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Tutto sulle ong che soccorrono i migranti

Luca
Misculin, Il Post, 14 giugno 2018

Chi sono
e cosa fanno le organizzazioni che in questi giorni sono tornate al centro del
dibattito italiano
(LOUISA
GOULIAMAKI/AFP/Getty Images)

Negli
ultimi giorni le ong che soccorrono i migranti nel tratto di mare fra Italia e
Libia sono tornate al centro del dibattito pubblico: una delle navi che
gestisconom, la Aquarius è stata respinta dalle autorità italiane e costretta
ad accettare l’offerta del governo spagnolo di approdare a Valencia. Ma delle
navi delle ong si parla almeno dall’estate scorsa, quando alcuni partiti
politici le accusarono di essere dei “taxi del
Mediterraneo”
, e in sostanza di trasportare illegalmente migliaia di
persone in Italia. Cerchiamo di capirne di più.

Di chi
parliamo

Fra il 2015 e il 2017 una dozzina di ong che si occupano di soccorrere i
migranti haso lavorato nel tratto di mare che separa la Libia
dall’Italia. Molte sono state fondate fra il 2014 e il 2015, quando
aumentò il flusso di barconi partiti dalla Libia, con lo scopo specifico di
aiutare le operazioni di soccorso. Alcune citano come ragione fondante la fine
di Mare Nostrum,
un’operazione militare italiana che aveva come obiettivo il soccorso dei
migranti che partivano dal Nord Africa, conclusa nel 2014. Nessuna di queste
ong è italiana: provengono soprattutto da Francia, Spagna e Germania, ed è per
questo che non battono bandiera italiana (spesso inoltre affittano vecchie navi
che provengono da altri paesi ancora).
(ANDREAS
SOLARO/AFP/Getty Images)

Quattro
ong sono ancora attive: SOS Mediterranée, Proactiva Open Arms, Sea Watch e Sea
Eye. Molte se ne sono andate, anche in seguito ai numerosi atti aggressivi
della Guardia Costiera libica, formata
soprattutto da gruppi armati locali
sostenuti e finanziati dalle
autorità italiane ed europee, e al crollo degli arrivi via mare grazie agli
accordi fra il governo italiano e alcune milizie libiche.

Fra le
ong che hanno sospeso le proprie attività nel Mediterraneo ci sono nomi grossi
come Save The Children, una delle più ong più attive al mondo a difesa dei
diritti dei bambini, Medici Senza Frontiere, che oggi si limita a co-gestire
una nave con SOS Mediterranée, MOAS e Jugend Rettet, una ong tedesca
attualmente sotto indagine dalla procura di Catania per presunte attività di
collaborazione con scafisti libici.
Cosa
fanno

Le navi vanno avanti e indietro fra le coste libiche e l’Italia per soccorrere
i migranti che si imbarcano in Libia. Non agiscono per conto proprio, ma per
ogni operazione si coordinano con l’Italian Maritime Rescue Coordination Centre
(IMRCC) della Guardia Costiera, che è situato a Roma e gestisce gli interventi
di SAR (cioè di soccorso in mare) nel tratto di mare assegnato all’Italia. Per
prassi le navi delle ong comunicano ogni quattro ore alla centrale di Roma
posizione, velocità e rotta che stanno seguendo.
Il centro
IMRCC di Roma è di fatto l’unico a occuparsi delle operazioni di soccorso in
acque libiche. La zona SAR di Malta è ancora più vicina alla Libia di quella
italiana, ma la piccola isola non ha le risorse per occuparsene
efficacemente. La Libia, un paese che dal 2011 è in guerra civile, non ha una
zona SAR riconosciuta dalla comunità internazionale
; negli ultimi
mesi le autorità italiane hanno favorito la creazione di una centrale informale
a Tripoli, dove ha sede l’unica entità territoriale riconosciuta dalla comunità
nazionale. Al momento però la “centrale” si trova a
bordo della nave Tremiti della Marina militare italiana
, ormeggiata
nel porto di Tripoli.
 
Le ong in
questione stazionano al largo della Libia finché non ricevono notizia di un
barcone salpato dalla Libia e strapieno di persone o, nei casi peggiori, di un
naufragio. A quel punto contattano la centrale di Roma, che si assume
formalmente il controllo delle operazioni, e raggiungono il barcone. A meno di
imprevisti – come l’intervento della Guardia Costiera libica, che “soccorre” i
migranti per portarli in centri di detenzione dove raramente si rispettano i
diritti umani – le persone soccorse vengono stipate a bordo, fornite di cibo e
vestiti e visitate sbrigativamente per valutare le loro condizioni.
L’equipaggio di queste navi è formato da figure diverse, fra cui soccorritori,
interpreti e personale medico (oltre che un buon numero di volontari).
Alla fine
di queste operazioni possono succedere due cose: i migranti vengono consegnati
alle navi della Guardia Costiera o della Marina militare italiana, che li
conducono in Italia, oppure sono trasportati nei porti italiani dalla stessa
ong.
Perché li
portano in Italia

