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UNA BICICLETTATA INCLUSIVA

di Amelia Massetti, Il Deutsch Italia, 2 giugno 2018. L’associazione
Artemisia e.V. è entusiasta di collaborare con
Dario Sorgato
all’iniziativa
Biciclettata
inclusiva in tandem”
, alla seconda edizione dopo quella del
2016. In quest’occasione, assieme a Dario, fondatore di
NoisyVision, si è
pensato di renderla ancora più inclusiva, allargando la partecipazione a tutti
coloro che amano immaginare di poter passare una giornata insieme con persone
diversamente abili e, allo stesso tempo, essere piloti del tandem.



Tutti
dovrebbero avere il diritto di godere di una gita in bicicletta. Non solo le
persone cieche o ipovedenti hanno questo desiderio, ma anche famiglie che hanno
figli con altre disabilità, per esempio con la sindrome di Down, e le persone
diversamente abili in genere. Vorremmo cogliere l’occasione per festeggiare
insieme una giornata per superare le barriere mentali e imparare a guardare lontano dipingendo il mondo di
giallo.
Domenica
8 luglio

ci si troverà presso  Kockstrße 1  per dare il via alla “Biciclettata in Tandem”
nel parco del Tiergarten. La partecipazione è gratuita grazie a “Blacklane” che sponsorizza questa iniziativa.
Tutti possono partecipare, anche con la propria bicicletta o semplicemente
venendo nel parco adiacente al “Thee Haus”
dell’Englisch Garten
. Le
iscrizioni sono aperte fino al 29 giugno
.
A Berlino abbiamo incontrato Dario
Sorgato e gli abbiamo posto qualche domanda.
Ci può parlare della sindrome di Usher e di come ha
scoperto di esserne affetto?
La sindrome di Usher è una malattia
degenerativa che compromette vista e udito. Sono ipo-acustico dalla nascita, e
in età adolescenziale ho notato che urtavo scalini, persone e spigoli, e che
non vedevo bene di notte. Così ho fatto delle visite specialistiche, fino alla
diagnosi di retinite pigmentosa che, combinata con l’ipoacusia, prende il nome
di Sindrome di Usher. La retinite pigmentosa comporta una riduzione graduale
del campo visivo e della visione crepuscolare, fino alla possibile cecità.
Quale
è stata la Sua prima reazione?
La
diagnosi è avvenuta alla fine degli anni Novanta. Non c’era internet e i
dottori non mi spiegarono bene le conseguenze della mia malattia, quindi non
era facile fare delle ricerche. Cosi, solo dopo essermi trasferito a Milano, ho
scoperto da solo, parlando con amici, a cosa andavo incontro. È stato uno
shock, che ho raccontato
qui.

Quando
ha capito che la Sua vista si sarebbe ridotta, quale è stato il Suo primo
impulso?
E ora? Che faccio? Mi ero iscritto ad
una facoltà dove la vista è fondamentale: design. A quel punto ho pensato che
stavo percorrendo la strada sbagliata.

Quando tempo ci è voluto per accettare la Sua diversità ed avere la coscienza di appartenere a coloro che sono definiti
disabili?
Questa è una domanda molto importante.
Ci sono voluti 15 anni. Questo perché non sono stato accompagnato in questo
processo. Non biasimo i miei genitori, che forse erano più disorientati di me.
Biasimo invece coloro che hanno sputato la diagnosi senza fornire a me e alla
mia famiglia gli strumenti per affrontare il decorso della malattia.
Inoltre credo che fino a un ventennio
fa la disabilità fosse vista in maniera molto diversa da ora. Siamo sulla buona
strada per cambiare la percezione delle persone e delle loro differenze. Alcune
differenze si chiamano “disabilità”, altre “caratteristiche”. In certi casi
potrebbero essere la stessa cosa.
Perché considera insufficiente la definizione
diversamente abile e preferisce definirsi disabile?
Perché
in merito alla vista e udito sono effettivamente disabile. Dire che sono
diversamente abile significa dire: non sento e non vedo bene, ma sono in grado
di fare altre cose, come per esempio cantare, camminare, scrivere. Ma se la
poniamo su questo piano è come dire che dovrei essere contento di poter fare
queste cose nonostante io non veda e non senta. Invece queste cose le potrei
fare anche se ci vedessi e sentissi bene. Quindi avere dei limiti non ci rende
necessariamente più bravi a fare altre cose. È indubbio che ci saranno altre
cose che possiamo fare nonostante gli handicap
e non ho bisogno di sentirmi apprezzato per questo in relazione alle mie
disabilità, ma a prescindere da queste. Insomma, lo trovo quasi offensivo.
Quando ha avuto l’idea di creare #YellowTheWorld, avrebbe mai immaginato
di arrivare così lontano?
Abbiamo fatto tanto ma ancora rimane
moltissimo da fare. #YellowTheWorld è sempre più conosciuta, ma se diventasse
virale potrei davvero dire di essere arrivato lontano. Perché questa campagna
non è solo un gioco e se arrivasse al grande pubblico si potrebbe davvero
auspicare ad un radicale cambio di prospettiva.
Tuttavia i bambini si divertono molto e
la combinazione tra il suono di queste parole e il loro significato è diventata
un urlo e un gioco che sta facendo il giro del mondo. In tal senso non pensavo
di poter arrivare a tanto.
So che ama viaggiare e ha visitato diversi posti,
tipo il “campo base” del monte Everest e il “sentiero degli Dei” sull’Appenino
tosco-emiliano, segnalando di giallo il percorso per favorire la visibilità
alle persone con problematiche sensoriali.

