretto e speculare che collega il diavolo ed il santo. Ovviamente dalle opposte sponde il santo converte ed il diavolo inverte.
Mi viene in mente che in un universo così gerarchicamente determinato, come quello religioso a cui le figure si riferiscono, il diavolo doveva essere davvero un problema… Il dipinto, se non sbaglio, risale agli inizi del seicento ma possiamo per estensione riferirci anche all’universo più vecchio del medioevo, e la controriforma, che stava raggiungendo il suo massimo “splendore”, fatto anche di inquisizioni, non contribuì a cassare una certa geografia. Il mondo, lo sappiamo, era diviso in alto e basso, luce e tenebra, corpo ed anima, ascesa e discesa – come Dante ci mostra – dove l’alto era il luogo del sublime, del paradiso, della purezza ed il basso il luogo del corpo, dell’inferno, del peccato, eccetera… E´ lì che il diavolo, in quei momenti, agiva.
In quell’universo il diavolo, con il suo essere fetente, ambiva alla luce; assetato di potere, ambiva alla forza assoluta; in un mondo dove sarebbe stato giusto ascendere, ambiva a farti inabissare; in un mondo dove sarebbe stato giusto ripulirsi dalla propria libido, ambiva a farti peccare, confondeva gli uomini dal retto cammino, seduce, svia, cambia di segno. Lui, immorale, inverte. Il movimento che porta alla luce del paradiso è ascensionale, quello che porterebbe alle tenebre è una caduta, una discesa. Quella dell’inversione è un gioco che gode di una sua inafferrabilità ma, al tempo stesso, è stato un processo carico di veri e propri momenti di utopia, se non di rivendicazioni sociali, ma di questo un’altra volta … Dietro il segno dell’inversione, dunque, si cela quasi sempre la presenza del demonio, almeno secondo i detrattori. Bisognerebbe vedere che cosa ne pensassero “gli invertitori”.
Ora che il gioco si fa più duro, avviamo uno strappo apparente, ed essendo consapevoli che il satanasso sia un ottimo giocatore, superiore e spesso, o quasi sempre, al mortale, incarnazione del concetto di male che proprio non ci interessa esaltare, lo mettiamo da parte (nella sua purezza) per arrivare al più generico campo del demonico. Cambiamo arte e dall’occhio passiamo all’orecchio, quindi alla voce e, seguendo il filo delle inversioni, pensiamo alla teatralità medioevale: un’altra ambiguità.
L’attore, di certo, è sempre stato portatore di un mistero così come di una interdizione sociale, ma in questo caso, quello della teatralità nel medioevo appunto, si parlerebbe in più di letteratura e probabilmente musica.
Ci riferiamo a quei soggetti che hanno rappresentato le ragioni della fisicità, spesso girovaghi, e che ci hanno lasciato un complesso di poesie ed opere dette giullaresche. Opere che non erano e non sono unicamente passabili come produzione popolare, ritrovate, tra gli altri, fra i documenti detti memoriali bolognesi, carte di produzione notarile. Qui però mi piace parlare di demonico, perché i giullari / attori / poeti / intellettuali rappresentavano una cultura spacciata dai detrattori come diabolica (e quando mai!) ma forse più vicina, invece, alla vecchia figura del demone, elemento problematico e divino della coscienza, quindi del corpo; ancorati alla reminiscenza di una cultura pagana (chi sa se cosciente o meno), di una visione precedente alla trascendenza e alla, per un gioco di parole, demonizzazione della corporeità.
Rimanendo legati alla nostra inversione, mi vengono in mente alcune composizioni: una è Kyrie Kyrie fan le monache. Brevemente (visto che non ho lo scritto sotto mano) il componimento – letto, trascritto, passato, tramandato, recitato o magari cantato – rappresenta la vita delle monache di un convento. E’ un operazione dissacrante, più vicina alla commedia, una presa in giro, eppure ha una sua dinamica. Le monache che son “pregne” – qui già si intravede lo sberleffo del cantastorie e la sua “attenzione” alle dinamiche del corpo spesso straripanti e non represse – recitano il kyrie eleison e tra le tante vicende è proprio il momento della preghiera che doveva essere uno dei più spassosi, perché è proprio in quel momento che le monache davano vita ad episodi di meteorismo. Praticamente, con un linguaggio che ricalcherebbe l’antico beffardo: scoregge! Tutt’oggi si ritrovano nella comicità più popolare atteggiamenti e parodie simili, spesso abbastanza noiose e prevedibili, nondimeno qui quello che conta è altro. E´ un’inversione dissacrante, che non ha solo un atteggiamento retorico: le monache, che dovrebbero essere l’incarnazione dell’astinenza, sono evidentemente goderecce ma soprattutto, rispetto alla dicotomia alto-basso, ai flauti celesti del canto e della preghiera si sostituiscono le flatulenze del basso ventre. Dal luogo che vuole la repressione dell’istinto si passa al luogo della sua esplosione.
