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La Chiesa di Bergoglio e la farsa della finta povertà

Carla
corsetti, Left, 16 giugno 2018

«Kirchensteuer»,
è così che viene chiamata in Germania la tassa sulle religioni.

Una tassa
odiosa per il cui recupero la legislazione tedesca prevede un meccanismo
estremamente efficiente nell’attivare una procedura di infrazione qualora ci si
renda inadempienti nel versamento. Da tempo i tedeschi hanno preferito
dichiarare di non aderire a nessuna confessione religiosa proprio per sottrarsi
al pagamento della kirchensteuer. In Italia il meccanismo è diverso. Non si
aggiunge una ulteriore tassa alle circa cento tasse previste dal sistema
fiscale, ma si detrae una percentuale dalla tassa più elevata, l’Irpef. Lo 0,8%
dell’Irpef può essere destinato a 12 diverse confessioni religiose che hanno
stipulato una intesa con lo Stato italiano. Il sistema della tassazione in
favore delle confessioni religiose, per come è concepito, lascia intendere al
contribuente che sia strutturato in una sostanziale volontarietà, tanto più che
tra le opzioni possibili, si include anche lo Stato. A ben vedere non c’è
alcuna linearità e nella ipotesi in cui  nessuna delle opzioni viene
sottoscritta dal contribuente «la ripartizione della quota d’imposta non
attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse». È proprio in
questa ulteriore ripartizione che si consuma la perversione del privilegio
fiscale.
In altri
termini la quota di tassazione che non ha ricevuto alcuna indicazione di
destinazione opzionale, viene nuovamente ripartita tra le confessioni religiose
secondo la stessa proporzione registrata per le opzioni espresse. In sintesi. I
contribuenti italiani sono circa 41 milioni e cinquecentomila. Di questi
soltanto il 45% circa esprime un’opzione tra le 13 possibili e stiamo parlando
di circa 18 milioni di contribuenti. All’interno di questo 45%, il 37% circa
esprime una opzione verso la Chiesa cattolica. Quel 37% è costituito da circa
15 milioni di contribuenti. Circa 15 milioni di contribuenti costituiscono,
all’incirca, l’80% dei contribuenti che hanno espresso la loro opzione. A
questo punto l’80% del gettito Irpef destinato alle confessioni religiose di
coloro che non hanno espresso alcuna opzione, viene destinato alla Chiesa
cattolica. Per avere cognizione delle cifre di cui si sta parlando, possiamo
ricordare che nel 2016 la Chiesa “povera” di Bergoglio ha incamerato
dall’8×1000 del gettito Irpef un miliardo e trecentomila euro.
Il 16
maggio 2016 aprendo i lavori della 69ma Assemblea generale della Conferenza
episcopale italiana, durante la quale si dovevano assumere decisioni sulla
spartizione del “bottino”, Bergoglio, assolutamente incurante dell’incoerenza
rispetto al contesto, ha esortato i suoi interlocutori: «Mantenete soltanto ciò
che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio». Più
devastante dell’incoerenza del messaggio propalato, è stata la risonanza che
simile frase ha avuto sui media, proni ad assecondare la farsa della finta
povertà mentre ci si sedeva al banchetto dell’avidità. Decisamente più coerente
fu Paul Marcinkus, un cardinale al centro di scandali finanziari
internazionali, il quale non aveva mai celato la sua “passione” per il denaro e
del quale resta famosa la frase: «Non si governa la Chiesa con le Ave Maria».
Tornando
a tempi più recenti, un’analisi sulla tassa per le religioni rende
imprescindibile il richiamo alla relazione della Corte dei conti del dicembre 2016
nella quale è stato tracciato un quadro desolante. Assenza di controlli,
rilevanti anomalie, perdurare degli elementi di debolezza nella normativa,
sproporzione rispetto alla Chiesa cattolica la quale riceve più dalla quota
indistinta (ovvero quella senza alcuna indicazione opzionale) che non dalle
precise scelte dei contribuenti.
Queste in
estrema sintesi le accuse della Corte dei conti. Già nel 2014 (v. art. di Grendene)
la Corte aveva denunciato le aberrazioni sottese al meccanismo di
redistribuzione dell’8xmille rilevando come, a fronte di un 37% di indicazione
per scelta opzionale, la Chiesa cattolica arriva a riscuotere l’82% dell’intera
partita contabile. I rilievi della Magistratura contabile si erano concentrati
sul perverso meccanismo della assegnazione finale perché non rispettava (e non
rispetta ancora oggi)  i «principi di proporzionalità, volontarietà e
uguaglianza» che in uno Stato di diritto improntato al rispetto dei diritti
costituzionali e dei diritti umani, hanno un senso, ma nello Stato della
Repubblica pontificia italiana, hanno lo stesso senso delle Ave Marie di
Marcinkus.