La percezione che anche altre persone ipovedenti o cieche hanno voglia di
girare il mondo a piedi o in Tandem che sensazione le dà?
Ad
essere precisi in questo caso “colorare di giallo” ha un significato
diverso, ovvero rendere accessibile. Colorare di giallo è una metafora che
significa “rendiamo accessibile”. E non sempre per rendere accessibile bisogna
letteralmente colorare di giallo. Negli esempi citati l’accessibilità si
traduce in adeguata preparazione fisica, mentale e organizzativa e nella
creazione di una struttura e organizzazione che renda i percorsi sicuri e
fattibili. Detto questo è evidente che c’è un bisogno e desiderio da parte di
tutti di godere della natura e della vita, quindi non c’è sorpresa, quanto la
soddisfazione di poter offrire ad altri l’opportunità di vivere delle
esperienze e avventure.
Sente che sta facendo una piccola rivoluzione nel
modo di percepire le persone ipovedenti e di apportare quindi un cambiamento
colorando il mondo di giallo?
Sì. E forse più per i normodotati che
gli ipovedenti stessi. Con NoisyVision stiamo lavorando tanto e bene per
diffondere la consapevolezza sulle disabilità invisibili. Questo perché siamo
fuori dagli schemi, siamo scherzosi su noi stessi, trasmettiamo positività e
non pietismo. È più difficile fare breccia, ma è questa la strada
dell’inclusione.
Come vorrebbe che una persona normodotata si
comportasse con lei?
Come con qualsiasi altra persona.
Vorrei soprattutto che mi chiedesse come mi può aiutare (per esempio non
spingendomi o prendendomi per un braccio, ma offrendomi il suo). Vorrei che non
giudicasse i miei comportamenti come inopportuni, sbagliati o scortesi. Vorrei
che si chiedesse: chissà perché mi ha urtato?
Che sensazione prova quando deve affidarsi ad altre
persone?
Nessuna. È la verità. Ormai fa parte di
me.
Essere promotore di iniziative di sensibilizzazione
nelle scuole, per insegnare ai giovani a sentire come una persona ipovedente
vede e percepisce il mondo intorno a sé, trova che sia un modo per fare
inclusione?
Assolutamente. I bambini e i giovani
sono il futuro. Cambiare il loro modo di pensare è il modo migliore per
cambiare il mondo. I giovani sono anime e menti vergini. È lì che devono
germogliare i semi della bellezza, dell’umanità, dell’inclusione.
Quali sono le cose che maggiormente la amareggiano
nel pensare che un giorno forse potrebbe perdere completamente la vista e anche
l’udito?
A parte il fatto che non è detto che
diventerò completamente cieco, non ci penso. Questa domanda me l’ha fatta anche
un ragazzino di 16 anni durante una presentazione in una scuola. Dopo aver
titubato per qualche secondo ho risposto: non ci penso. Sono qui e ora. Il
futuro non esiste.
Perché ha scelto “la Biciclettata in Tandem” come
momento d’inclusione?
Perché gli ipovedenti e non vedenti non
hanno spesso occasione di godere della velocità e delle sensazioni che si
provano con una pedalata. È un modo diverso di percepire la città, un parco. Mi
piace molto e non mi capita spesso di poterlo fare.
Quali sono le sue aspettative e i suoi sogni per il
futuro?
Vorrei che #YellowTheWorld fosse un
approccio alla vita riconosciuto da tutti. Vorrei rendere accessibili altri
cammini e percorsi in natura. Vorrei fare un viaggio di diversi mesi in America
Centrale. Vorrei che NoisyVision diventasse un crogiolo di persone e
associazioni che uniscono le forze per realizzare idee, per trasformare
progetti in azioni concrete. Vorrei poter dedicare tutte le mie risorse ed
energie per regalare a quante più persone possibile un po’ di quella passione
bruciante che quasi inspiegabilmente continuo ad avere. Per la vita, per le
persone.