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Una Giornata del rifugiato dal significato speciale

Gianluca
Gregori, Left, 18 giugno 2018

Il 20
giugno di ogni anno, dal 2001, si celebra la Giornata mondiale del rifugiato,
indetta dall’Onu per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo il dramma di
quanti sono obbligati a fuggire dal proprio Paese e dalle cose che amano di più
per cercare altrove una possibilità di futuro e di realizzazione.

L’evento
fu creato per la prima volta in occasione deal cinquantesimo anniversario
dell’approvazione, nel 1951, della Convenzione internazionale sullo status di
rifugiato politico. La Giornata mondiale del rifugiato coincide anche con la
pubblicazione del Rapporto Global Trends dell’Unhcr, l’alto commissariato
dell’Onu per i rifugiati. Alla fine del 2016, ricorda l’Unhcr, sono stati
stimati circa 65 milioni di profughi al mondo; di questi, 22 milioni e mezzo
hanno lo status di rifugiati, sotto mandato Unhcr; mentre esistono circa 10
milioni di persone considerate ufficialmente apolidi, cui vengono negati i
diritti più elementari, come lavoro, casa, salute, scuola e libertà di
movimento e, nel 2016, sono stati rimpatriati forzosamente circa 200.000
richiedenti asilo. Più del 50% dei richiedenti asilo ha un’età inferiore ai 18 anni.
In
Italia, lo straniero
perseguitato nel suo Paese
d’origine può trovare asilo e protezione
sul nostro territorio con il riconoscimento dello status di rifugiato. Può
richiedere asilo nel nostro Paese presentando una domanda di riconoscimento
dello status di rifugiato il cittadino straniero il quale, per il timore
fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova
fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa
di tale timore, non vuole avvalersi della protezione del suo Paese. Le medesime
norme si applicano anche agli apolidi (cioè a quelle persone prive di
nazionalità) che, per gli stessi motivi, non vogliono fare ritorno nel Paese
nel quale avevano precedentemente la dimora abituale. Anche nel caso in cui non
ci fossero gli estremi per attribuire lo status di rifugiato ad uno straniero,
qualora quest’ultimo corra un grave pericolo nel suo Paese, può essere prevista
una particolare tutela chiamata protezione sussidiaria. In entrambi i casi si
parla di protezione internazionale.
Secondo
il monitoraggio dell’Unhcr, nei primi sei mesi del 2018, circa 40mila persone
sono arrivate in Europa attraverso il Mediterraneo, seguendo tre rotte
equamente distribuite: Gibilterra, la rotta italiana e la rotta dei Balcani. I
morti in mare accertati durante la traversata sono stati circa 800. Dopo le
politiche repressive introdotte dal governo Pd con la legge Minniti-Orlando e
il codice anti Ong, il numero degli arrivi si è drasticamente ridotto. Negli
ultimi tre anni il numero di migranti, dopo essersi ridotto, nel 2016, ad un
terzo di quello del 2015 (da circa un milione a 360mila), si è ulteriormente
dimezzato, passando a 170.000 circa nel 2017. Come è noto, minori arrivi non
significa meno partenze e fughe da Paesi in guerra, dittature, terrorismo, torture
etc. È infatti ignoto, per esempio, il numero delle persone intercettate dalle
bande criminali che gestiscono i lager e il mercato degli schiavi in Libia,
Paese con cui il governo italiano ha stretto accordi in materia di gestione
dell’immigrazione.