Le ong che soccorrono i migranti seguono la cosiddetta
convenzione di Amburgo del 1979
 e altre norme sul
soccorso marittimo, che prevedono che gli sbarchi di persone soccorse in mare
debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica
sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.
La
Tunisia è un paese relativamente sicuro ma non è attrezzato per garantire i
bisogni dei migranti, e a giudizio
dagli operatori delle ong
non ha una legislazione completa sulla
protezione internazionale. Malta ha la metà degli abitanti di Genova e il
quintultimo PIL dell’Unione Europea, e si occupa già
dei migranti che riesce a gestire.
 Grecia, Francia e Spagna
sono troppo lontane dalle coste libiche. È per questo che le ong
trasportano in Italia, e solo in Italia, tutte le persone che soccorrono
nei pressi della Libia: i porti italiani sono
semplicemente i più vicini e sicuri
. D’altronde, come abbiamo già
visto, anche le navi che appartengono alle autorità italiane riportano tutti i
migranti in Italia.
Non è che
con la loro attività le ong attirano i migranti?

È un’ipotesi che circola da anni, e ripresa anche
dal direttore di Frontex
, l’agenzia europea per il controllo delle
frontiere. In realtà non è mai stata dimostrata una correlazione fra la
presenza delle navi delle ong al largo della Libia e un aumento degli arrivi
via mare. Secondo uno
studio dell’ISPI
, a un aumento dei migranti soccorsi dalle ong – che
nel picco delle loro attività compivano circa il 65 per cento delle operazioni
– non è corrisposto un aumento dei barconi partiti dalla Libia.
(grafico
ricavato dal fact checking sulle migrazioni dell’ISPI)

Secondo
alcuni operatori delle ong, gli sbarchi erano già aumentati prima del loro
arrivo. Inoltre, le ragioni che spingevano i migranti a scappare dai loro paesi
d’origine non sono state risolte. «Nei mesi successivi all’interruzione di Mare
Nostrum c’è stato un aumento delle partenze, eppure non c’erano mezzi pronti al
soccorso», ha raccontato
a Internazionale
Marco Bertotto, responsabile della promozione di
Medici Senza Frontiere. «Sono diversi i fattori che determinano i picchi di
arrivi e questo ci porta a dire che a prevalere è comunque il fattore di spinta
(push factor) rispetto al fattore di attrazione (pull factor). Sono le ragioni
per cui fuggono che spingono queste persone a mettersi in mare non certo la
possibilità – che non è certezza – di essere salvati».

Quello
che fanno le ong è legale?

Sì. La stragrande maggioranza delle operazioni di soccorso avviene in acque
internazionali, in cui hanno piena libertà di movimento. Solo raramente alcune
navi si sono spinte entro le 12 miglia marine che rappresentano il confine
delle acque territoriali della Libia. Il diritto internazionale prevede che le
operazioni di soccorso possano avvenire anche entro le acque libiche, ha spiegato
al sito di Possibile
l’avvocato Francesco Del Freo, che si
occupa di diritto marittimo.
Ovunque
si trovi la sua nave, «il comandante di nave è obbligato, ai sensi
dell’articolo 1158 del Codice della navigazione, ad assistere navi o persone in
pericolo, ovvero a tentare il salvataggio, giacché sia la Convenzione di Londra
all’articolo 10 che il nostro Codice penale impongono tale obbligo, pena
incorrere in un reato punito con la pena di reclusione dai tre agli otto anni
qualora dall’omissione derivasse la morte».
Alcuni
analisti e magistrati sostengono che le ong in alcuni casi siano responsabili
del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, visto che
trasportano in Italia persone che sulla carta non avrebbero i documenti per
farlo. L’ong tedesca Jugend Rettet è tuttora indagata dalla procura di Catania
per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: è accusata di essersi messa
d’accordo con alcuni trafficanti di esseri umani in Libia per portare a bordo
della sua nave, la Iuventa, persone che non avevano bisogno di essere soccorse.
La
giornalista Marina Petrillo, che ha letto le carte dell’inchiesta e ne ha
pubblicato un resoconto su Open Migration
, ha scritto che dalle
accuse dei magistrati «la Iuventa emerge dalle opinioni raccolte nelle carte
come una sorta di centro sociale berlinese in mezzo al mare – organizzatissimo,
radicale e antagonista». Jugend Rettet in effetti era nota fra le altre
ong per essere piuttosto spericolata, e per spingersi spesso nei
pressi del limite delle 12 miglia marine dalla costa libica. Le accuse
contro Jugend Rettet sembrano piuttosto solide ma anche molto circoscritte:
riguardano solo la ong tedesca e non coinvolgono le organizzazioni più
grandi e attive come Medici Senza Frontiere, Save the Children e MOAS.
La
maggior parte degli esperti di immigrazione è convinta che le ong meno
spericolate non possano essere accusate di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina, visto che non si mettono d’accordo con i trafficanti di esseri
umani e che sono protette dalla cosiddetta “clausola umanitaria”, prevista
dall’art.12 del decreto legislativo 286/1998, che giustifica l’ingresso
illegale di persone sul territorio italiano in casi di emergenze umanitarie. Va
poi tenuto conto che uno stato non può mai respingere persone che chiedono
protezione internazionale, come fanno tutte le persone sbarcate in Italia
(perché altrimenti sarebbero detenute e riportate nel loro paese). I
respingimenti di richiedenti asilo sono esplicitamente vietati dall’articolo
33
della convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra
nel 1951, e dal protocollo 4 che
integra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo,
entrato in vigore nel 1968.
Il
cosiddetto codice delle
ong
introdotto dal ministero dell’Interno italiano nell’estate del
2017 «non è un atto giuridico», «non è vincolante per nessuno» e ha avuto come
sola conseguenza quella di provocare una pressione mediatica nei confronti
delle ong, ha detto al Post Salvatore Fachile, un avvocato che si occupa
di immigrazione e fa parte dell’Associazione per gli Studi Giuridici
sull’Immigrazione (ASGI). L’estate 2017 è stata quella dei picchi di arrivi via
mare, degli accordi fra Italia e Libia e delle prime violenze compiute dalla
Guardia Costiera libica: l’ipotesi che circola fra gli attivisti per i diritti
dei migranti è che il governo italiano avesse bisogno di un capro espiatorio da
incolpare per la situazione di emergenza in cui si trovava l’Italia.
Chi le
paga?

