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Quella cordata africana a sostegno di USA – Israele

Di Danielle
Maion, L’Indro, 21 maggio 2018

Chiara
presa di posizione a favore della decisione del Presidente Trump per fare
affari e ottenere aiuti da Israele. In testa: Togo, Zambia, Camerun

Le
notizie di politica internazionale della scorsa settimana sono state
all’insegna di Israele. Il 14 maggio ricorrevano, infatti, i 70 anni dalla
fondazione dello Stato israeliano e si celebrava, lo stesso giorno, non senza
forti tensioni, il trasferimento dell’Ambasciata americana da Tel Aviv a
Gerusalemme, riconosciuta dagli USA capitale di Israele.
Quando si
parla di cerimonia, si parla inevitabilmente di rappresentanza e, secondo
quanto riferito dal Ministero degli Esteri israeliano, hanno partecipato
all’evento trentatré Stati, compresi gli Stati Uniti, degli 83 presenti con una
loro Ambasciata in Israele.
Tra
questi, dodici sono stati gli ambasciatori africani, rispettivamente, quelli di
Angola, Camerun, Repubblica democratica del Congo, Repubblica del Congo, Costa
d’Avorio, Kenya, Sud Sudan, Tanzania, Etiopia, Nigeria, Zambia e Rwanda.
La
presenza a una cerimonia simile dimostra una chiara presa di posizione a favore
della decisione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e questo a
cospetto dei numerosi Stati europei e musulmani che hanno, invece, esternato
piena disapprovazione. Non tutta la popolazione di questi rispettivi Paesi ha
tuttavia condiviso la scelta del loro Governo.
Facendo
un passo indietro, all’Assemblea Generale Onu del dicembre scorso, 128 Paesi
avevano votato a favore di una risoluzione che condannava il riconoscimento da
parte degli Stati Uniti della Città Santa come capitale di Israele. Si erano
astenuti 35 Paesi, alcuni africani: Camerun, Rwanda, Malawi, Lesotho, Sud Sudan,
Uganda, Benin e, all’ultimo minuto, il Mali. Contrario, invece, il Togo, l’unico
Paese del continente nero ad avere apertamente sostenuto la mozione
statunitense. Anche se assente dalla cerimonia ufficiale, la posizione del Togo
è chiaramente a favore di Trump e soprattutto di Israele: ben due sono stati
gli incontri nel 2017 tra il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu
e il Presidente togolese Faure Gnassingbé.
Il giorno
dopo l’annuncio del Presidente statunitense, il Governo del Sudafrica, storico
alleato degli USA, presentava all’Esecutivo la richiesta di ridurre di grado la
propria presenza diplomatica in Israele, da Ambasciata a semplice ‘ufficio di
collegamento’, pare solo per motivi di sicurezza. Il richiamo in patria, dopo
la cerimonia, del proprio Ambasciatore è invece avvenuto per protestare contro
l’uccisione di manifestanti palestinesi lungo il confine con Gaza. Il Sudafrica
sembra mantenere una posizione contraria ma che non deluda troppo il suo
alleato statunitense.
Il
sostegno a Trump di alcuni Stati africani non può certamente essere ricondotto
alla minaccia degli USA di tagliare gli aiuti ai Paesi che non appoggiano la
sua decisione. Sostenere la causa americana significa sostenere quella
israeliana, e viceversa. Più sicuro è, quindi, vedere in questo sostegno anche
la volontà di consolidare legami con Israele. Da anni Tel Aviv sta costruendo
rapporti nel continente africano, sotto forma di accordi commerciali e
infrastrutturali, ma non solo.
Due
astenuti all’Assemblea ONU di dicembre, Rwanda e
Uganda, sono Paesi con cui Israele ha stretto accordi semi-segreti per la
deportazione di rifugiati africani
.
Nel 2013, era uscita la notizia di accordi siglati per inviare richiedenti
