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Ucraina, messa in scena dell’omicidio Babchenko per salvargli la vita. Sollevati ma non è un bel giorno per l’informazione

Antonella
Napoli, Articolo21, 30 maggio 2018

Sembrava
che la lista delle ‘voci scomode’ silenziate per aver criticato Vladimir Putin
si fosse allungata.
E invece
Arkady Babchenko, giornalista e conduttore televisivo, nonché inviato di guerra
per diverse testate come “Moskovskij Komsomolets” e “Novaja Gazeta, dato per
morto ieri è ricomparso oggi nel corso di una conferenza stampa dei
servizi segreti ucraini. Vasyl Grytsak, capo dell’intelligence di Kiev, ha spiegato
che la falsa uccisione del reporter russo anti Cremlino era stata messa in
scena per sventare un piano reale per il suo omicidio. Lo stesso Grytsak aveva
dichiarato, poche ore dopo aver diffuso la notizia del delitto
attraverso i social media, che a ordinarlo erano stati
i servizi speciali russi.



Il
41enne, volto televisivo molto noto, è da tempo una spina nel fianco del
governo russo sia come giornalista, con il suo operato critico, sia
come oppositore con le sue ferme posizioni di principio contro l’annessione
della Crimea, la guerra in Ucraina e l’intervento russo in  Siria.
Babchenko
prima di diventare giornalista aveva combattuto nei conflitti  ceceni
negli anni ‘90 e all’inizio del 2000, esperienza che l’aveva segnato e spinto a
raccontare ciò che aveva vissuto in un libro, “La guerra di un soldato in
Cecenia”, in Italia pubblicato da Mondadori.
Negli
ultimi anni le sue critiche contro il Cremlino si sono fatte sempre più feroci
e aveva ricevuto diverse minacce di morte in patria e viveva a Kiev da
oltre un anno. I servizi ucraini, allertati da alcune intercettazioni, sono
riusciti a sventare il piano  per eliminarlo.
Se la
ricomparsa del giornalista è  una bella notizia non possiamo però che
condividere mlo sdegno manifestato da Reporteras sans frontières che attraverso
la voce del segretario generale Christophe Deloiret ha condannando la messa in
scena dell’omicidio di Babchenko.
Come Rsf,
Articolo 21 esprime la sua più viva indignazione nello scoprire della
manipolazione compiuta dai servizi segreti ucraini. Quando uno Stato gioca
con i fatti, e per di più a discapito dell’informazione, non è mai un bel
segnale ed è un oltraggio per tutti quei colleghi che la vita l’hanno persa
davvero. Poco più di un mese fa, il 15 aprile, a morire misteriosamente
era stato un altro giornalista non gradito al Cremlino, Maksim Borodin, 32
anni, che stava indagando sulle morti di mercenari russi del cosiddetto “Wagner
Group”, l’esercito privato che Mosca usava per operazioni non ufficiali in
Siria.



Borodin
lavorava per il sito russo Noviy Den ed era specializzato in casi di
criminalità e corruzione. Le autorità locali avevano ridimensionato l’accaduto
affermando che “non c’erano motivi per farne un caso” visto che l’appartamento
della vittima risultava chiuso e le chiavi erano in casa.



La
vicenda probabilmente finirà per essere archiviata come suicidio. Ma la
caporedattrice di Borodin, Polina Rumyansteva, non crede a questa ipotesi.



Non è
stata mai trovata alcuna nota o messaggio di addio e un amico del giornalista ha
scritto su Facebook di aver ricevuto una sua telefonata qualche ora prima della
caduta in cui raccontava che degli uomini armati con delle maschere e uniformi
mimetiche erano sul suo balcone e avevano circondato l’appartamento



“Aveva
bisogno di un avvocato, per questo mi aveva chiamato – ha affermato il
testimone – la sua voce era tesa ma non isterica o ubriaca”.



Anche il
rappresentante per la libertà dei media dell’Organizzazione per la sicurezza e
la cooperazione in Europa, Harlem Desir, ha evidenziato che la morte di Borodin
destava serie perplessità e preoccupazioni e ha chiesto alle autorità
un’investigazione completa in tempi rapidi.



In Russia
dal 1992 ad oggi sono stati assassinati 59 reporter, secondo il Comitato per la
protezione dei giornalisti. Solo l’intuizione dei servizi segreti ucraini ha
impedito che alla lista fosse aggiunto Babchenko.
Scrivere e raccontare cosa avviene all’ombra del Cremilno è sempre più
difficile e pericoloso.