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Riprendiamo la lotta delle donne per la libertà e la civiltà. Ora più che mai ci serve

Rita De Petra, LEFT, 30
aprile 2018

Tre
casette dai tetti aguzzi, un prato verde, un piccolo ruscello. È in un posto
così che ho festeggiato il 25 aprile 2018. Festeggiato? Si fa per dire… più
esattamente: mi sono arrabbiata questo 25 aprile!




  

La banda,
l’avvicendarsi di donne e uomini alla lettura di poesie partigiane, (quelle che
conosciamo a memoria, ma sempre belle)… insomma il solito rito con un po’ di
retorica, di quella è difficile fare a meno, ma ciò che mi ha fatto scattare è
stato il fatto che anche in un minuscolo villaggio non c’è nessuna traccia di
tutte le donne partigiane! A 73 anni le partigiane continuano a essere cancellate
dalla storia.



Non che
storiografia ufficiale e manuali scolastici si comportino meglio, sembrerebbe
che le donne, non è che non abbiano fatto la Resistenza, è che non sono mai
esistite!



Onore e
merito quindi a Claudio Pavone, che nella sua monumentale Una guerra civile,
dedica alle donne ben 10 righe, sì righe, non pagine. Ma alle donne bastano per
esistere.



Gli
uomini, l’8 settembre, furono “costretti” a schierarsi, ma le donne per quale
mai ragione decisero di uscire dalle loro case e lottare, in tutte le forme e
con tutti i mezzi? Quale moto interiore spinse 35mila donne a diventare
partigiane combattenti, 20mila patriote, 70mila a partecipare ai gruppi di
difesa della donna?
E ancora:
furono 512 le commissarie di guerra, 16 medaglie d’oro pagate anche con la vita
e 17 medaglie d’argento; 2.900 fucilate o cadute in combattimento, 2.750
deportate e 4.653 arrestate e torturate. Si potrà dire che non si tratta di
cifre stratosferiche, ma dimostrano che le donne c’erano: tante, coraggiose,
intelligenti, e anche belle.



Hanno
svolto tutti i lavori, combattuto con le armi e senza, sono state uccise;
deportate, arrestate e torturate; deferite al tribunale speciale, inviate al
confino e vigilate speciali durante il fascismo.



In
Abruzzo sono state circa 300 le partigiane della banda “Conca di Sulmona”.
Delle altre ricordiamo Mafalda de Bonis a Chieti, Iride Imperoli a Sulmona,
Cesira Fiori con le donne di Barisciano, Pina Malferrari D’Aloisio nell’epopea
di Pizzoferrato; Maria Auricchio e Dora Manzitti, passate per le armi a
Lanciano durante la rivolta di settembre e a Teramo Giovannina di Filippo e
Wjlma Badalini.



Ma quante
sono le donne nella Resistenza? Secondo le indicazioni del comandante Boldrini
dovremmo calcolare 15 persone in appoggio a ogni partigiano, in maggioranza
donne arriveremmo alla cifra enorme di circa 100mila donne che noi non potremo
mai conoscere perché molte non hanno chiesto alcun riconoscimento.



Le donne
sono fatte così. Fanno quello che si deve fare: accoglier soldati in fuga e
sbandati, ex prigionieri di guerra, 3mila fuggiti dal campo di Fonte d’Amore a
Sulmona, renitenti alla leva. Il loro compito è stato sfamarli, rivestirli,
curarli, aiutarli ad attraversare le linee nemiche, organizzare la fuga dei
prigionieri dalle carceri fasciste, diffondere la stampa clandestina,
costituire i Gdd (Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai
combattenti della libertà), entrare nei Gap (Gruppi di azione patriottica) e
imbracciare le armi, partecipare ad azioni di sabotaggio, scioperare, come nel
marzo del 1943. A questo è stato dato un nome inaccettabile: maternage. Per
natura le donne sarebbero mamme! Sempre e solo mamme!



Donne
diventate “invisibili” già nel ’45. Rientrate nell’ombra, che da tempo
immemorabile avvolge la vita delle donne.
Nei primi anni della Repubblica, molte guerre si combattono intorno alla
memoria della Resistenza e per ingraziarsi i vincitori angloamericani e non
pagare i nostri debiti di stragi e ammazzamenti perpetrati ai danni degli slavi
si commettono enormi ingiustizie. Una guerra della memoria tra destra e
sinistra, tra democristiani e comunisti, ma a rompere il fronte unitario delle
donne furono le cattoliche, che fondarono il Cif (Centro italiano femminile),
abbandonando i Gdd.