asilo in ‘Paesi terzi’ dell’Africa, in cambio di fondi e assistenza nel campo
della difesa e dell’agricoltura. L’anno successivo, il Governo israeliano aveva
dichiarato di avere firmato accordi con due Paesi africani non indicati che
avevano avanzata la richiesta di mantenere segreti i loro nomi. Sta di
fatto che l’Agenzia ONU per i rifugiati ha riferito che sono almeno 4.000 dal
2013 i richiedenti asilo che hanno lasciato volontariamente Israele per
l’Uganda e il Rwanda.
Non si conosce la contropartita, ma la posizione di questi due Paesi nei
confronti di Israele dimostra che è abbastanza alta. E non è un caso se Israele
ha annunciato, a novembre 2017, l’apertura di un’Ambasciata nella capitale
ruandese di Kigali.
Lo Zambia,
dal canto suo, ha dimostrato un certa apertura nei confronti di Israele da
diversi anni e, nel dicembre scorso, aveva deciso di ospitare un summit tra
Israele e membri dell’Unione Africana, inizialmente programmato in Togo.
Polemiche erano già esplose alcuni mesi prima quando il Presidente Edgar Lungu era
volato a Tel Aviv con alcuni Ministri e si era fatto fotografare mentre
stringeva la mano al Premier israeliano Benjamin Netanyahu. Lo Zambia è
uno dei pochi stati dell’Unione africana ad avere un esperto militare e, dal
2015, un’Ambasciata in Israele.
Non è
mancato alla cerimonia il Camerun che mai più che ora ha bisogno di ottenere un
sostegno statunitense nel conflitto che contrappone il Governo, guidato dal
Presidente Paul Biya, ai secessionisti che proclamano l’indipendenza dell’Ambazonia.
Il Paese dell’Africa occidentale è, infatti, diviso in due: la regione
francofona, la più estesa e al comando, e quella anglofona, un quinto della
popolazione emarginato da politica ed economia del paese. Il Camerun è
sull’orlo di una profonda crisi politica
ed economica con l’aumento
della repressione iniziata nel 2016.
Alcuni
stati africani, tra cui la Nigeria, avevano interrotto i rapporti con lo stato
di Israele nel 1973, in segno di protesta per l’occupazione del territorio del
Sinai. Anche senza relazioni diplomatici, le compagnie israeliane avevano
continuato ad espandersi economicamente in molti stati africani e negli anni ci
sono stati segni di riavvicinamento tra i governi israeliano e nigeriano.
Non più
tardi che a dicembre 2017, è stata siglata un’intesa tra Netanyahu e gli Stati
Uniti per la partecipazione di Tel Aviv alla riduzione della dipendenza
africana da risorse energetiche esterne. Una partnership da 7 miliardi di
dollari per il piano quinquennale Power Africa Tracking Tool (PATT), lanciato
dall’Amministrazione Obama. Pochi giorni dopo Netanyahu è volato in Kenya per
partecipare all’insediamento del Presidente Uhuru Kenyatta, appena uscito da
elezioni controverse.
Altri sono i progetti israeliani in Africa: il Governo di Tel Aviv sta
lavorando in Kenya alla costruzione di un sistema di irrigazione, il
Galana-Kulalu, che dovrà raggiungere un milione di acri di terra.
Israele è
anche molto attivo sul continente africana nel settore della difesa: le
esportazioni di armi sono in costante aumento, con un più 70% tra il 2015 e il
2016 anno in cui hanno raggiunto i 275 milioni di dollari con un’ulteriore
crescita nel 2017.
Tra dati
ufficiali, accordi più o meno segreti, è chiaro che molti Paesi africani si
sono schierati a favore della cordata USA-Israele, non tanto per motivi
politici, quanto per creare legami con questi Paesi e quindi ottenere eventuali
aiuti. Dall’altra parte, poco importanza ha il tipo di Governo che è alla guida
del Paese africano quando questo può offrire opportunità di espandere il
proprio mercato.