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✊ SPECIAL NAKBA _ Siete mai stati a Gaza?

Gideon
Levy, Internazionale, 11 agosto 2014

Possiamo
condurre una discussione anche breve che non sia avvelenata dall’odio? Possiamo
smettere per un attimo di deumanizzare e demonizzare i palestinesi e parlare
spassionatamente di giustizia, lasciando da parte il razzismo? È importante
fare almeno un tentativo.

Se non
fosse per l’odio, potremmo capire i palestinesi. Senza di esso, perfino alcune
delle richieste di Hamas potrebbero sembrare ragionevoli e giustificate. Una
riflessione così razionale condurrebbe qualunque persona decente a conclusioni
chiare. Un dialogo così rivoluzionario potrebbe persino avvicinare la pace, se
si può ancora avere l’audacia di usare una parola simile.
Di cosa
stiamo parlando? Di un popolo senza diritti che nel 1948 è stato privato delle
sue terre, in parte anche per colpa sua. Nel 1967 è stato privato di altri
territori. Da allora ha sempre vissuto in condizioni che solo pochi popoli
hanno dovuto affrontare. La Cisgiordania è occupata e la Striscia di Gaza è
assediata. Questo popolo cerca di resistere, con le sue poche forze e con
metodi a volte sanguinari, come ogni nazione oppressa nella storia ha fatto,
incluso Israele. Ha il diritto di resistere, bisogna ammettere.
Parliamo
di Gaza. La Striscia di Gaza non è un covo di assassini. Non è un luogo di
continue violenze e omicidi. La maggior parte dei suoi bambini non sono nati
per uccidere, né la maggior parte delle sue madri alleva dei martiri: quello
che vogliono per i loro figli è esattamente quello che le madri israeliane
vogliono per i loro figli. I suoi leader non sono molto differenti da quelli di
Israele nella loro corruzione, nel loro debole per gli hotel di lusso o nella
loro disponibilità ad assegnare la maggior parte dei fondi alle forze armate.
Gaza è
un’enclave disgraziata, un luogo di disastro permanente dal 1948 al 2014, e la
maggior parte dei suoi abitanti sono stati profughi almeno tre o quattro volte.
La maggior parte della gente che denigra la Striscia di Gaza non ci è mai
stata, certamente non come civili. Per otto anni mi è stato impedito di
andarci, ma nei venti anni precedenti ci sono stato spesso. Mi piaceva la
Striscia, per quanto a qualcuno possa piacere una regione oppressa. Mi piaceva
la sua gente, se mi è permesso generalizzare. C’era uno spirito di
determinazione quasi inimmaginabile e un’ammirevole rassegnazione alle
sofferenze.
Negli
ultimi anni Gaza è diventata una gabbia, una prigione a cielo aperto circondata
da una barriera. Prima era anche divisa in due. Che siano o meno responsabili
della propria situazione, i suoi abitanti sono dei disgraziati. Un sacco di
gente e un sacco di disgrazie.
Avendo
perso la fiducia nell’Autorità nazionale palestinese, gli abitanti di Gaza
hanno scelto Hamas in un’elezione democratica. Hanno il diritto di sbagliare.
In seguito, quando l’Organizzazione per la liberazione della Palestina ha rifiutato
di cedere pacificamente il potere, Hamas se l’è preso con la forza.
Hamas è
un movimento nazionalista e religioso. Chiunque sostenga la necessità di un
dialogo pacifico si sarà accorto che Hamas è cambiato. Chiunque riesca a
ignorare tutte le etichette che sono state applicate potrà anche distinguere le
sue aspirazioni ragionevoli, come avere un porto e un aeroporto.
Dovremmo
anche ascoltare studiosi immuni all’odio come il professor Menachem Klein,
esperto di Medio Oriente all’università Bar-Ilan, la cui interpretazione di
Hamas va contro l’opinione diffusa in Israele. In una recente intervista al
quotidiano economico Calcalist, Klein ha dichiarato che Hamas non è stata
fondata come un’organizzazione terroristica ma come un movimento sociale, e dovrebbe
essere considerata tale ancora oggi. Da tempo ha “tradito” i suoi principi ed è
impegnata in un acceso dibattito politico, ma nel dialogo dell’odio nessuno è
in grado di ascoltarlo.
Dalla
prospettiva del dialogo dell’odio, Gaza e Hamas, palestinesi e arabi, sono
tutti la stessa cosa. Vivono tutti in riva allo stesso mare, e hanno tutti
l’obiettivo di rigettarci gli ebrei. Una discussione meno primitiva e
manipolata porterebbe a conclusioni differenti. Per esempio, che avere un porto
supervisionato a livello internazionale è un obiettivo legittimo e ragionevole.
Che mettere fine all’embargo contro la Striscia servirebbe anche gli interessi
di Israele. Che non c’è nessun altro modo di fermare la resistenza armata. Che
portare Hamas al tavolo delle trattative potrebbe provocare evoluzioni
sorprendenti. Che la Striscia di Gaza è popolata da esseri umani, che vogliono
vivere come essere umani.
Ma in
ebraico “Gaza”, pronunciato ‘Aza, è l’abbreviazione di Azazel, un nome
associato all’inferno. Della moltitudine di insulti che mi è stata rivolta da
ogni parte in questi giorni, “Vai all’inferno/a Gaza” è uno dei più gentili. A
volte mi viene da rispondere: “Vorrei poter andare a Gaza per svolgere il mio
compito di giornalista”. E a volte aggiungerei: “Vorrei che poteste andare
tutti a Gaza. Se solo sapeste cos’è Gaza e cosa c’è davvero”.