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Le ambiguità del forum di Oslo per i diritti umani

Pierre Haski,
Internazionale, 8 giugno 2018

Dove, nel
mondo, è possibile ascoltare un’ex prigioniera iraniana e una transfuga
nordcoreana che paragonano le loro esperienze, le torture subite, gli stupri o
le loro nuove vite in esilio?
Il 29
maggio 2018. (Oslo freedom forum)

Dove si
può imparare a usare la tecnologia blockchain per proteggere i propri dati e le
proprie attività di militante? E ancora, dove si può ascoltare un’adolescente
afgana raccontare quanto le sia costato diventare una campionessa di robotica?

Il forum
delle libertà di Oslo (Off), ribattezzato la “Davos dei diritti umani”, si è
svolto dal 28 al 30 maggio nella capitale norvegese, ed è tutto questo e molto
altro ancora (nota di trasparenza: chi scrive ha partecipato in quanto presidente
di Reporters sans frontières a un dibattito sulla “corruzione in Europa”, per
parlare degli omicidi
della giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia
a Malta e del
giornalista
d’inchiesta Ján Kuciak
in Slovacchia).
L’Off è
innanzitutto un tentativo di puntare i riflettori sulla questione dei diritti
umani, in un’epoca in cui è spesso relegata al ruolo di variabile
d’aggiustamento nelle relazioni tra stati, vittima collaterale di un nuovo
clima da guerra fredda tra le potenze del momento.
Aria da
guru

Circa 450 partecipanti venuti da quasi tutto il mondo hanno partecipato al
decimo forum, una manifestazione sostenuta dal governo norvegese e da alcune
fondazioni private, e che non ha smesso di crescere nel corso degli anni.
L’anima
di Off è un uomo dal profilo complesso con un nome che più norvegese non si
potrebbe, Thor Halvorssen, ma cresciuto in Venezuela e ferocemente ostile nei
confronti dei regimi di Hugo Chávez ieri e di Nicolás Maduro oggi. Thor, come
lo chiamano tutti all’Off, possiede una distinta aura da guru che guida
combattenti per la libertà in quattro continenti ed è l’animatore onnipresente
di queste tre giornate di Oslo.
Al suo
fianco c’è un’altra grande personalità, Gary Kasparov, un tempo campione del
mondo di scacchi sovietico e oggi deciso oppositore, dal suo esilio negli Stati
Uniti, di Vladimir Putin, che avrebbe voluto sfidare alle ultime elezioni
presidenziali russe. Kasparov è il presidente della Human rights foundation,
che organizza il forum di Oslo. Il suo predecessore è stato il dissidente e poi
presidente ceco Vaclav Havel, rimasto in carica fino alla sua morte, nel 2011.
Il forum
delle libertà attira attivisti e militanti di tutto il mondo, ma possiede
un’impronta culturale di chiaro stampo statunitense
Halvorssen
e Kasparov imprimono il loro segno sul forum, non senza creare talvolta delle
frizioni. Durante la conferenza stampa di apertura della manifestazione, un
giornalista di sinistra statunitense si è attirato gli strali di Kasparov e di
altri invitati per aver domandato se gli Stati Uniti facciano parte del “mondo
libero”, un’espressione spesso usata dai promotori del forum.
Kasparov
ha risposto con durezza, accusando il giornalista di aver fatto una domanda
vergognosa e ricordando come, avendo subìto prima il regime comunista e poi
quello di Putin, sia invece in grado di capire bene la differenza tra libertà e
oppressione. “Potete andare a manifestare davanti alla Casa Bianca e dire a
Donald Trump che è un verme, poi rientrare tranquillamente a casa vostra,
sapendo che alle prossime elezioni potrete cacciarlo. In Unione Sovietica ieri
o sotto Putin oggi niente di tutto questo è possibile”, ha dichiarato
infastidito l’ex campione di scacchi.
Un altro
degli invitati, l’esule iraniano Maziar Bahari, ha proposto dal canto suo,
guardando negli occhi il giornalista statunitense che aveva posto la domanda,
di aggiungere al forum un dibattito sugli “utili idioti”, riprendendo la
formula attribuita a Lenin per descrivere quanti, senza essere comunisti,
facevano il gioco dell’Unione Sovietica. Niente male come ambiente.
Anche se
il forum delle libertà attira attivisti e militanti di tutto il mondo,
sinceramente impegnati in lotte per la libertà nel loro paese, possiede
comunque un’impronta culturale di chiaro stampo statunitense, sia nella forma
sia nei contenuti. I suoi organizzatori vivono peraltro negli Stati Uniti.
Intransigenza
e ambiguità

