General

🌐 WOMEN’S STORIES _ Teresa Forcades

Jonathan
Bazzi, FreedaMedia, 05/06/2018

Monaca
Femminista e Teologa Queer
Se non
avete ancora sentito parlare di Teresa Forcades è ora di rimediare. La 52enne
catalana è infatti un personaggio davvero eccezionale: monaca benedettina di
clausura e teologa femminista queer, è da tempo impegnata in battaglie contro
la lobby delle industrie farmaceutiche, ma anche per l’emancipazione della
donna dentro e fuori la Chiesa, per la difesa dell’aborto, dei diritti civili e
del mondo LGBT. Inoltre è anche una militante politica anticapitalista. Fa vita
di clausura, ma nel 2015 ha ottenuto un permesso di esclaustrazione, ovvero la
possibilità di uscire dal monastero per tre anni per impegnarsi nella lotta
politica per l’indipendenza della Catalogna.

Nata a
Barcellona il 10 maggio 1966, dopo una specializzazione in medicina interna a Buffalo,
negli Stati Uniti, e un master in teologia ad Harvard, a metà degli anni ’90
abbandona la carriera di medico per entrare nel monastero benedettino
di Montserrat. Si definisce lei stessa una femminista queer:
Siamo
chiamati da Dio a essere originali, siamo tutti diversi, pensateci. Una persona
può davvero rientrare in una categoria prestabilita? Ecco io credo che ogni
essere umano sia in questo senso “queer”.
 

E ancora:
“Queer” è
un termine che cominciò a circolare negli anni Novanta. Può voler dire
“attraversamento”, “passaggio”, “transizione”. Poi ha preso il significato di
bizzarro, strano, stravagante. Quello che intendo è affrontare una
teologia fuori dagli schemi precostituiti.

Professoressa
di teologia e gender studies alla Università Humboldt di Berlino, ai suoi
studenti parla del legame tra Dio e la parità di genere, queerness, diritti
gay, medicina riproduttiva e fertilità. È cattolica e parla di queste cose da
una prospettiva cattolica, ma assolutamente progressista e inclusiva:

Nella
Chiesa c’è l’idea che la cosiddetta ‘teoria del gender’ sia qualcosa che deve
essere combattuto. Non la si vede come qualcosa di positivo. Ma io penso che i
tempi stiano cambiando. Oggi quello che dobbiamo fare come credenti e come
teologi non è ignorarla, discriminarla. Forse dobbiamo sviluppare una teologia
non discriminatoria verso queste diversità che esistono.

Teresa ha
deciso di abitare la contraddizione, di stare dentro l’istituzione  della
Chiesa, ma col coraggio di denunciare e prendere posizione in modo anche
radicale, in controtendenza rispetto al pensiero dominante delle gerarchie.

Legge il
Vangelo per la prima volta a 15 anni e ne rimane folgorata: in quell’occasione
organizza da sola una specie di messa sotto un ulivo vicino casa, usando
come croce dei pezzi di legno più grandi di lei. La famiglia la osserva dar
vita alla Via Crucis da sola, tutti credono sia impazzita: “Per me invece è
stato del tutto naturale, spontaneo”.
Il suo
impegno politico inizia già durante gli anni del liceo, soprattutto con le lotte
ecologiste. Poi arriva la laurea in medicina e inizia il dottorato negli Stati
Uniti. Nello stesso tempo avverte un forte interesse per la teologia e ottiene
un Master of Divinity ad Harvard (seguito da un dottorato in teologia a
Barcellona). Nel 1995 torna per un breve periodo in Spagna e, prima di tornare
negli Usa, decide di trascorrere alcune settimane di studio – deve preparare un
importante esame per medicina – presso il monastero di San Benedetto a
Montserrat, vicino Barcellona. È lì che capisce di volersi fare suora. La
famiglia all’inizio non accetta di buon grado, la madre continua a ripetere:
“Se si fa suora la diseredo”, ma la sua vocazione non vacilla. In ogni caso le
viene proposto un periodo di attesa: la madre badessa le suggerisce di
aspettare prima di terminare gli studi. Teresa termina gli studi, e torna dopo
due anni, decisa a prendere i voti.
Quando
parla del suo rapporto col divino Teresa lo fa in modo molto onesto:
Che
significa che Dio ti chiama? Come si può non solo avere un’idea di Dio ma una
vita che si orienta in modo così radicale, assoluto, a un rapporto personale
con Dio, quando Lui forse neanche c’è? Come si fa? È solamente fidandosi. Nel
monastero si pensa entrino donne e uomini che hanno trovato Dio, ma nel
monastero invece si entra perché si desidera trovarlo.
Dopo il
periodo iniziale, prima di prendere i voti, Teresa si rende conto che la vita
di clausura non è così facile. La gioia è intervallata dai momenti di
sconforto: dimagrisce, è sempre più pallida e triste, eppure resiste. Come le
dicono le sue consorelle, “il monaco sperimenta come un cambio di pelle”.