Tutte le ong coinvolte nei soccorsi nel Mediterraneo si sostengono grazie a
piccole e grandi donazioni. Alcune possono permetterselo, dato che hanno alle
spalle organizzazioni enormi come Save The Children e Medici Senza Frontiere,
oppure filantropi come Regina
e Christopher Catrambone
(i fondatori di MOAS).
Quelle
più piccole hanno bisogno di migliaia di donatori. Sea Watch e Proactiva Open
Arms hanno in evidenza sui loro siti un modulo che permette di donare cifre
anche consistenti in pochi minuti. Sos Méditerranée ha fatto
sapere
che nel 2016 ha avuto contributi da 13.800 persone, che al 99
per cento erano donatori privati.
MOAS è
stata la ong più attaccata sui propri conti e le ambizioni dei coniugi
Catrambone, che qualcuno ha accusato di volersi fare un nome grazie ai soccorsi
nel Mediterraneo. Christopher Catrambone è un imprenditore che prima di
dedicarsi a MOAS lavorava nel campo delle assicurazioni, e le sue attività sono
state passate al setaccio dai giornali italiani: a maggio del 2017, ad esempio,
l’Espresso ha pubblicato un lungo articolo su di lui intitolato «MOAS, tutti
i misteri del fondatore della ong»
, ma che contiene ben pochi
misteri (MOAS fra l’altro ha risposto con una lettera
in cui smentisce alcune informazioni contenute nell’articolo). Per cercare di
prevenire le accuse, MOAS ha reso pubblico il suo bilancio annuale del 2016,
consultabile qui,
da cui ha stralciato l’elenco dei donatori per ragioni di riservatezza.
Molte
delle accuse alle ong ruotano in effetti intorno ai finanziatori e ai presunti
secondi fini che avrebbero queste organizzazioni, al di là di quello
umanitario. Durante un intervento istituzionale tenuto in Senato il 13 giugno,
il nuovo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha lasciato intendere che dietro
ad alcune ong possa esserci l’imprenditore e filantropo ungherese-statunitense
George Soros, da anni al centro di molte teorie del complotto di gruppi di
estrema destra per le sue
attività filantropiche e le origini ebraiche.
In realtà
Soros non risulta legato direttamente a nessuna ong che soccorre le persone nel
Mediterraneo, nonostante diversi giornali italiani lo abbiano accusato di «finanziare l’arrivo
di immigrati»
 e «pagare
l’invasione dell’Europa»
. Un articolo del Giornale del 2017
caratterizzava in maniera negativa una donazione
di 500mila euro
fatta a MOAS da Avaaz, una piattaforma di attivismo
online che secondo il Giornale è riconducibile a Moveon.org, che a sua volta
«fa capo» a Soros. In realtà Avaaz è stata solamente cofondata da Moveon.org,
che non la controlla né «fa capo» a Soros, che ha avuto dei legami con la
piattaforma 14 anni fa.