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Spagna: la fine dell’ETA e l’incognita Madrid

Di Cristin
Cappelletti, L’Indro, 3 maggio

L’ETA ha
annunciato il suo scioglimento. Per capire le ragioni di questa scelta e cosa
aspettarsi per il prossimo futuro abbiamo intervistato Marco Laurenzano,
scrittore e saggista di Paesi Baschi ed ETA 
 
L’ETA, Euskadi
Ta Askatasuna, gruppo basco, considerato un’organizzazione terroristica
dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, ha annunciato mercoledì 3 maggio in
una lettera
pubblicata dal giornale ‘El Diario’, il proprio scioglimento, dopo 60 anni di
una sanguinosa campagna di guerriglia e lotta per l’indipendenza dei Paesi
Baschi. Nella lettera, inviata a diversi istituzioni e figure di rilievo come
l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, datata 16 aprile, si
legge come «ETA ha completamente sciolto tutte le sue strutture e ha terminato
la sua iniziativa politica».
Tuttavia,
l’annuncio formale da parte dei militanti dell’ETA dovrebbe arrivare solo tra
qualche ora. É stata infatti programmata per venerdì 4 maggio, nella città di Cambo-les-Bains,
 in Francia, una conferenza
internazionale
volta a supportare il processo di pace nella Regione
basca. Al meeting parteciperanno molti esponenti della società civile, leader
politici, come annunciato
dal mediatore Raymond
Kendall
. Tra i partecipanti e maggiori fautori della conferenza l’ex
Primo Ministro irlandese Bertie Ahern,
e il politico messicano Cuauhtémoc
Cárdenas
.
Uno scioglimento
già annunciato che arriva dopo un processo di
pace durato 7 anni
, dal 2011, anno in cui l’ETA accettò un cessate
il fuoco e la fine delle ostilità con il Governo spagnolo, per poi deporre
definitivamente le armi nel 2017. E qualche giorno fa, il 20 Aprile, l’organizzazione
aveva chiesto
pubblicamente scusa
per le vittime degli attentati: circa 850 in 60
anni di lotta.
L’annuncio
tuttavia arriva dopo che il gruppo era già stato decimato da molti arresti. Nato
nel 1959 come un’organizzazione studentesca di sinistra opposta al regime franchista, il
gruppo operò in diversi modi contro le restrizioni imposte dal governo
dittatoriale di Francisco Franco.
Nel giugno 1968 due militanti dell’ETA uccisero un poliziotto che gli aveva
fermati ad un checkpoint per verificare i loro documenti ed ispezionare la
macchina, la prima morte attribuita al gruppo.
Dopo il
1977, durante la transizione democratica della Spagna a seguito della fine di
Francisco Franco, il Governo centrale spagnolo concesse a molte regioni
 un certo grado di autonomia, dando a molte località decentrate un loro
Parlamento e diversi poteri in settori come l’educazione e la salute. Tuttavia,
l’ETA rigettò questa soluzione politica, iniziando la sua campagna di terrore
per chiedere una totale indipendenza da Madrid, e la formazione di uno Stato
indipendente chiamato Euskal Herria, Paesi Baschi.
Negli
anni 80, l’ETA uccise circa 100 persone, tra cui molti civili. Sono nel 1987,
anno che vide il singolo attentato più violento da parte del gruppo, una bomba
uccise 21 persone in un supermercato di Barcellona. Iniziarono così i molti
colloqui con il Governo spagnolo per trovare una soluzione alla guerriglia
basca. Nonostante i vari tentativi portati avanti dal Primo Ministro
conservatore Jose Maria
Aznar
prima, e dal socialista José Luis
Rodríguez Zapatero
 poi, le due parti non riuscirono a trovare
un accordo.
Oggi,
dopo 60 anni di attentati l’ETA ha cessato di esistere. Per capire quali siano
le ragioni politiche e storiche dietro a questa decisione abbiamo intervistato Marco
Laurenzano, scrittore e saggista di Paesi Baschi ed ETA.
Perchè
ETA ha deciso di sciogliersi proprio ora?
ETA non è
più in attività da diverso tempo. Ha dichiarato un cessato il fuoco unilaterale
e ha consegnato le armi. Militarmente non è più in attività già da diversi
anni, quello che sta avvenendo in queste ore è lo scioglimento formale e
definitivo di un’organizzazione armata che già da tempo ha lasciato l’attività
politica e militare. I tempi, tuttavia, si sono allungati a dismisura, stiamo
infatti parlando di anni e anni dai primi cessate il fuoco fino a questo
scioglimento definitivo che avverrà tra poche ore. Si è trattato principalmente
di un’iniziativa unilaterale da parte dell’ETA. A differenza di quello che di
solito avviene per quello che riguarda altri processi di pace per conflitti
militari o politici, come per esempio quello in Irlanda del Nord, non ci
troviamo di fronte a due contendenti, lo Stato ed il gruppo armato ribelle che
si mettono ad un tavolo e discutono di una soluzione pacifica, ma stiamo
parlando di un gruppo armato che autonomamente depone le armi.
ETA ha
affermato che abbandonerà la linea terroristica ma non quelle che sono le sue
rivendicazioni. Opereranno in altri modi?
La lotta
armata è finita già da diversi anni, stiamo parlando di un passo formale che è
importante da un punto di vista politico. Non esiste più una lotta armata da
diverso tempo anche se esiste ancora un problema relativo alla detenzione
politica; ci sono almeno 400 persone detenuti e detenute per motivi legati al
conflitto armato, se non la maggior parte, molte di queste persone sono state
condannate per reati di appartenenza o presunta appartenenza ad ETA, e rimane
un problema che bisognerà risolvere in qualche modo nei prossimi anni. L’azione