Che dire di tutti gli altri momenti utopici come le feste dei folli; il paese della cuccagna dove trovi polli già pronti da mangiare sugli alberi e dove i ricchi gemono e i poveri fanno festa; le feste degli asini; i carnevali collegati spesso al maggio e ad una visione ciclica dell’esistenza? Cito quest’ultima più perché la ritroviamo alla radice della nascita del teatro italiano, come Toschi ci disse.
E´ un mondo alla rovescia dove il deretano, anche questo fonte di interdizione e non solo per la sessualità omo, quindi il basso, assume il posto centrale che dovrebbe essere consegnato all’alto. Scambiare il davanti con il di dietro era un elemento di per-versione, una problematica non diversa tra lo scambiare la destra con la sinistra, pensiamo all’educazione data in passato ai mancini. La sinistra era la mano del demonio. In questo mondo, attraverso un riso di spessore che poteva anche essere pagato caro, vediamo emergere ciò che avrebbe dovuto rimanere sommerso.
Si tratta, dicevamo, di scrittura, oralità e teatro; dove il maggio, raffigurazione di una rinascita ciclica, rappresenta un punto nella ruota del tempo, un punto che ritorna insieme agli altri. In fin dei conti le maschere della commedia dell’arte sono in origine demoni, le stesse presenze che con funzione apotropaica e fecondatrice, verso la fine di ottobre, secondo le usanze popolari, ritornavano con le anime dei morti sulla terra per fecondarla. Il signor Lucifero, tuttavia, non produce, non ha vere figliolanze, non crea. Aspira al potere, ciò nonostante, come tutti i potenti, non è creatore. I suoi miracoli, secondo alcuni, non durano … sono mere illusioni. Ho trovato a questo proposito sempre interessante che in molte società tradizionali la, chiamiamola così, “potenza”, anche quella sociale, non sia solo collegata all’atto in se stesso, questo arriverà forse con la pornografia, ma alla capacità di fare figli. Molti africani ad esempio quando mi parlano della forza e dell’importanza di una persona (in genere si parla di musicisti), non tralasciando il numero delle mogli, parlano con enfasi del numero dei figli.
Nell’antico impero cinese gli eunuchi “lavoravano” per l’imperatore negli harem ai servizi delle mogli, tante e troppe per essere seguite da un solo uomo. Rispetto a tutta la “fenomenica” sessuale quello che di sicuro, in taluni casi, non potevano fare era ingravidarle. Era sì una mancanza, ma quella del seme ad essere l’elemento focale e non altro. Anche qui lascio, biologicamente parlando, a voi le conclusioni. In ogni modo sappiamo raggiunsero una notevole importanza politica negli intrighi di corte. Pur tuttavia l´imperatore era ovviamente un altro.
Quando parliamo di teatralità medioevale, di maschera, oralità, parodia e inversione intendiamo invece qualcosa di fondamentalmente fertile, creativo e produttivo come le anime del maggio …
Questa sorta di capovolgimento diventa di conseguenza un fatto fisico, metafisico oseremmo dire ontologico e poi storico. Quest’ultimo passo è più recente e dovremo aspettare le rivoluzioni, quelle … “reali”. A tal proposito qualcuno, pur non parlando di anime, parlò di spettri, o meglio, di uno spettro che avrebbe dovuto aggirarsi per l’Europa per aprire la via ad una rivoluzione. Marx, o almeno uno dei luoghi della sua vasta produzione filosofica e politica, propose una strada che ancora ci ricorda una inversione, un capovolgimento in realtà dichiarato. Insomma se la storia è il frutto di una dialettica di forze, una conservativa e l’altra di progresso, allora la determinazione dialettica negativa (gli oppressi, il proletariato) dovrà rispondere affermandosi contro la determinazione dialettica positiva (i padroni e i potenti), invertendone i campi e prendendone il posto nella società: rivoluzione! Capovolgimento dei poteri.
Per quanto mi riguarda, con gli occhi dell’oggi, Marx e lo stesso Lenin mantennero una visione fin troppo aderente alla verticale alto/basso ma certamente furono coerenti nell’azione, anche purtroppo nell’eliminare i nemici più vicini, in Russia e altrove, come la variabile anarchica.
