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Giordania, il re caccia il premier dopo le proteste contro l’austerity

Lettera 43,
04 giugno 2018

Dopo sei
giorni di manifestazioni contro il piano del governo varato con il benestare
del Fmi, il sovrano ha sollevato dall’incarico primo ministro Hani Malki. Ma i
problemi per il paese rimangono.
Dopo sei
giorni di proteste contro la politica di austerity che hanno investito le
maggiori città della Giordania, il re giordano Abdallah il 4 giugno ha rimosso
il primo ministro Hani Malki nella speranza di placare la rabbia popolare.
Media governativi hanno riferito che al posto di Malki il sovrano hascemita ha
chiamato il ministro dell’Istruzione Omar Razzaz, un economista con fama di
riformista e studi a Harvard, ma la notizia non è stata confermata
ufficialmente. Secondo l’agenzia Petra, Razzaz sarebbe stato scelto come
premier ad interim in attesa che venga nominato un altro capo del governo.
UNA
MANOVRA PROMOSSA DAL FMI. Nella vita politica della Giordania accade spesso che
il re cerchi di uscire da situazioni ingarbugliate cambiando il primo ministro,
che è sua esclusiva prerogativa, ma resta da vedere come il nuovo capo del
governo potrà conciliare le esigenze di un risanamento dei conti pubblici su
cui insistono i creditori, primi fra tutti il Fondo monetario internazionale, e
il malcontento di una popolazione che soffre per una crisi aggravata dalle
ripercussioni dei conflitti regionali degli ultimi anni.
Migliaia
di manifestanti sono scesi in piazza ad Amman e in diverse altre città, tra cui
Irbid, Ramtha, Zarqa e Salt, per protestare contro il programma di aumento
delle tasse, delle bollette dell’elettricità e dei carburanti varato
dall’esecutivo di Malki con l’obiettivo di ridurre un debito pubblico che ha
superato il 96%. Il piano aveva l’appoggio del Fmi, che nel 2016 ha concordato
una linea di credito di 700 milioni di dollari in favore di Amman.
DISOCCUPAZIONE
OLTRE IL 18%. Secondo i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali,
tuttavia, le nuove imposte rischiano di provocare danni all’industria nazionale
con la conseguente perdita di posti di lavoro, in un Paese che ha un tasso di
disoccupazione superiore al 18% e negli ultimi anni ha già visto la migrazione
di molte aziende verso l’Egitto e altri Paesi che offrono incentivi fiscali. A
pesare sui conti economici della Giordania è anche l’invasione di rifugiati
siriani a partire dallo scoppio del conflitto nel 2011.
PREOCCUPAZIONI
DEI PAESI OCCIDENTALI. Quelle di questi giorni sono state le manifestazioni di
protesta più grandi degli ultimi anni. A scendere in piazza sono stati
soprattutto giovani e appartenenti alla classe media e nell’organizzazione non
hanno avuto alcun ruolo le opposizioni tradizionali, tra cui i Fratelli
musulmani. Sebbene non si registrino episodi di violenza, il movimento di
protesta ha creato preoccupazione nelle capitali occidentali e in Israele, che
con Amman intrattiene relazioni diplomatiche. La Giordania è infatti un
tradizionale alleato dell’Occidente e ha collaborato con i Paesi europei e con
gli Usa nella lotta all’Isis e in ogni iniziativa relativa alla guerra civile
in Siria.