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Migranti. Caro Guardacoste ti scrivo

Domenico
Gallo, Articolo21, 30 giugno 2018

Caro
amico ti scrivo / Così mi distraggo un po’ /E siccome sei molto lontano / Più
forte ti scriverò. L’anno che verrà, scritta da Lucio Dalla nel 1979, ci
trasmette l’emozione della speranza in un futuro migliore, coltivata da chi
vive in un tempo oscuro in cui: “c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino
alla finestra”.  

Ho
pensato alla canzone-epistola che Dalla aveva scritto ad un amico immaginario
quando ho letto la lettera che migliaia di cittadini stanno inviando al Comando
Generale delle Capitanerie di Porto ed alla loro coscienza, avente ad oggetto
la richiesta di immediato ripristino delle operazioni di soccorso in mare nei
riguardi delle navi ONG. Questo il testo:

Apprendiamo che la Guardia Costiera italiana ha, nella giornata di venerdì 22
giugno, diffuso una nota, rivolta ai comandanti delle imbarcazioni che si
trovano nella zona antistante la Libia, in cui si precisa di “rivolgersi al
Centro di Tripoli ed alla Guardia costiera libica per richiedere soccorso”.
La
Guardia Costiera italiana ha sempre svolto in questi anni importanti operazioni
di soccorso in mare portando in salvo migliaia di persone, operando anche al
limite delle acque libiche. Ci chiediamo perché oggi delegando alla Libia,
Paese con Governo instabile, non in grado di garantire i diritti fondamentali
dell’uomo e ancora priva di una Centrale operativa nazionale di coordinamento
degli interventi di soccorso in mare, il vostro Corpo, pur eseguendo un
comando, intenda vanificare l’importante operato fin qui svolto e contravvenire
alla Convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979 ed alla Convenzione delle
Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982.
Tutto ciò
dinanzi, peraltro, ad una Guardia Costiera Libica su cui pesano pesanti accuse
di “condotte violente durante le intercettazioni in mare e collusione con i
trafficanti (..) Le operazioni di soccorso si devono concludere in un porto
sicuro nel più breve tempo possibile, sempre in rispetto della Convenzione SAR.
Ricordiamo, infine, che in base ai dati forniti dall’UNHCR sono già più di
mille i migranti morti nel mediterraneo, di cui ben 220 persone tra il 19 ed il
20 giugno.
Morti che
continueranno purtroppo ad aumentare se la nostra Guardia Costiera porrà fine
alle sue missioni (..) Facciamo appello al rispetto delle Convenzioni di
diritto del mare, ma anche al profondo senso di umanità che ha sempre
contraddistinto la Guardia Costiera Italiana: non si esima ora dalla salvaguardia
delle persone, nel rispetto delle Convenzioni internazionali di diritto del
mare e a garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo.”
E’
curioso che questa lettera si rivolga “alla coscienza” delle Capitanerie di
porto, attribuendo un’anima ad un corpo militare. In realtà questo corpo
l’anima l’ha sempre avuta, come l’hanno sempre avuta gli altri corpi militari
impegnati sul fronte del soccorso in mare. Il tempo in cui era in auge il motto
“credere, obbedire, combattere” è tramontato da un bel pezzo. Adesso gli
ingranaggi del potere trovano due ostacoli fastidiosi: la Costituzione e la
coscienza.
Per chi
ha poca memoria, vogliamo ricordare che il nuovo modello di contrasto
all’immigrazione che si sta attuando in questi convulsi giorni di giugno trova
un precedente nella politica dei respingimenti sperimentata nel maggio del
2009  dal ministro Maroni, che aveva dato l’ordine alle motovedette
italiane di “catturare” i migranti in acque internazionali e riportarli in
Libia per consegnarli alla Gestapo di Gheddafi.
Queste
operazioni provocavano scene strazianti, che turbavano profondamente i marinai
italiani. Di questo turbamento costituisce testimonianza il racconto di un
militare della Guardia di Finanza pubblicato dal quotidiano La Repubblica del
15 settembre del 2010: “Questa storia dei respingimenti è uno dei servizi più
crudeli che svolgiamo. E da molti mesi si registrano casi di “ammutinamento”,
nel senso che molti pattugliatori, che dovevano salpare da porti liguri o
toscani per darci il cambio, non partono proprio. I nostri colleghi giustamente
si rifiutano di svolgere questo servizio “infame” che non ci fa dormire la
notte (..) Io sono un militare, ma soprattutto un uomo, un padre.
E a costo
di rischiare provvedimenti disciplinari non lo farò mai più. Un giorno o
l’altro dovrò rendere conto a qualcuno ed io voglio avere la coscienza pulita.”
Per quanto possa sembrare strano, oggi è ritornato d’attualità il dilemma di
Antigone: obbedire all’editto di Creonte o alle leggi dell’umanità?