Il forum pone l’accento sulle storie individuali, secondo format narrativi
ispirati alle conferenze TEDx, con una persona che si racconta da sola su un
palco. Le testimonianze sono forti, talvolta sconvolgenti, stimolanti, e
permettono di attirare l’attenzione sulle cause dimenticate o poco seguite dai
mezzi d’informazione, come quelle della minoranza anglofona del Camerun o
quella degli uiguri musulmani in Cina. Il forum ha anche i suoi bersagli
d’elezione come la Russia di Putin – con un deciso sostegno all’Ucraina (era
presente a Oslo l’ex presidente ucraino Viktor Juš
čenko) – o il Venezuela di Maduro –
(l’esponente dell’opposizione venezuelana ed ex sindaco di Caracas, Antonio
Ledezma, è stato accolto con un’ovazione).

La
conferenza di Antonio Ledezma, 30 maggio 2018. (Oslo freedom forum)

I
protagonisti del forum si presentano come difensori di un’idea intransigente di
democrazia liberale, una nozione presa oggi d’assalto dai regimi autoritari e
dai movimenti populisti. Ma mantengono una certa ambiguità sulla loro “agenda”
politica: i loro discorsi hanno talvolta delle sfumature “alla Kouchner”
(fondatore di Medici senza frontiere poi ministro di Nicolas Sarkozy in
Francia), un sincero slancio per i diritti umani poi passato al servizio della
dottrina del “cambiamento di regime” dei neoconservatori, ovvero il sostegno
all’intervento armato occidentale per imporre la democrazia, come in Iraq nel
2003 o in Libia nel 2011, con i risultati che conosciamo.

Un’avventura
spedita

Il forum di Oslo non si spinge a tanto e non supera mai la frontiera invisibile
che può portare dei militanti per i diritti umani a forzare il destino con
missili e carri armati. Influenzato dalle utopie della Silicon valley, si
affida semmai alle promesse vertiginose della tecnologia, molto presente nei
dibattiti nella capitale norvegese. Oltre alle appassionanti conversazioni
sulle buone pratiche tra militanti di diverse regioni del mondo, ai seminari
sulla sicurezza informatica o agli stand che presentano le ultime novità della
tecnologia blockchain applicata all’impegno civico, esiste un aspetto più
“messianico” che sostiene le “utopie tecnologiche” del ventunesimo secolo.
Quando
prende la parola sul palco di Oslo, Jason Silva, anche lui venezuelano di
nascita, si presenta come un telepredicatore. Ma non parla di dio, bensì
dell’avvenire radioso promesso dalla tecnologia, oppure della “singolarità”,
quel punto di svolta nel progresso dell’intelligenza artificiale che renderà la
macchina più forte dell’uomo. Uno dei suoi riferimenti più forti è Ray
Kurzweil, cofondatore dell’Università della singolarità in California, che
lavora oggi per Google.
Il forum
sulla libertà di Oslo è nato dieci anni fa ed è notevolmente cresciuto in
questi ultimi anni. Come accaduto all’“originale” di Davos”, ha cominciato a
creare degli epigoni: un’edizione in Messico per l’America Latina, una a New
York per l’America del nord, una a Johannesburg per l’Africa e presto una a
Taiwan per l’Asia.
Un’avventura
che procede quindi spedita, sostenendo il vessillo dei diritti umani troppo
spesso dimenticato oggi (come nei negoziati sul nucleare nordcoreano, per
esempio) a vantaggio della realpolitik. Ma che porta con sé anche una buona
dose d’ambiguità, che la sincerità dei partecipanti non riesce del tutto a
dissipare.