Fatto sta che la parola rivoluzione ha evocato ed evocava, sconquassi sconcertanti, era una parola che al suo solo pronunciarsi ci si poteva far la croce. I comunisti vennero dipinti nella propaganda antisocialista come diavoli. I rivoluzionari non saranno trattati benissimo e neanche loro, fedeli all’ideale, fecero nulla per placare le preoccupazioni del nemico. La rivoluzione non è una passeggiata diceva il rivoluzionario e la rivoluzione andava vinta o repressa, i rivoluzionari incarcerati o condannati. Dopo la fine della repubblica napoletana, come in molti sanno, tutto il nucleo dirigente della repubblica fu giustiziato, malgrado gli accordi ufficiali già presi per la resa. I blindati sfoderati contro i movimenti nella Bologna del 77 non sono come le parole del Tertulliano lanciate contro i mimi e i giullari … è ovvio, si tratta di tempi, spazi e cose diverse ma se le parole esprimono concetti, fino ad un punto, nonostante l’intervento del riformismi, il gioco era chiaro … e quando non lo era, si trattava di una ambiguità incastonata su dicotomie inanellate di chiarezza: il rivoluzionario fa la rivoluzione / il reazionario reagisce e reprime, giusto per semplificare.
Bisogna anche dire che le stesse avanguardie storiche, quelle artistiche intendo e non quelle politiche, si affermarono attraverso un operazione di immediata provocazione performativa; se si tratti di una rivoluzione estetica anche questo lo lasciamo ad altri. Sicuramente molti furono vicini, immersi nel movimento o nelle idee rivoluzionarie.
Poi qualcosa è successo…
Come uno sgretolarsi del corpo della parola, delle cose, degli oggetti. L’emergere alla luce dei discorsi, dei desideri in un universo dove le interdizioni ad un livello immediato scricchiolano; dove i titoli sono più importanti degli articoli magari completamente inutili; dove ogni frattura del video ci propone una emorragia di informazione, una abbuffata che non ha più nulla dello stomaco carnevalesco; dove il politico, come il detersivo, mente ed è chiaro a tutti che menta. All’alchimia del verbo predicata dal poeta, seguì l’alchimia della finanza e anche la coca cola volle la rivoluzione del gusto, questo dopo la caduta del muro. Ad invocare la libertà sono stati i mercati. L’esperienza delle avanguardie venne raccolta finanche dalla pubblicità. La mia è una visione prospettica, non perché mia personale ma perché da occidentale ai limiti dell’occidente (come tutti gli occidentali). E comunque su questa linea potremmo, in questa ennesima inversione, continuare. In Italia ad esempio Berlusconi è stato decantato come uno svecchiatore dei costumi, almeno televisivi, e se pensiamo che il primo presidente rai, pur nella sua complessità, docente di diritto ecclesiastico, dava “consigli” al Papa, sembrerebbe, in alcuni momenti, che la rivoluzione sessuale, la liberazione dei corpi, sia stata fatta dal cavaliere, Marcuse un riflesso… Vittorio Feltri riesce a dichiararsi anarchico, immaginiamo cosa ne penserebbe Bakunin, e addirittura Alemanno, penso si possa dire “ex” fascista, allora sindaco di Roma, volle accogliere con parole lusinghiere il poeta beat Ferlinghetti, quest’ultimo dichiaratosi “stupito”. Non c’è casualità e neanche confusione ma una azione retoricamente e ideologicamente ben impostata per cui, paradosso dei paradossi, blog fascisti parlano di comunismo … come fossero comunisti. Le rivendicazioni sociali un tempo fonte di conflitto sono impacchettate da spot pubblicitari o propagandistici abbastanza reazionari. La “creatività” è eretta a criterio diffuso di vita e allo stesso tempo non si produce più … . Ubu Rua’ non sarebbe contento. Perfino l´avventuriero della foto ai vip dichiarava di sentirsi un Robin Hood – quello che rubava ai ricchi per dare ai poveri – perché lui rubava ai ricchi per dare a se stesso – trionfo dell’ego alla faccia della redistribuzione. Non era questo il senso che George Brassens dava alla sua canzone quando parlava del ladro di mele.
