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PRIMO MAGGIO. La Tunisia in sciopero verso le elezioni

Di
Francesca La Bella, Nena News, 30 apr 2018

A una
settimana dal voto amministrativo, il paese è attraversato dalle proteste dei
lavoratori. La struttura economica e sociale tunisina pone la classe
lavoratrice necessariamente al centro del dibattito. Proprio da qui
potrebbe venire la spinta per un ulteriore mutamento dello status quo
Uno sciopero
degli insegnanti tunisini di fronte al Ministero dell’Educazione
  

Tra pochi giorni si terranno in Tunisia le prime
elezioni amministrative successive alla primavera araba e alla rivoluzione
dei Gelsomini. Il 6 maggio i cittadini tunisini verranno chiamati alle urne per
scegliere i circa 7mila membri dei consigli comunali di 350 comuni distribuiti
nel paese, ma le consultazioni elettorali sono già iniziate.

Il 29
aprile gli agenti di sicurezza e i militari hanno potuto, per la prima volta
nella storia della Repubblica tunisina, esercitare il loro diritto di voto e si
sono recati alle urne. Secondo il presidente dell’Istanza elettorale per le
elezioni (Isie), Mohamed Tlili Mansari, solo 12 per cento degli aventi diritto
avrebbe partecipato al voto, nella capitale la partecipazione si sarebbe
fermata al 7 per cento ed alcuni seggi, circa una decina, sarebbero rimasti
deserti.
Secondo
alcuni analisti, la bassa affluenza alle urne sarebbe da imputare agli inviti
al boicottaggio da parte dei sindacati. La campagna elettorale tunisina è stata
segnata da forti proteste sul caro vita e sulle politiche economiche del
governo in carica. Gli scioperi si sono susseguiti nei mesi e, per quanto non
sia ancora possibile dare una stima reale dell’impatto di queste proteste sul
voto, i due aspetti sono necessariamente collegati.
A seguito
dell’imposizione da parte del Fondo Monetario Internazionale di vincoli di
bilancio stringenti, le politiche di contenimento della spesa hanno impattato
su un sistema economico già fragile. L’inflazione è in continua crescita (7,1%
a febbraio, 7,6% a marzo) e le condizioni di vita delle fasce più deboli sono
sempre più difficili. A fronte dei 100 milioni di dinari (41,3 milioni di dollari)
che ogni mese vengono richiesti dal Fmi per coprire il deficit dei fondi, gli
investimenti in welfare e servizi sono sempre più limitati. Parallelamente il
blocco degli aumenti stipendiali e dei sussidi hanno seminato il terreno delle
proteste.
E’ in
questo contesto che dovono essere letti lo sciopero generale dei porti tunisini
di fine aprile, così come il movimento di protesta che ha attraversato dalla
fine dello scorso anno il mondo dell’istruzione tunisino. I professori tunisini
chiedono che venga posta fine al processo di disintegrazione della scuola
pubblica e che inizi un nuovo corso di riforme e di investimento nella
formazione. Le manifestazioni e gli scioperi sono, però, rimasti inascoltati e,
dopo l’ennesimo rifiuto al dialogo, il 13 aprile l’Unione Generale del Lavoro
Tunisina (Ugtt) e la Federazione Generale dell’Educazione Secondaria (Fgesec)
hanno indetto uno sciopero ad oltranza a partire dal martedì successivo e
conclusosi il 25 aprile.
Molto
interessante notare, in questo contesto, due aspetti. In primo luogo i
sindacati portano avanti una battaglia per i diritti a tutto tondo che
trascende dallo stretto ambito concertativo. Alle rivendicazioni sindacali come
la pensione a 55 anni dopo 30 anni di lavoro e alle richieste di maggiori fondi,
si affianca, infatti, una critica globale al sistema di privatizzazione
dell’istruzione e di svuotamento dell’essenza formativa della scuola. Allo
stesso modo, l’aver inserito le proteste contro le politiche di austerità e
contro il Fmi nel più ampio quadro del tradimento della rivoluzione, permette
di comprendere l’ampio respiro della mobilitazione e le tensioni crescenti alla
vigilia del voto amministrativo.
Alla luce
di tutto questo è facile immaginare che, nonostante tentativi di mediazione del
governo e fratture all’interno degli stessi sindacati, la stagione delle
proteste non troverà fine all’indomani delle elezioni regionali. La struttura
economica e sociale della Tunisia, a differenza di alcuni paesi della stessa
area, mette la classe lavoratrice necessariamente al centro del dibattito e,
proprio da questi settori, potrebbe venire la spinta per un ulteriore mutamento
dello status quo.