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Rojava tende la mano a Damasco: «Dialogo sul futuro della Siria»

Michele
Giorgio, Nena News, 14 giu 2018

I curdi
pronti a colloqui senza precondizioni con il governo, naturale risposta all’intesa
tra Stati uniti e Ankara che si sono unilateralmente presi la città di Manbij
Forze
democratiche siriane

La notizia riferita dal quotidiano al Sharq al
Awsat è passata in sordina malgrado la sua importanza. Le Forze
democratiche siriane (Sdf), la potente alleanza nel nord-est della Siria
formata da combattenti curdi e arabi, armata e addestrata dagli Stati uniti, si
dicono pronte ad aprire il dialogo con il governo a Damasco e il presidente
Bashar Assad.

Uno
sviluppo di assoluto rilievo ma non inatteso perché è una conseguenza diretta
di considerazioni politiche e strategiche ovvie vista la situazione nel paese,
nonché una reazione al via libera dato dall’amministrazione Trump
all’espansionismo turco e all’offensiva lanciata a inizio anno da Ankara contro
Afrin.
Il
Consiglio democratico siriano (Dsc), braccio politico delle Sdf, ha proclamato
la volontà di avviare «colloqui incondizionati» con il governo siriano e
l’impegno a partecipare a una soluzione negoziata per porre fine al conflitto.
Parlando
all’Afp a nome di Dsc e Sdf, Hekmat Habib ha confermato l’intenzione di
«aprire la porta al dialogo» con Damasco: «Tenendo conto del controllo che le
nostre forze hanno sul 30% della Siria e del fatto che il regime ora ha piena
autorità su buona parte del paese, appare chiaro che queste sono le uniche due
forze che possono sedersi al tavolo di negoziati e formulare una soluzione alla
crisi siriana».
A
spingere i curdi, o gran parte di essi, a proclamarsi pronti al dialogo con il
governo centrale è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso,
ossia l’accordo raggiunto da Washington e Ankara per il ritiro delle forze
curde da Manbij. Accordo che consente a forze Usa (almeno 2mila uomini secondo
alcune fonti) e turche di pattugliare la città della Siria settentrionale e i
confini, sebbene siano state le Sdf a strappare nel 2016 la città all’Isis al
termine di un’offensiva costata pesanti perdite.
Un’
intesa letta come un tradimento delle aspirazioni curde che gli Usa avevano
fatto capire di voler aiutare a realizzare, almeno in parte. Invece non appena
l’Isis è crollato in Iraq e Siria grazie anche al sacrificio dei combattenti
curdi, l’amministrazione Trump è tornata subito ad assecondare i desideri della
Turchia membro della Nato anche per allentare le tensioni con Ankara emerse
negli ultimi anni.
A
preparare il terreno alla possibile apertura di colloqui ufficiali tra curdi e
governo centrale, è stata anche l’intervista rilasciata il mese scorso da Assad
alla rete televisiva russa Rt. Facendo uso del bastone e della carota, il
presidente siriano ha lanciato una sorta di ultimatum ai combattenti delle Sdf:
«Siamo disposti ad aprire le porte del negoziato perché la maggior parte di
loro sono siriani che amano il loro paese e non vogliono essere marionette
degli stranieri – ha detto Assad – Altrimenti, ricorreremo alla liberazione di
quelle zone con la forza, è la nostra terra, è nostro diritto e nostro dovere
liberarla. Gli americani devono andarsene, in qualche modo se ne andranno».
Dovessero
andare in porto i negoziati per lo status del Rojava e del nord della Siria tra
Dsc-Sdf e il governo, si potrebbe aprire la strada a una soluzione vera per la
Siria.
Tenendo
conto anche che le forze armate governative, dopo aver ripreso il controllo dei
sobborghi meridionali ed orientali di Damasco, sono ora impegnate a strappare
il sud del Paese alla galassia di gruppi jihadisti e qaedisti che da anni ha il
controllo dell’area.
Damasco è
pronta a lanciare un’ampia campagna militare non appena avrà ragione dei
miliziani dell’Isis che tengono il controllo della città di Sweida. L’esercito
siriano inoltre sta rafforzando la difesa antiaerea vicino alle Alture del
Golan, dispiegando il sistema russo antiaereo Pantsir in grado di contrastare
con più efficacia i raid dell’aviazione israeliana.