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L’uomo che sta cancellando i diritti civili negli Stati Uniti

Alessio
Marchionna, Internazionale, 26 giugno 2018

È
paradossale che il ministro più zelante ed efficiente nel mettere in pratica le
idee di Donald Trump sia proprio quello più detestato dal presidente. 
Il
ministro della giustizia statunitense Jefferson Sessions a un convegno sulle
migrazioni presso l’hotel Sheraton di Tysons, Virginia, il 10 giugno 2018. (Alex
Wong, Afp)
Dopo la
vittoria del candidato repubblicano alle elezioni del 2016, Jefferson Beauregard
Sessions sembrava la persona perfetta per occupare il ruolo di ministro della
giustizia nella nuova amministrazione: un repubblicano di lungo corso ma allo
stesso tempo un outsider malvisto dal cosiddetto establishment, condizione
fondamentale per entrare nelle grazie di Trump; un ostinato uomo del sud – si
chiama Jefferson come suo padre e suo nonno e in onore di Jefferson Davis,
presidente del sud confederato durante la guerra civile, e Beauregard come un
noto generale sudista – capace di portare il messaggio incendiario del
miliardario newyorchese nell’epicentro dell’estrema destra americana; una
persona che, con le sue idee arcaiche sull’immigrazione, sulla questione
razziale, sulla legalizzazione delle droghe leggere e sui matrimoni gay avrebbe
saputo spazzare via l’eredità di Barack Obama e del suo primo ministro della
giustizia, Eric Holder.
Poi è
scoppiato lo scandalo sui rapporti tra il comitato repubblicano e il governo
russo, e Sessions è caduto in disgrazia. Poco dopo l’insediamento della nuova
amministrazione, all’inizio del 2017, si era scoperto che in campagna
elettorale Sessions aveva incontrato l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, e
soprattutto che aveva mentito al congresso su quelle conversazioni. A quel
punto Sessions aveva deciso di fare un passo indietro e di lasciare la
supervisione dell’inchiesta sulla Russia al suo vice Rob Rosenstein, che aveva
immediatamente nominato Robert Mueller come procuratore speciale per indagare
sul caso. Da quel momento in poi l’inchiesta si è allargata come un incendio
facendo terra bruciata intorno alla Casa Bianca. A ogni atto formale di Mueller
la furia di Trump è aumentata, e forse nessuno l’ha subita più di Sessions,
accusato dal presidente di essere debole, incompetente e in fin dei conti il
vero colpevole di tutta la vicenda.
L’ultima
dose di insulti è arrivata a fine maggio, quando Trump si è rammaricato di non
aver scelto un altro ministro della giustizia. 

Ma niente
di tutto questo ha distolto Sessions dalla missione che porta avanti da decenni,
fin dai tempi in cui, da procuratore distrettuale in Alabama, attaccava i gay,
i neri e gli attivisti per la legalizzazione della marijuana chiudendo un
occhio sulle attività dei suprematisti bianchi. Una missione che consiste
fondamentalmente nello smantellare l’edificio dei diritti civili che gli Stati
Uniti hanno faticosamente costruito negli ultimi sessant’anni.
Naturalmente
viene subito in mente la politica della tolleranza zero sull’immigrazione, i
cui effetti sono esplosi
drammaticamente nell’ultimo mese e mezzo
, con più di duemila bambini
e adolescenti centroamericani strappati ai loro genitori e rinchiusi in centri
di detenzione alla frontiera. Ma la lista dei provvedimenti repressivi proposti
o attuati da Sessions in diciotto mesi è lunga e riguarda molti temi – dalla
giustizia penale alla violenza della polizia fino alle limitazioni al diritto
di voto – e leggendola si capisce che finora il ministro della giustizia è
stato il miglior esecutore delle promesse fatte da Trump in campagna
elettorale.
Il
ministro della giustizia è determinato nel tentativo di limitare il diritto di
voto delle minoranze
Sessions
non c’ha messo molto a far capire quali fossero le sue priorità. Due settimane
dopo essersi insediato ha firmato una serie di provvedimenti che hanno
cancellato le misure volute dall’amministrazione Obama per eliminare alcune
disfunzioni del sistema carcerario statunitense. A cominciare dal rapporto tra
il governo federale e le aziende che gestiscono alcuni penitenziari, un legame
che si è cementato negli ultimi vent’anni e che ha contribuito, secondo gli
attivisti per i diritti dei detenuti, a peggiorare le condizioni di vita nelle
carceri, a far aumentare gli abusi da parte delle guardie e ad acuire le
disparità razziali nei centri di detenzione. Obama aveva cercato di mettere
mano a questa situazione vietando al governo federale di concedere contratti
alle aziende, ma Sessions, appena entrato in carica, ha invertito la rotta.
Il
ministro della giustizia sembra ancora più determinato nel tentativo di
limitare il diritto di voto delle minoranze, una battaglia che in realtà porta
avanti da molto prima di occupare l’incarico attuale. Quando era procuratore
generale dello stato dell’Alabama, tra il 1995 e il 1997, Sessions ha sostenuto
le politiche di gerrymandering dei repubblicani locali, che consistono nel
ridisegnare i distretti elettorali in modo da limitare l’impatto del voto delle
minoranze e massimizzare l’influenza dell’elettorato bianco. Una delle tante
misure che gli stati del sud hanno escogitato dopo la fine della guerra civile
e delle schiavitù per evitare la desegregazione degli spazi pubblici e della
vita politica.
D’altronde
le idee di Sessions arrivano dritte dalla tradizione dei conservatori del sud
dell’epoca delle battaglie per i diritti civili. È la tradizione che fa capo a
George Wallace, governatore dell’Alabama ai tempi di Martin Luther King e della
desegregazione, che si opponeva all’iscrizione dei neri nelle scuole e nelle
università e considerava il gerrymandering un pilastro della sua “resistenza”
alle imposizioni del governo federale.
Come
procuratore generale dell’Alabama Sessions cercò inoltre di estendere i casi in
cui era prevista la pena di morte, per esempio per le persone con gravi
disturbi mentali, e arrivò perfino a sostenere una proposta per introdurre la
pena di morte per chi aveva ricevuto almeno due condanne per reati gravi legati
al traffico di droga (una posizione che ricorda molto la proposta
recente di Trump
di condannare a morte i trafficanti).
Oggi
Sessions sta portando avanti la battaglia di Wallace cancellando uno dopo
l’altro i provvedimenti attuati da Eric Holder e Loretta Lynch, ministri della
giustizia dell’amministrazione Obama, che si erano lasciati dietro un’eredità
importante sul tema dei diritti civili: avevano adottato misure per garantire
il rispetto dei diritti civili da parte dei corpi di polizia; avevano aperto
una serie di inchieste sul razzismo sistematico di alcune amministrazioni
locali (come quella su Ferguson, in Missouri, che aveva portato alla luce il
razzismo istituzionale); avevano emesso linee guida per i pubblici ministeri
ordinando di non chiedere il carcere per reati di droga minori; avevano,
infine, rafforzato i poteri della divisione che si occupa di perseguire i
crimini d’odio.
Sessions
si è schierato contro tutte queste politiche, e ha escluso a priori qualsiasi
riforma del sistema penale (gli Stati Uniti mettono più persone in prigione di
qualsiasi altro paese, il 25 per cento della popolazione carceraria mondiale) e
qualsiasi intervento per ridurre la violenza della polizia. Ha ordinato invece
di rafforzare la sorveglianza degli attivisti neri in un momento in cui le
minacce alla sicurezza nazionale arrivano soprattutto dai nazionalisti bianchi,
una decisione che serve soprattutto a criminalizzare il movimento Black lives
matter.
Aumentano
i respingimenti

