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Ayvalık e Mitilene, due facce dello stesso mare

Giustina
Selvelli, East Journal, 11 giugno 2018

Ayvalık e
Mytilini (Mitilene) sono due città di piccole dimensioni (circa 30.000
abitanti), posizionate rispettivamente sulla costa turca e greca del Mar Egeo
settentrionale, a una distanza di 26 chilometri una dall’altra.

La prima,
situata nella provincia di Balıkesir, ed il cui nome turco (succeduto a quello
storico greco di Kydonies-
Κυδωνίες) designa il frutto della mela
cotogna, è un’importante città commerciale e si affaccia sull’isola di Lesbo di
cui Mytilini è capitale. Quest’ultima è una località di eccezionale valore
storico, importante centro culturale e universitario oltre che porto
commerciale e turistico, divenuta famosa al mondo intero assieme all’isola con
l’acutizzarsi della crisi dei
rifugiati
a partire dall’estate 2015. Questa parte del Mar Egeo
settentrionale rappresenta un topos sociale e geografico fatto di confini
visibili e invisibili, dove la storia europea ha concentrato alcune delle
tragedie più significative dell’ultimo secolo.
Le due
città condividono un passato comune caratterizzato dalla coesistenza di
culture, lingue e confessioni religiose, essendo state entrambe parte del multietnico
impero ottomano, la cui fine ha provocato spostamenti forzati e migrazioni da e
verso entrambe le città. Fino alle guerre balcaniche, Ayvalık era
principalmente popolata da greci, abitanti della zona fin dall’antichità, che
trovavano in tale centro urbano uno dei loro più importanti punti di
riferimento culturali. Mytilini era a sua volta abitata da una consistente
comunità turca e musulmana.
Lo
scambio di popolazioni del 1922/1923 e la sorte del patrimonio architettonico
La
memoria traumatica dello scambio di
popolazioni
seguito alla guerra greco-turca 1919/1922 (in greco definita
come “la grande catastrofe
dell’Asia Minore
”) nonché al grande fuoco di Smirne del settembre
1922 è ancora presente nelle narrazioni degli abitanti di entrambe le rive. Non
vi è abitante che non abbia una storia
familiare
da raccontare, di sradicamento dei propri nonni o antenati
dalle sponde opposte di quel mare, in ciò che appare come una ferita aperta,
tramandata di generazione in generazione. In un certo senso, ogni lato vede
nell’altro il frammento mancante di se stesso, della propria storia interrotta.
Nell’isola di Lesbo, a Skala Loutron, un paesino distante 8 km da Mytilini,
trova luogo un interessante spazio memoriale dedicato a tale tema, chiamato il Museo
dei rifugiati dell’Asia Minore del 1922. Sono qui raccolti vari oggetti che le
persone in fuga dalle proprie terre portarono con sé, tra cui icone, documenti
storici ufficiali, indumenti folklorici, assieme a mappe che testimoniano la
lunga storia delle presenza greca in Asia Minore.
Nel corso
del tempo, le varie chiese greche ortodosse di Ayvalık sono state
riconvertite
in moschee, e le vecchie case “rum” (definizione
ottomana per l’appartenenza confessionale cristiano-ortodossa nell’impero) sono
state ripopolate con i rifugiati musulmani provenienti dall’isola di Lesbo e da
Creta. A Mytilini rimane una sola moschea, la Yeni Cami, che è stata lasciata
in rovina per decenni assieme a buona parte del patrimonio architettonico ed
artistico ottomano dell’isola fino a quando nel 2011 le autorità municipali
hanno iniziato a riprendersene cura.
La
memoria dello sradicamento nelle opere culturali ed umane
I ricordi
del trauma da sradicamento si sono rispecchiati in un’opera letteraria
principale, il celebre romanzo “La Madonna Sirena” (H
Παναγιά η Γοργόνα), dello scrittore greco Stratis
Myrivilis (1948), ambientato a Skala Sykamnia, suo villaggio natale. Il libro
tratta le vicende dei profughi greci dell’Asia Minore giunti in questo paesino
a una cinquantina di chilometri da Mytilene nel 1922 dalla sponda opposta del
mare. A distanza di
quasi un secolo
, le questioni di migrazione forzata appaiono in
questi luoghi più che attuali a causa dell’impatto della crisi dei rifugiati
negli ultimi anni. I migranti che giungono a Lesbo partono infatti proprio
dalla costa turca, ed è proprio a Skala Sykamnia che il pescatore Stratos
Valiamos
ha salvato decine di persone dal mare trascorrendo intere
notti sulla sua barca nel corso degli ultimi anni. Per il suo contributo al
salvataggio di vite umane, Valiamos è stato nominato al Premio Nobel per la
Pace nel 2016. Nel 2015, è stata pubblicata l’opera a fumetti del celebre
autore greco Soloup dal titolo “Ayvali, una
storia tra Grecia e Turchia”
, che indaga sulla parte ancora
irrisolta e dolorosa della memoria comune di queste due città attraverso degli
scorci intensi su alcuni momenti cruciali del suo ultimo secolo.
Contatti
interculturali fra turchi e greci delle due città
Le
crescenti pratiche di turismo portate avanti da cittadini di entrambe le sponde
rappresentano una risposta attiva e creativa alle sfide poste dalla storia ed
in un certo senso contribuiscono a mettere in questione l’idea stessa di
confine in questa parte dell’Egeo settentrionale. Un servizio giornaliero di
traghetto collega le due città, e viene utilizzato soprattutto dai greci che una volta a
settimana
si recano in massa al mercato del giovedì di Ayvalık, uno
dei più grandi dell’intera regione. Vista la crisi in Grecia e la svalutazione
sempre più acuta della lira turca, molti abitanti di Mytilini trovano molto più
conveniente andare a fare compere sulla sponda opposta del mare. L’Ayvalık Per
şembe Pazarı costituisce un elemento vitale dell’economia di Ayvalık,
dove quasi tutti i venditori masticano un po’ di greco, e riescono così a
comunicare più efficacemente con i potenziali clienti.
A sua
volta, Mytilini è divenuta una meta ambita da un numero crescente di turisti
turchi, provenienti per lo più dalla classe media laica della costa egea dove
l’AKP non riesce a trionfare, nonché da un numero significativo di intellettuali
che cercano in Mytilini una “boccata d’aria fresca”. Durante le serate di musica
dal vivo, nei ristoranti della città le melodie tradizionali delle canzoni
greche si alternano a quelle turche, ben più malinconiche e struggenti. Ed è
qui che sembra talvolta ristabilirsi una sorta di corrispondenza, un incontro
fra le emotività di questi due popoli che normalmente riescono solo a fatica a
comunicare. Grazie a tale illusione da sconfinamento, i dolorosi nodi irrisolti
sembrano allentarsi momentaneamente, e l’immaginario di un mare Egeo comune
continua ad essere tessuto su entrambe le sponde di questo denso spazio
post-ottomano.