Questa cosa è stata fatta. Le rivoluzioni sono finite. E sebbene nessuno creda che le parole ed i concetti possano mai essere alla sferza di alcuno, possiamo concederci un po’ di perplessità e prendendo atto dell’astuzia andata a buon fine, sappiamo anche che indietro non si torna. Ogni giro che ritorna ha sempre la forma del nuovo. Se è giusto smascherare il trucco, non so quanto sia utile provare a bloccare le parole…
Bisognerà seguire il filo nascosto sotto ai frammenti di una grande implosione, uscire dai fatalismi in un tempo in cui quasi come in un film americano tutto quello che dirai al momento dell’arresto potrà essere utilizzato contro di te, dove è la parola ad avere un doppio e non solo il teatro. Un limite che sembrerebbe ricalcare l’orlo del vuoto: << Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia>> diceva un altro poeta – proprio alla vigilia dei vuoti -, come quando l´aereo precipita e la telecamera inquadra il quadrante sulla cui superficie la lancetta gira vorticosa, segnalando il senso delle cose che può cambiare all’istante. Nonostante l’ipertrofica proposta di possibilità e di scelta sembrerebbe che non si possa più dire, che non si possano più produrre cose, crearle… o magari anche questa potrebbe essere una illusione, passibile di una ennesima inversione…
C’è via d’uscita?
Sarà la mia tensione estetica, ma dovremo fare un serio discorso (anche politico) sui processi di creazione e di produzione ad un livello sociale, individuale e di coscienza: una creazione sganciata da finalità immediate, magari dimenticando, per un momento, Guy Debord. Non me ne vogliano gli amici per quest’ultima, lo spettacolo prima di essere un rapporto sociale è qualche altra cosa …
Dichiarata una esigenza, è arduo darsi soluzioni e non crederei a chi propone panacee, eppure, consapevoli della realtà, che per quanto menzognera ha indubbiamente una sua forza schiacciante, non possiamo sottrarci al fascino del riso del saltimbanco, che con le sue circonvoluzioni ci porta a sprofondare coi piedi nella terra, indifferente all’oscillare dei significati.
In un mondo che dimentica la rotta, non copriamo l’indice del signor dada puntato ai bordi del senso, e non si pensi che la navigazione del battello ebbro dei poemi sia una operazione di fantasia. Il mondo va concretamente riscritto e va cambiata anche la scrittura.
Quello che si intende dire è che il lato “non razionale” è ancora uno dei luoghi privilegiati dove il conflitto ha presa e si esercita per quanto riguarda il sociale, l’individuo, la crisi, l’arte, la coscienza e il capitale… un conflitto che non fa affari coprendo la razionalità semmai svalutando le potenzialità del sogno: il paese della cuccagna non ha più polli ma strade pulite.
Purtroppo dovremo procedere, come in un campo in fiamme, attraverso il delirio imposto. Da queste parti, però, più che aggrapparsi ad una realtà fatta di specchi, rivendichiamo il lato del sogno contro l’arroganza delle illusioni. E quando si parla di sogno, per chiarirci, lo si vorrebbe sganciato dai suoi mondi; lo si intende altro da quell’operazione nel sonno e altro dall’intrattenimento, come dalle favole triviali; altro dalla parentesi ristoratrice data dalle narcosi stupefacenti e culturali, dai miti, dai pompaggi dell’interiorità, dalle cinematografie romantiche e dalle illusioni. Lo si intende, e può darsi si troverà un altro nome, come quella forza innata, sempre attiva sotto la superficie, che ci porta a creare e ri-creare, manipolare, sviluppare connessioni tra elementi lontani: <<l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello! », l’altro scrittore ci disse. Un incontro che sa del limite ma INCURANTE lo affronta saltando. Lo si intende, allora, come altro da quel vagone di processi che mantengono la crisi che è in tutto e tutti.
Una grande addizione … e sarebbe ancora poco perché non possiamo raccogliere acqua alla sorgente di un tale processo, dobbiamo aspettare che ci sia porta. Qui è la sofferenza del lavoro.
Ma il sogno in questa metafora fa anche altro: è incurante dei modelli, non ha una sola dimensione; ha strutture che sembrano fluide, percorsi dominati da pulsioni, desideri e … bisogni! Indifferente al tempo e agli spazi è un dialogo con l’ombra. Pur tutta via non blocca le progettualità semmai le ingravida, non pone paletti all’opera, ne apre le porte. Non ha scaffali, questa la sua forza… non mettere al lavoro il sogno, rispettarne, invece, il lavoro.
Il mondo è diventato liquido? Bene, la cosa non blocca la mano che ne disegna una nuova pianta.
Rimane il dubbio che questo lato abbia non poche idiosincrasie con l’aspetto economico ed il fatto potrebbe rappresentare da una parte un’arma oppure, problematicamente dall’altra, un percorso di morte… ma anche di questo, sempre tesi alla rigenerazione, ne parleremo un’altra volta …
Se un concetto viene assorbito è perché vincente.
Il momento è indubbiamente complesso, anche le esaltazioni sono interdette, ci si muove come tra riverberi. Rimane da capire, dato il folle giro della lancetta sui barometri, se si tratti di discesa o ascesa e forse questa ennesima ambiguità apre a spazi, non di speranza, ma di nuove fecondità.