armata e militare è finita da tempo, la lotta politica invece continuerà e
stando a quello che sembra di vedere riguardo anche a quello che succede in
Catalogna, tutto rimarrà ancora molto incandescente. Molte delle ragioni che
spinsero in un lontano passato i giovani baschi a prendere le armi in qualche
modo sono ancora presenti, non è stato risolto il problema delle relazioni tra
centro e periferia nello Stato spagnolo, non è stato risolto il problema
dell’effettiva e democratica partecipazione di tutti i cittadini al futuro e al
proprio futuro, all’autodeterminazione. il referendum in Catalogna è abbastanza
evidente in tutto questo e quindi quello che ci dobbiamo immaginare, terminato
il conflitto armato, è che il conflitto politico continuerà a permanere.
Quali
collegamenti esistono tra l’indipendentismo catalano e quello basco?
Ovviamente
nel corso degli anni c’è stata sempre una forte simpatia tra indipendentisti di
sinistra nel Paese basco e in quello catalano, ma va ricordato che anche altre
zone dello Stato spagnolo vedono la presenza di movimenti indipendentisti e/o
autonomisti, meno forti rispetto alla Catalogna o ai Paesi Baschi, ma sono
presenti, come la Galizia. È immaginabile che queste simpatie e relazioni, in
un futuro molto prossimo, si andranno a fare sempre più fitte.
Riguardo
alla questione dei prigionieri baschi, essi continuano ad essere detenuti in
centri delocalizzati e sparsi in tutto il Paese e in alcuni casi in Francia.
Uno strumento politico?
Questa è
una vecchissima questione, una ferita aperta. La politica penitenziaria della
Spagna negli ultimi 30 anni si è basata sulla dispersione dei prigionieri
baschi. A differenza di quello che è avvenuto in Irlanda del Nord con il
penitenziario di Maze, dove tutti i prigionieri dell’IRA venivano localizzati
in un unico carcere di massima sicurezza, nello Stato spagnolo la politica nei
confronti dei militanti è stata quella di spargerli nelle carceri e nei
penitenziari di tutta la Spagna, fuori dai Paesi baschi. Una mossa che va
contro le stesse leggi spagnole che impongono che i prigionieri e le
prigioniere scontino la propria pena il più vicino possibile al loro luogo di
nascita o residenza. Il riavvicinamento dei prigionieri è stato da sempre una
delle richieste principali, non soltanto delle formazioni armate e politiche,
ma anche di un vasto movimento di opinione nel Paese basco che spesso e
volentieri andava anche oltre i confini dell’indipendentismo. Tutti i sondaggi
d’opinione hanno sempre rivelato che la grande maggioranza della popolazione
basca, anche coloro che non erano indipendentisti, è sempre stata a favore del
riavvicinamento di queste persone. E chiaramente, in un contesto in cui ETA è
sparita anche ufficialmente, questa situazione si presume dovrà cambiare, anche
se da questo punto di vista il Governo spagnolo, nonostante le pressioni che
sono arrivate anche dall’UE e da diverse istituzioni legate all’ONU, finora ha
sempre cercato di fare orecchie da mercante.
La
lettera dell’annuncio dello scioglimento è stata mandata il 16 aprile, perchè
si è aspettato così tanto per renderla pubblica? 
Ci sono
tempi tecnici. Bisogna considerare che dietro a questo lunghissimo processo c’è
anche la presenza di numerosi attori e partners internazionali, ci sono
personaggi che hanno avuto un ruolo di primo piano nel processo di pace in Sud
Africa o Irlanda del Nord. É abbastanza chiaro che in questi casi i tempi sono
molto lunghi e quelle che vogliamo definire le formalità impiegano del tempo.
Il messaggio politico è chiaro, è evidente che la palla è passata nelle mani
dello Stato, che non vive una situazione brillantissima. C’è un Governo
centrale molto debole, c’è un Partito Popolare, il partito di maggioranze, che
continua ad essere investito da ondate di scandali e corruzione che lo
indeboliscono. Quella che dovrebbe essere una risposta forte e articolata a
questo scioglimento non avverrà in tempi brevi, ma in qualche modo dovrà
avvenire in tempi meno lunghi.
Come ha
accolto l’opinione pubblica spagnola questa notizia?
La
notizia, come sempre in questi casi, è stata accolta in maniera molto
differente da un Paese che è sostanzialmente spaccato in due. C’è un’opinione
pubblica centralista che vede con il fumo negli occhi qualsiasi forma di
autonomismo e sovversione, e continua a dire che il problema non c’è, non
esiste un problema politico, ma si tratta semplicemente di un gruppo
terroristico che ha abbandonato le armi. C’è una situazione piuttosto
singolare. In Colombia e in Irlanda del Nord, per esempio, quando i gruppi
terroristici hanno deposto le armi, si è registrato grande entusiasmo. Nello
Stato spagnolo questo non è successo per ragioni politico-culturali molto
complesse. Questo per quanto riguarda l’opinione pubblica centralista e
conservatrice. Nel Paese basco, in Catalogna, negli strati più progressisti
dell’opinione pubblica, questo è considerato il punto di chiusura di
un’esperienza durata 60 anni. ETA è stato un attore importante in tutti questi
anni, è un momento di chiusura, ma rappresenta anche la possibilità di un nuovo
inizio, di poter parlare di certi temi riguardo dell’indipendentismo basco per
coloro che non vivono nei Paesi Baschi senza la spada di damocle di essere
accusati di vicinanza o collaborazione al terrorismo o ai terroristi.