La nuova
classe dirigente non dà alla donna alcuna chance di cambiamento, succube, ieri
come oggi, dell’ideologia religiosa e molti storici di professione si sono
fatti esecutori di queste direttive.



Le donne
sono state due volte vittime di questa lotta: come donne e come partigiane. Sono
desaparecidas dalla scena della storia, diventando invisibili; non rimosse,
come piace tanto agli storici, termine che non ci dice nulla delle dinamiche
che si sono messe in moto. Non ci dice come le donne sono state prima negate e
poi annullate, dopo aver visto svalutato e sfregiato il loro operato: i
comunisti impedirono loro di sfilare a Torino, con i partigiani, per una
questione d’onore, per quelle che avevano combattuto, armi alla mano nei Gap o
nelle formazioni, per quella promiscuità, mai vista prima, scandalosa, senza
alcun controllo!



Si tratta
di negazione/ svalutazione: «cosa avrai fatto di speciale? Solo maternage! non
ti sei occupata solo della tua famiglia, sei diventata la mamma di tutti!»,
questo il luogo comune.



Il
decreto legislativo luogotenenziale n. 518 del 21 agosto 1945 considera
“partigiano combattente” solo chi ha fatto parte di una formazione per tre mesi
e partecipato ad almeno tre operazioni armate, la legge non considera “vera
Resistenza” l’attività non armata svolta, sia a livello individuale che
collettivo o al di fuori delle formazioni partigiane. La distinzione tra
partigiano combattente e patriota e tra Resistenza armata e non armata, ha
comportato una vera e propria “militarizzazione della Resistenza” da cui
ovviamente le donne sono state escluse. Si saranno convinte di aver sognato.
Sognato di essere state coraggiose, di aver saputo resistere alle torture;
sognato di essere state capaci di portare sporte della spesa piene di
volantini, di armi, di giornali clandestini, in mezzo a tedeschi e fascisti. Ha
sognato Pina D’Aloisio di camminare per ore nella neve alta, dopo aver lasciato
il bosco, dove erano stati confinati per mesi e tornare a partorire nella sua
casa, vuota, spoglia ma una casa, perché chi sta per venire alla luce abbia la
dignità di un essere umano.



Le donne,
svegliate da un principe terribile: guerra e nazifascismo, dopo una breve
stagione, tornano al sonno di sempre. La grande delusione del dopoguerra, le
necessità della ricostruzione uccidono la speranza di una vita diversa. Saranno
loro le prime a sostenere che in fondo non hanno fatto “nulla”, nulla di
eccezionale, saranno loro le prime a negare se stesse.



E così
hanno taciuto. Hanno taciuto le donne che avevano subito violenza: dai
fascisti, dai nazisti, e ancora violenza dai “liberatori”. In tante città,
molte, troppe, c’era una “Villa Triste”, una casa degli orrori, delle torture,
come a Trieste dove venne rinchiusa Maria Giorgi, moglie e sorella di
partigiani che ne uscì gravemente menomata nel fisico ma ancor più nello
psichico, tanto da essere ricoverata nel manicomio di Collemaggio a L’Aquila. E
fu Cesira Fiori, che la ospitava, a trarla fuori con uno stratagemma e a
portarsela a casa e lei si fece partigiana, a dispetto delle precarie
condizioni mentali.



Anche le
deportate hanno taciuto di fronte al disinteresse di madri e sorelle, che
avevano a noia il racconto delle loro sofferenze.



Sono
state le storiche, gli artisti, gli scrittori, i registi, uomini dalla
straordinaria umanità, a insegnare alle donne che loro, non avevano “dato una
mano” alla Resistenza, ma “avevano fatto” la Resistenza e molte hanno
cominciato a narrare, a dire e si sono riprese la loro vita. Altre hanno deciso
di parlare quando hanno visto che quelli contro cui avevano combattuto e
rischiato la vita, quegli stessi, erano di nuovo al potere. Sdoganati. Una
parola elegante, che non dice nulla sull’umano, sui dolori, i tormenti e i
desideri di uomini e donne.

Magnifiche donne combattenti.



Ma noi
queste stupende donne, dotate di un coraggio inarrivabile, donne umanissime,
con tutti i loro cedimenti, speranze e titubanze, ce le meritiamo? Sospetto,
che solo una giusta e veritiera risposta a questa domanda possa dare un senso
alle nostre vite e alle nostre lotte.



Questo è
il tempo delle risposte, il tempo di spezzare negazioni e annullamenti e
riprendere e continuare la loro lotta di libertà e di civiltà.