E poi, naturalmente, c’è stato il giro di vite sull’immigrazione, che è
cominciato come una campagna contro i centroamericani e i musulmani e con il passare
dei mesi si è trasformato in una crociata contro gli stranieri in generale.
Sessions – insieme al suo collaboratore Stephen Miller, oggi uno dei principali
consiglieri di Trump – è stato il silenzioso esecutore di questa dottrina.
Nelle
ultime settimane la vicenda delle famiglie separate ha oscurato altri
provvedimenti ordinati dal ministro della giustizia per rendere praticamente
impossibile l’ingresso legale nel paese. Tra questi c’è il tentativo di
trasformare le regole sul diritto d’asilo: a inizio giugno Sessions ha
annunciato che le violenze domestiche e le minacce delle gang non saranno più
motivi sufficienti per concedere l’asilo. Significa, in poche parole, che
decine di migliaia di persone in fuga dall’America Centrale potrebbero automaticamente
essere rimandate indietro. Nel frattempo le associazioni per i diritti dei
migranti attive alla frontiera affermano che negli ultimi mesi è aumentato il
numero di persone respinte prima di poter presentare richiesta d’asilo (anche
di quelle che entrano dai
punti di accesso legali
), in violazione delle leggi statunitensi e
internazionali.
Alla
fine, a pensarci bene, non è strano che finora sia stato proprio Sessions, il
più detestato dal presidente, a dare forma al trumpismo di governo. Un po’
perché quando il tuo capo è un egocentrico con deliri narcisistici la cosa
migliore da fare per conservare il posto di lavoro è incassare, abbassare la
testa e dimostrare di saper essere più realista del re. Ma anche perché
Sessions, tra tutte le persone di cui il presidente si è circondato, era
l’unico in grado di fare da raccordo tra le istanze di cambiamento portate
avanti dal candidato Trump e la voglia dei conservatori del sud e della destra
religiosa di tornare allo status quo che c’era prima dei vari movimenti per i
diritti civili.
Negli
ultimi decenni questa destra ha perso la maggior parte delle battaglie sociali
e culturali – l’aborto è diventato un diritto costituzionale, i matrimoni
omosessuali sono stati legalizzati dalla corte suprema, la marijuana è legale
in molti stati – e ora le è rimasta una battaglia da combattere per arginare il
cambiamento, quella contro l’immigrazione e la diversità culturale in generale.
Un
rigurgito politico che c’è stato in tutto il mondo occidentale, ma che negli
Stati Uniti si è verificato in modo più plateale e violento, con funzionari di
governo che non si fanno problemi a chiamare in causa la Bibbia per motivare la
decisione di separare i bambini migranti dai loro genitori. Anche su questo è
stato Sessions a dettare la linea. Il 20 giugno ha citato
le parole di san Paolo che invitava a rispettare le leggi del governo perché è
stato Dio che ha predisposto il governo per i suoi scopi. Il giorno dopo Sarah Huckabee
Sanders, portavoce del presidente, ha difeso il ministro della giustizia e ha
rilanciato: “Far rispettare la legge è in linea con la Bibbia”.