All’inizio
è stranita dal fatto che non possa pregare quando desidera farlo: il monastero
tutto è ritmato dalle regole e dai rintocchi della campana. Quando è da sola
nella cella e potrebbe pregare, fatica a farlo: “Non si può pregare a comando,
così come non si può amare a comando“, dice. Ma Teresa fa una specie di
scoperta: concentrandosi sul suo corpo associa le sensazioni fisiche a
forme e colori (ad esempio, immagina il desiderio di pregare come una tensione
quadrata e rossa nella pancia) e così riscopre la dimensione intima e corporea
della devozione, e la preghiera torna ad essere per lei una cosa viva e
interessante.
Ma le
difficoltà non sono finite: poiché in convento le mancano gli stimoli
intellettuali, propone di diventare insegnante per le novizie. Le viene
risposto che le regole del monastero non lo prevedono, al che Teresa risponde: “Io
vedo due possibilità: che Dio cambi me, oppure che Dio cambi voi, ovvero che
cambi il monastero”. Insomma propone di rendere il suo monastero più
simile ai monasteri maschili: “Perché non poteva essere così anche per noi
suore?”.
Mentre è
in convento, poco prima di prendere i voti, Teresa tra l’altro si innamora di
un uomo (un medico): a quel punto si trova a un bivio e arriva a prendere in
considerazione la possibilità di uscire dal monastero e condurre una vita
laica. È un momento importante, in cui ha modo anche di esplorare la sessualità,
dimensione negata nella vita religiosa. Ma alla fine rimane delle sue idee:
diventa monaca di clausura.
Decide
poi di non abbandonare la medicina: da monaca di clausura ovviamente non ha
modo di seguire i pazienti, ma si dedica alla ricerca e alla riflessione su
etica e bioetica. Nel 2006 scrive ad esempio un libro sui crimini delle grandi
compagnie farmaceutiche, un lavoro che porta a termine dopo una lunga ricerca e
una lunga fase di raccolta dati. La sua grande passione è la giustizia sociale:
in tutti i suoi lavori Teresa applica il suo spirito critico e la sua
attenzione per i meccanismi subdoli che generano sopraffazione di un gruppo su
un altro, al fine di aiutare a scardinarli.
Riflette
e scrive molto anche sulla perversa medicalizzazione della nostra società
capitalista e sulla sessualità: ad esempio denuncia la pratica della labioplastica,
un intervento chirurgico sempre più in voga che si effettua per rendere le
labbra della vulva uguali. “Con questo intervento le donne vengono trattate
come delle Barbie, come se dovessero adattarsi a un modello ideale di donna, di
corpo. E questo viene imposto loro dal mercato”.
Anche se
è diventata monaca, Teresa non dimentica il suo impegno politico: a novembre
del 2011 viene invitata da un piccolo partito anticapitalista catalano a fare
una conferenza e, visto il grande successo, i militanti la stimolano a dar vita
ad un movimento politico popolare per l’indipendenza della Catalogna.
Il
cambiamento per una maggiore giustizia sociale per me non viene mai dall’alto
ma sempre dal basso, da un modo di organizzarsi. La persona non è isolata in
politica nel prendere decisioni, deve unirsi agli altri, e questo crea nuove
istituzioni, dà la possibilità di prendere decisioni.
Ispirandosi
a pensatori e pensatrici, come ad esempio Hannah Arendt, Teresa ritiene
importante che le persone desiderino un posto da chiamare “casa” e in cui si
sentano radicate. Tutto ciò per lei è necessario per la libertà:
 

Penso che
in questo momento storico più che mai sia necessario lo sforzo di  creare
comunità locali e solidali, non escludenti ma aperte. Oggi l’Europa vede
l’aumento di violenza e di gruppi di nazionalismo di estrema destra, io penso
che il nazionalismo xenofobo non può essere arginato solo con un’idea di
internazionalismo. Si deve seriamente creare l’idea di appartenenza a una
comunità, ma bisogna farlo in un modo aperto.
Oltre
alle questioni mediche e politiche, Teresa è anche una pensatrice teologica, è
la sua teologia queer è incentrata soprattutto su una particolare
interpretazione dell’idea di Trinità. La Trinità per lei è infatti un’idea
intimamente costituita dalla diversità, un dispositivo concettuale che ci fa
capire che per avere autentica unità serve vera diversità.

Il pensiero
trinitario è fondamentale per comprendere molti dei suoi punti di vista, come
ad esempio l’uso che lei fa di un termine antico: “pericoresi”. Le
persone nella Trinità, dice Teresa, stanno in un rapporto di identità per il
quale, nel loro avvicinarsi e nel loro costituirsi, si “inorbitano” tra di loro
(“peri” vuol dire “attorno”, mentre “coreo” deriva dal vergo verbo greco “fare
spazio”).
Quando mi
sento amata? Quando la persona che è accanto a me mi fa sentire che il mio
spazio personale attorno a me si fa più grande. E questo non è uno spazio di
distanza dall’altro, ma in cui posso trovarmi con l’altro.
Questa
idea della pericoresi le permette di pensare, da teologa, che sia possibile accettare
il matrimonio omosessuale come un sacramento:
 

Perché,
ciò che c’è in Dio che anche un matrimonio può vivere, è l’amore pericoretico.
Quando una coppia prova ad amarsi così, con questo amore, e richiedendo l’aiuto
della Chiesa, penso che la Chiesa possa riconoscere che si tratta della
testimonianza di una capacità umana che solo in Dio trova la sua realizzazione
piena.
Teresa ha
insomma una sua visione molto nobile del termine “queer”: “In Cristo c’è questa
diversità, questa volontà di vedere in noi sempre un pezzo unico. Per questa
ragione io uso la parola “queer” in teologia. Mi sembra una buona maniera per
far capire cosa desidera Dio per noi”.

Del suo
pensiero fa parte anche il concetto di Co-creazione con Dio, una nozione non
nuova nella storia della teologia, perché già usata da Ildegarda di
Bingen
. La Creazione è qualcosa che Dio ha iniziato, ma che non può
portare a termine senza di noi:
Dio è al
di là di qualunque categoria ma non solo Dio: noi siamo fatti ad immagine di
Dio. Quindi anche noi, quando lasciamo che la vita di Dio si esprima in noi,
diventiamo al di là di qualunque categorie e vediamo, comprendiamo, noi stessi
e gli altri come al di là di tutte le categorie, e come questa realtà di amore
libero che è Dio stesso.