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Fine vita, in Portogallo una riflessione avanzata in Parlamento. Anche se la legge non passa

Francesco
troccoli, LEFT, 30 maggio 2018

Il
parlamento portoghese ha bocciato il 29 maggio quattro disegni di legge su
eutanasia e suicidio assistito prodotte da altrettanti partiti di sinistra, fra
cui il Partito Socialista al governo. 
Maria
Mortagua del Bloco de esquerda in Parlamento il 29 maggio 2018

Nell’eutanasia,
è bene ricordarlo, è un soggetto esterno a procurare il decesso del malato,
mentre nel suicidio assistito è il malato stesso a procurarselo, sebbene con
l’aiuto, spesso indispensabile, da parte di un soggetto esterno. La Chiesa si
era attivata in massa, con la conferenza episcopale portoghese che ha
distribuito un milione e mezzo di volantini, e il cardinale di Lisbona Manuel
Clemente che aveva chiesto espressamente ai deputati di fermare tutti i disegni
di legge. Decisivo è risultato il voto contrario del principale partito di
destra, ma va segnalata anche la contrarietà del partito comunista portoghese.
Nonostante la mobilitazione del fronte del no, è stata una vittoria di misura,
con uno scarto di appena 15 voti nel Parlamento di un Paese che fino a pochi
anni fa era considerato una roccaforte del cattolicesimo, nato sulle ceneri di
una delle più longeve dittature d’Europa, e che qualche settimana fa ha visto
trecentomila partecipanti alla messa per la ricorrenza dell’apparizione della
Madonna di Fatima.




Il
Portogallo si conferma un laboratorio politico da seguire con attenzione anche in
tema di riconoscimento dei diritti civili. Nonostante l’esito del voto del 29
maggio. Soprattutto grazie all’impegno del Bloco de ezquerda, nato dall’unione
di varie formazioni di sinistra, oggi il Paese ha ad esempio una legislazione
molto avanzata in tema di matrimonio e adozione per le coppie omosessuali.
Il
disegno di legge sul fine vita del Partito socialista, al quale si dava il
maggior credito fra i quattro, conteneva elementi interessanti e innovativi
persino a paragone con Paesi europei – come il Belgio e soprattutto l’Olanda –
che vantano in questo campo una legislazione rigorosa e avanzata. La
possibilità di attuazione del suicidio assistito avrebbe infatti riguardato, si
legge, «pazienti in stato di sofferenza estrema, con disabilità intrattabile o
malattia fatale e incurabile». La procedura sarebbe stata inoltre riservata a
chi possiede la cittadinanza del Paese (come in Olanda e a differenza della
Svizzera, nella quale però è consentito il suicidio assistito ma non
l’eutanasia). È quindi evidente come la definizione del campo di applicazione
apparisse molto precisa e ben delimitata. Inoltre, il disegno di legge
prevedeva la necessità di firma della richiesta da parte di due medici, ossia
uno specialista della malattia in questione e uno psichiatra, e il successivo
invio del caso a un’apposita commissione di valutazione.
Ovviamente
si trattava di una proposta iniziale che, si presume, sarebbe stata
successivamente elaborata attraverso un iter parlamentare, ma ci sono elementi
interessanti e comunque degni di grande attenzione. Grazie all’accurata
precisazione del campo di applicazione e alla sistematica valutazione
psichiatrica di tutte le richieste, si può infatti presumere che sarebbe stato
drasticamente ridotto, se non addirittura azzerato, il rischio di applicazione
della procedura in pazienti affetti esclusivamente da malattie psichiatriche,
quali la depressione, dunque in assenza di patologie fisiche. Nei Paesi dove
eutanasia e/o suicidio assistito sono legali questo rischio in effetti esiste:
in Olanda – come documentato su Left n.16 – ogni anno una pur ridotta
percentuale di pazienti psichiatrici accede alle procedure di questo tipo, e
per la Svizzera basti ricordare i casi di pazienti italiani affetti da
depressione che si sono rivolti a strutture oltre il confine elvetico, come
Lucio Magri o il giudice Pietro D’Amico, la cui figlia sta oggi combattendo una
battaglia legale inerente il suicidio assistito di suo padre.
Quella di
ieri è una sconfitta, quindi, solo sul piano politico. Il laboratorio
portoghese si conferma un cantiere di cultura sociale capace di costruire
proposte originali e innovative anche sul piano dei diritti civili, come quello
a una morte dignitosa in presenza di malattia fatale o gravemente invalidante.
Pur bocciato, il disegno di legge portoghese potrebbe rappresentare nel
prossimo futuro un modello utile per altri contesti nazionali, compreso il
nostro. In Italia, dopo l’approvazione della Legge 219 del 22 dicembre 2017
sulle disposizioni anticipate di trattamento (note come “biotestamento”), il
prossimo passo in agenda è fissato per il 23 ottobre, con l’udienza in Corte
Costituzionale per l’analisi della questione di legittimità dell’articolo 580
del codice penale in materia di aiuto al suicidio, sulla scia del clamore
evocato dalla vicenda di Fabiano Antoniani e dal processo a Marco Cappato, che
lo aiutò a recarsi in Svizzera per sottoporsi a suicidio assistito. A giudicare
da quello che ci riserva la scena di queste ore, nel nostro Paese però il
contesto politico potrebbe essere molto diverso da quello che ha consentito la
nascita del “laboratorio portoghese”. Incrociamo le dita, e non solo per
questo.