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Romania: L’ambiguo rapporto col mondo ebraico

Francesco
Magno, East journal, 14 maggio 2018

Nelle
scorse settimane la notizia del rifiuto del presidente Klaus Iohannis di
spostare l’ambasciata romena in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme ha fatto il
giro dei principali media mondiali.

Il
governo a guida socialista aveva infatti palesato la volontà di trasferire la
sede diplomatica, adeguandosi così alla posizione americana. Una scelta negata
dal presidente della Repubblica, che ha ribadito come la Romania
continuerà ad attenersi alle posizioni ufficiali dell’UE e dell’ONU.
Dragnea
vs Iohannis: da Bucarest a Tel Aviv
Dietro la
questione israeliana si gioca l’ennesimo capitolo della guerra personale tra
Liviu Dragnea e Klaus Iohannis, che vedrà il suo epilogo in occasione delle
elezioni presidenziali del prossimo anno. Il leader socialista, accelerando
sulla questione del trasferimento dell’ambasciata, ha di fatto esautorato il
presidente in una delle sue prerogative principali, ossia la gestione e
l’indirizzo della politica estera nazionale. Per questo Iohannis non ha esitato
a smentire i propositi governativi, avocando nuovamente a sé ogni potere
decisionale in materia. Egli non gioca soltanto una difficile partita interna,
ma anche una sua personalissima sfida internazionale; da tempo in Romania si
vocifera dell’ambizione di Iohannis di sostituire Donald Tusk alla guida del
Consiglio europeo. Il presidente
romeno è molto ben visto sia a Parigi che a Berlino, ha in dote un carisma
personale non indifferente, e potrebbe profilarsi come un ottimo sostituto del
polacco.
Anche per questo ha ribadito esplicitamente come la Romania
si muova all’interno del tracciato disegnato dai partner europei. Tallonato dai
giornalisti durante
un’uscita in bicicletta nel parco di Her
ăstrău,
Iohannis ha pronunciato parole interessanti sul rapporto tra Romania e
politiche medio-orientali. Il paese carpatico nel corso della sua storia ha
sempre tenuto una posizione del tutto peculiare rispetto alla questione
israelo-palestinese, che ha garantito alla Romania la fiducia di entrambi i
contendenti. Bucarest, ha continuato Iohannis, non intende dilapidare con
decisoni affrettate questa fiducia costruita nel corso del tempo.
Un passo
indietro
Il
rapporto tra Romania e mondo ebraico è sempre stato controverso. Nel paese
l’antisemitismo era molto diffuso ben prima dell’apparizione dei regimi
totalitari: già il grande poeta nazionale romeno di fine Ottocento, Mihai
Eminescu, palesò nelle sue poesie venature chiaramente anti-ebraiche. In una
Romania ancora profondamente rurale, tra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo, gli ebrei erano molto numerosi nelle città, e detenevano di fatto il
monopolio del mondo commerciale. Per l’area più tradizionalista della cultura
nazionale, essi incarnavano l’ambiguità, la sete di denaro, l’avarizia, tipiche
del mondo urbano, in contrapposizione all’onestà e alla morigeratezza tipiche
del buon contadino romeno. L’emergere sulla scena politica del movimento della
Guardia di Ferro negli anni ’20 esacerbò una contrapposizione già
particolarmente virulenta. Lo stesso Corneliu Zelea Codreanu ci teneva a
sottolineare tuttavia come l’antisemitismo romeno non avesse nulla a che fare
con le teorie razziali o biologiche che stavano sviluppandosi all’epoca in
Europa; quello legionario era soprattutto un antisemitismo culturale. Era il
modo di vivere degli ebrei, specialmente il loro affarismo e il loro presunto
attaccamento al denaro, a renderli invisi alla popolazione. A ciò si aggiunga
anche un profondo fanatismo cristiano-ortodosso, che tendeva ancora a
riscontrare negli ebrei i responsabili della morte di Cristo. I romeni furono
tra i più duri e spietati esecutori delle direttive hitleriane in materia
ebraica. A Ia
şi ebbe luogo uno dei più violenti rastrellamenti di
tutta l’Europa sud-orientale. Più di 13.000 ebrei vennero uccisi il 27 giugno
del 1941, grazie anche ad un efficiente aiuto fornito ai militari dalla
popolazione civile della città.
Il
periodo comunista
L’instaurazione
del regime comunista portò ad un momentaneo miglioramento delle condizioni
degli ebrei romeni, dovuto anche alla folta rappresentanza ebraica all’interno
dei ranghi del partito. Una delle figure più rappresentative della Romania
post-bellica, Ana Pauker, era ebrea. Fu soprattutto durante la sua permanenza
al ministero degli Esteri che molti ebrei riuscirono a migrare in Israele tra
la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, nonostante la stagione
anti-sionista inauguratasi a Mosca negli stessi anni. La Pauker venne
emarginata dalla vita politica romena nel 1952, sconfitta dall’ala
“nazionalista” del partito, guidata da Gheorghe Gheorghiu-Dej, un leader che
dietro la retorica comunista mal celava una natura chiaramente antisemita. La
fine politica della Pauker rappresentò la fine dell’emigrazione ebraica verso
Israele; Gheorghiu Dej impedì a molti ebrei romeni di emigrare, deteriorando le
relazioni bilaterali tra i due paesi, tanto che nel giugno 1952 l’ambasciatore
romeno a Tel Aviv venne addirittura richiamato a Bucarest. Nicolae Ceau
şescu dinnanzi alla questione ebraica mantenne sempre un atteggiamento
pragmatico, per prima cosa riguardo alle richieste di emigrazione. “Dobbiamo
anche far pagare di più Tel Aviv e Bonn per gli ebrei e i tedeschi […]  Il
petrolio, gli ebrei e i tedeschi sono i nostri migliori prodotti di
esportazione”. (citazione tratta da I. Mihai Pacepa, Orizzonti
Rossi, L’Editore, 1991) Perché negarsi un vantaggioso affare solo in virtù
di un anacronistico antisemitismo? Ceau
şescu riteneva di poter
approfittare della voglia di partire degli ebrei romeni per guadagnare
liquidità fresca da Israele, che era ben disposto a fornirla. Dal punto di
vista diplomatico, l’atteggiamento del Conduc
ător fu altrettanto pragmatico. Nel
1967, durante la guerra dei sei giorni, Ceau
şescu fu l’unico leader del blocco
orientale a mantenere rapporti diplomatici con Tel Aviv; in questo modo ribadiva
l’indipendenza romena dalle direttive sovietiche, e si proponeva implicitamente
come mediatore nelle discussioni di pace, ruolo attraverso il quale sperava di
dare rinnovato prestigio alla Romania.
Da quel
momento in poi, la Romania ha sempre mantenuto una posizione equidistante nel
conflitto israelo-palestinese, mostrandosi ancora oggi a favore della soluzione
dei “due Stati”. Se c’è una cosa che la storia romena dimostra, e che l’ultima querelle
Iohannis-Dragnea ha confermato, è che l’atteggiamento romeno nei confronti
degli ebrei e dello stato di Israele è sempre estremamente dipendente dagli
equilibri politici interni, ed è quindi estremamente fluido. Non è quindi
escluso che la situazione possa modificarsi anche nel breve-medio termine.