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Venezuela al voto: la crisi è disperata

Antonella
Mori, ISP, 18 maggio 2018

“Elezioni
illegittime”, “Elezioni farsa”, “Democrazia
violentata” sono alcune delle espressioni utilizzate per descrivere le elezioni
presidenziali del 20 maggio in Venezuela, da parte non solo dell’opposizione
venezuelana, ma anche di molti paesi e organizzazioni internazionali.

L’accusa
è che questo processo elettorale non possa garantire al popolo venezuelano di
esprimere la propria volontà politica in modo democratico e trasparente.
Infatti, i principali esponenti e partiti dell’opposizione non hanno potuto
candidarsi ed è mancato un credibile monitoraggio elettorale internazionale. In
queste ultime settimane, in tanti hanno chiesto al Presidente Maduro di
rimandare le elezioni: dalla Conferenza Episcopale Venezuelana, al Gruppo di
Lima (di cui fanno parte 11 paesi latinoamericani e il Canada), l’Unione
Europea e gli Stati Uniti d’America.
I
venezuelani che si recheranno alle urne per eleggere il nuovo presidente
potranno scegliere tra Maduro, del Partido Socialista Unido de Venezuela
(PSUV), che corre per il secondo mandato, e Henry Falcon, che in passato ha
fatto parte sia del PSUV che della Mesa de la Unidad Democratica (MUD),
principale gruppo dell’opposizione. Molti osservatori ritengono che Falcon non
rappresenti una vera alternativa a Maduro, e che anzi sia possibile una
coalizione fra i due candidati dopo le elezioni. Molto probabilmente il
presidente Maduro vincerà le elezioni con un’ampia maggioranza, visto che ha
ancora una popolarità pari a circa il 20%, che l’opposizione non andrà a votare
e che gli indecisi preferiranno recarsi alle urne per non correre il rischio di
perdere alcuni sussidi governativi. 
Il 20
maggio sarà quindi probabilmente riconfermato il presidente che ha governato
durante la più grave crisi economica degli ultimi decenni, senza essere in
grado di contrastarla, anzi contribuendo ad aggravarla con politiche economiche
errate. Anche se da anni il governo non pubblica statistiche attendibili sul
tasso di crescita o sull’inflazione, ci sono sufficienti informazioni per
affermare che la situazione economica sia drammatica a causa dell’iperinflazione
e del crollo della produzione aggregata.
Il Fondo
Monetario Internazionale (FMI) stima che l’inflazione nel 2018 arriverà al 13865%,
un dato così elevato che rischia di non essere creduto. Quando l’inflazione
diventa così elevata, le persone non vogliono tenere moneta locale, che perde
ogni giorno potere d’acquisto, e cercano di comprare beni o valuta estera a
qualsiasi prezzo. Un anno fa, per esempio, per comprare un dollaro americano
sul mercato informale ci volevano circa 6000 bolivares, oggi il prezzo di un
dollaro è salito a 745625 bolivares (dati dolartoday.com). Sempre il FMI stima
che nel biennio 2017-18 il prodotto interno lordo diminuirà del 30%.
Un vero e
proprio collasso dell’attività economica che viene confermato anche dai dati
sulla produzione petrolifera, principale fonte di entrate da esportazioni e di
risorse fiscali. La produzione di petrolio greggio in Venezuela è diminuita da
2,3 milioni di barili al giorno a gennaio 2016 a 1,6 milioni di barili al
giorno a gennaio 2018 (dati US Energy Information Administration). Questa forte
diminuzione della produzione di greggio, che nel 2000 era pari a 3 milioni di
barili al giorno, è la conseguenza di carenze manageriali, di basse spese in
manutenzione e in investimenti in nuovo capitale. Negli ultimi anni, il crollo
della produzione petrolifera e i bassi prezzi del petrolio hanno ridotto
considerevolmente le entrate di dollari nel paese e quindi le risorse
disponibili per le importazioni e per la spesa pubblica, causando importanti e
incontrovertibili effetti negativi.
I
principali effetti interni, in parte negati dall’amministrazione Maduro, sono:
la mancanza di beni di prima necessità, alimentari e medicine, che prima
venivano importati e il collasso dei servizi pubblici (trasporto pubblico,
elettricità, acqua, telecomunicazioni). La drammaticità della crisi emerge
anche da altri due elementi con effetti esterni, che non possono essere negati:
più di un milione e mezzo di venezuelani hanno deciso di lasciare il loro paese
(dati UNHCR) e il governo negli ultimi mesi non ha pagato gli interessi su
alcuni titoli pubblici ed è entrato in uno stato di default selettivo. Infine,
dopo la diminuzione dei proventi dall’esportazione di petrolio, il presidente
Maduro ha continuato a finanziare la spesa pubblica stampando nuovi bolivares
(monetizzazione del debito) e ha portato il paese all’iperinflazione.



La
vittoria di Maduro purtroppo perpetuerà le condizioni interne che hanno portato
alla drammatica crisi economica e sociale. Il presidente probabilmente spera in
un aiuto dal recente rialzo dei prezzi del petrolio, anche per resistere agli
attacchi di altri esponenti del chavismo. Un consistente aumento del prezzo del
petrolio migliorerebbe la situazione economica, ma nel breve periodo gli
effetti positivi sarebbero limitati perché la produzione di petrolio continuerà
a diminuire. Il paese ha bisogno di investire ingenti risorse finanziarie per
aumentare la produzione di petrolio, risorse che forse neppure più Cina e
Russia sono disposte a dare a un secondo governo Maduro.